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Capitolo 2

Quei venti avrebbero effettuato dei test e prove, poi solo due sarebbero stati scelti.

L’ultimo colloquio, quello definitivo, sarebbe stato lo spauracchio più grande.

Il dio in persona, ossia Mister Jade Forrester, si sarebbe presentato e avrebbe fatto la sua scelta.

Certo a pensarci i passi erano immensi, ma facendone uno per volta, avrei anche potuto avvicinarmi sempre di più.

Finalmente il cellulare vibrò, lessi il display e vidi il seguente messaggio:

Vai alla finestra

Baci

S.

Scossi il capo, Scarlett la mia migliore amica aveva il vizio di complicarti la vita, mi alzai in direzione della finestra, scostai la tenda e guardai fuori.

La vidi sorridente nel lato opposto alla strada, in mano teneva un enorme foglio bianco nel cui centro, a caratteri cubitali, le seguenti lettere emergevano feroci

BENVENUTO AL SEVEN DAYS!

Il muscolo partì impazzito, il suo scalpitare mi portò a respirare più a fondo, per un breve attimo temetti di svenire dall’emozione.

Uscii correndo da casa, pronto a stritolare Scarlett tra le mie braccia.

Il suo sorriso divino stampato su quel volto di porcellana avrebbe fatto eccitare qualsiasi maschio dai quindici a settant’anni, peccato che il mio membro invece, si rizzasse solo per gli esemplari di sesso maschile ormai da quando avevo compiuto dodici anni.

Essere gay, per me, non era mai stato un problema, ma per la mia famiglia si, un problema insormontabile, oserei dire devastante.

Oltretutto avevo scelto con cura il giorno del mio coming out, quello destinato al festeggiamento della mia Laurea, conseguita, peraltro, con tanto sacrificio da parte loro.

Nel bel mezzo della festa, tra parenti che vedevo solo di tanto in tanto, mi ero fatto spazio e avevo preso da parte mia madre e mio padre

“Papà, mamma, devo dirvi una cosa molto importante! Dopo anni che aspettavo questo momento finalmente oggi mi sono deciso a confidarvi che io sono gay” avevo esclamato con una voce strozzata dall’emozione.

Non avrei mai immaginato di ritrovarmi, il giorno dopo, in mezzo alla strada con una valigia in mano e una rabbia soffocata e prepotente, ma era successo.

In mio soccorso si erano fatti vivi gli amici dell’Università, ma era stato l’intervento di Scarlett a risolvere il problema

“Ce l’ho io un buco per sistemarti” aveva esordito, dandomi una pacca sulla spalla “hai fatto la tua scelta, era giusto tagliare finalmente quel cordone ombelicale che ti stava strozzando” aveva concluso poi.

E così da un giorno all’altro il figlio di papà, privilegiato e coccolato, si era trasformato in un sopravvissuto che sbarcava a malapena il lunario lavorando in un lurido call center di proprietà di una famiglia indiana, fino a quando anche quel lavoro era svanito nel nulla.

“Ciao stupendo culattone” esordì, usando il suo vocabolario pittoresco e senza mezzi termini

“Mai termine fu più indicato” replicai, stampandole un bacio sulla bocca.

Lei ricambiò poi si ritrasse per studiare la mia espressione.

“Allora come ci si sente?” chiese impaziente, “Non ho parole da usare, per ora. Quando l’hai saputo?” “Mezz’ora fa, ma perché hai voluto dirottare a me questo compito ingrato? “ “Perché tu mi porti fortuna.”

“Ma dai sciocco, andiamo a bere un caffè, hai solo due giorni poi dovrai partire. C’è una lista di cose che devi portare, è allegata alla tua accettazione.”

“Che lista?”

“Lo vedrai presto, su vieni” concluse.

Mi arpionò il braccio e mi trascinò verso il piccolo bar.

Ero già in trepidazione, finalmente nella mia vita era apparsa una luce inattesa, una luce in grado di portare la mia motivazione alle stelle.

Due camicie, due paia di pantaloni, una cravatta, due paia di calzini, un paio di scarpe, due giacche, e soprabito.

Spazzolino, dentifricio e nient’altro.

La lista mi fece rizzare i peli sulle braccia.

“E’ uno scherzò?” domandai nervoso, fissando le iridi negli occhi nocciola di Scarlett

“No, si da il caso che se non passi la prima scrematura, te ne torni a casa subito.”

“E se la passo?”

“Il giorno dopo fai il test e se ce la fai hai il colloquio, i vestiti ti bastano.” La guardai torvo poi la domanda ovvia arrivò, “Tu credi? E se malauguratamente dovessi vincere? Come cazzo credi che andrei avanti sette giorni con quei pochi cambi?”

“La risposta c’è, è scritta in calce alla lettera, dice espressamente: nel caso fosse il vincitore del Seven Days, oltre al suo biglietto aereo allegato alla presente, la Compagnia s’incaricherà di farle avere l’occorrente necessario alla sua persona per trascorrere il tempo previsto dal programma. Tutti i costi saranno addebitati alla compagnia stessa.”

Deglutii, la voce restò imprigionata in gola, solo la mia espressione fu eloquente

“Che figata!” esultò Scarlett.

Cominciai a capire quanto fosse reale tutto ciò, due giorni e sarei partito per New York, due giorni soltanto.

Scarlett venne a cena da me, quindi mi lasciò subito dopo, con la promessa di sentirci non appena fossi arrivato a destinazione.

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