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Capitolo 3

Non li vidi i due giorni, mi accorsi che erano passati la mattina che chiamai il taxi per recarmi all’aeroporto.

Nel mio trolley minuscolo e anonimo alloggiavano esattamente gli indumenti inseriti nella lista.

Durante il viaggio mi limitai a guardare un film, ma le mie gambe non ne volevano sapere di star ferme, tanto è vero che mi alzai più di una volta per andare a svuotare la vescica.

Finalmente il volo terminò, il JFK mi travolse non appena varcai le porte di quell’immensa sala attendendo, vicino al nastro trasportatore, il mio bagaglio.

Uscii con lo stomaco in subbuglio e mi diressi verso il primo taxi libero, l’uomo prese il trolley e m’invitò a salire.

“26 Avenue Manhattan, alla Fashion Kersell Tdp, prego” ordinai, non appena l’autista prese posto; “Ci vorranno trenta minuti, traffico permettendo” mi anticipò l’uomo, consultando il navigatore

“Grazie” risposi, rilassandomi.

Dopo circa dieci minuti iniziai ad osservare dal finestrino il panorama che mi si stagliava davanti, la Skyline di Manhattan, con i suoi immensi grattacieli, mi sconvolse completamente.

Avevo letto che ne ospitava circa 5937, di cui 550 superavano i cento metri di altezza, mentre 50 ne superavano i duecento. Il Woolworth Building mi colpì come un gelido vento invernale, la sua architettura neogotica mi lasciò senza parole.

“Lascia basiti, vero?” chiese all’improvviso l’autista, rendendosi conto della foga con cui guardavo dal finestrino, “Sì, paralizzati” replicai senza guardarlo, non volevo perdermi niente di quello spettacolo che mi si stava parando innanzi.

“Lo sa che i mattoni a New York furono impiegati dopo il grande incendio del 1835? Da allora esiste una peculiarità di molti degli edifici della città, le torri contenenti acqua sono poste sui tetti.” Finalmente, l’autista ebbe la mia attenzione, lo guardai attentamente, i suoi occhi parevano illuminarsi, evidentemente era del posto; “Le torri contengono acqua?” “Sì, nel 1800 la città ordinò la loro installazione sugli edifici superiori a sei piani, per evitare che la necessità di una pressione dell’acqua troppo elevata, potesse rompere, ai piani più bassi, i tubi comunali.” “È incredibile, evidentemente lei è ben informato, è di New York?”

“Ci può scommettere, e lei invece da dove viene?” “Sono inglese, e mi creda non ho mai visto niente del genere!”

Ero stato sincero, le vaste distese erbose inzuppate di umidità e di acqua che interrompevano le schiere di case in mattoni scuri, non avevano nulla a che fare con New York, qui era proprio un altro mondo.

“Sono arrivato per il Seven Days” continuai senza pensare che a quell’autista magari non interessava minimamente il motivo del mio trasferimento, ma con mia sorpresa mi sbagliai, “Jade Forrester è un gran figlio di puttana, lo sa vero?” non rimasi stupito da quell’affermazione, in fondo era risaputo che gli uomini famosi godessero di cattiva fama, “Ne ho sentito parlare” risposi.

L’autista continuò.

“C’è gente che fa la coda per ore solo per rivolgergli la parola, e quando succede quel villano si limita a qualche sì o no poi se la svigna. Comunque ti auguro buona fortuna ragazzo, ne avrai bisogno” annunciò, deglutii, così decisi di finirla lì, “Grazie.”

Finalmente imboccò la ventiseiesima, il caos immane sembrava sovrastare ogni cosa, il traffico era così congestionato che l’autista disse “Il palazzo è solo a duecento metri da qui, se vuoi ti faccio scendere, credo che rimarremo fermi almeno dieci minuti.”

“Buona idea” replicai, quindi pagai la corsa al prezzo indicato dal tachimetro.

L’autista scese, aprì il baule e mi consegnò il bagaglio, quindi se ne tornò in taxi, io invece mi buttai in quell’infernale moltitudine di macchine, persone e cemento.

Quando giunsi di fronte al grattacielo che ospitava la Fashion Holding Kersell mi prese un attacco di ansia, una panchina isolata e completamente libera sembrò la cosa più utile in quel momento, così mi sedetti per respirare meglio.

I dubbi, le paure e l’affanno mi stavano invadendo, ma io non ero venuto qui per poi scappare a gambe levate, non avevo fatto così tanta strada pieno di speranza per poi farmi affondare da un’assurda situazione di ansia che mi ero guadagnato tempo addietro, senza mai superarla.

Era successo dopo la mia uscita-forzata da casa.

Già, un giorno o l’altro avrei dovuto affrontare nuovamente tutto quanto, ma ora dovevo solo pensare ad alzarmi, dirigermi verso quell’enorme porta a vetri e andare esattamente dove mi stavano aspettando.

E così feci.

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