Capitolo 6: Il Ciondolo di Elara
La pioggia battente colpiva il terreno come un gemito d’anima mentre vedevo mia sorella—Elara—distesa nel salotto, il sangue che sgorgava copioso dal taglio alla gola. Le risate rauche dei carnefici rimbombavano sulle pareti, tra miraggi di luce fioca. Le mie mani tremavano al tatto della sua pelle fredda; i suoi occhi semiaperti riflettevano una paura distruttiva. “Spi… spi… ero dispiaciuta,” sussurrò, la voce quasi offuscata. Prima che potessi afferrare il suo braccio, cadde immobile, e i vetri della porta si frantumarono alle loro spalle, lasciando solo il silenzio del suo corpo. In quell’istante, un giuramento scosse il mio petto: avrei vendicato.
Mi svegliai nel buio, il corpo fradicio di sudore. Il cuore mi rimbombava; le ombre del passato danzavano sulle pareti. Una lampada da comodino illuminava fiocamente la foto di Elara accanto al mio letto di fortuna—il suo sorriso era ignaro che sarebbe stato il mio ultimo ricordo. Il ticchettio incessante dell’orologio sembrava sfidare il tempo, costringendomi a scegliere: lasciare questa ferita marcire o coltivare il veleno della vendetta.
“Alzati, Lyora.” Una voce dolce ma ferma mi scosse. Dante stava sulla soglia, il volto cupo. “Salvatore ti aspetta nel suo studio.”
Inspirai a fondo, strofinandomi gli occhi irritati. “Lo so.” Balbettai. Il telefono vibrò: un video criptato mostrava la tortura brutale di un informatore, un tempo amico di Elara. Premetti play più volte. Il suo volto si illuminò di terrore, le labbra screpolate sanguinanti mentre mormorava: “Loro… ti hanno tradita.”
Il lungo corridoio di marmo dell’ufficio D’Amari sembrava restringersi sotto i miei passi. Ogni eco accentuava il dolore nel petto. All’estremità, la porta in legno massiccio si aprì: Salvatore, impeccabile nel suo completo scuro, con un sorriso sottile e gelido ritagliato sulle labbra.
“Mi hai chiamato,” disse con voce suadente e misteriosa. Quegli occhi scuri mi scrutavano, quasi misurando fino a che punto fossi disposta ad arrivare. “Quel video… so che l’hai trovato.”
Mi avvicinai, avvertendo una strana attrazione—l’antagonismo che accendeva un desiderio nascosto. “L’uomo che odio di più è anche quello che difendevi,” mormorai, la voce rotta. “Allora… perché intrometterti di nuovo?”
Salvatore scosse la cenere della sigaretta in un posacenere di porcellana. Un alone di fumo disegnò un serpente nell’aria. “Per la verità. Senza tradimento, non scopri mai il nemico.” Fece un passo verso di me, un solo dito ci separava. Il suo respiro sul mio collo fece vibrare le mie costole. Rimasi immobile, consapevole che resistere al suo fascino era difficile quanto domare la mia rabbia.
La città di Nerezza dormiva quando entrai nel magazzino abbandonato al porto. Il fascio della torcia squarciava l’oscurità, rivelando un corpo a terra, mani legate. L’uomo gemette quando tolsi il sacco dalla testa—volto pallido, labbra screpolate, occhi supplicanti.
“Dicevano fossi un suo fedele,” dissi gelida. “Ma sei stato tu a tradirci.” Accesi la microcamera sul casco, registrando ogni traccia di tradimento. Il cigolio delle catene ruppe il silenzio; lui ansimò: “Ho… ho paura di morire.” Mi chinai, osservando i segni delle frustate sulla sua schiena. Una goccia di sangue cadde sul cemento. “Chi è il vero traditore, Dante?” lo sfidai, pronunciando il nome dell’amico che avevo difeso.
Scosse la testa, disperato: “Non sono io… c’è qualcuno più in alto. Io sono solo una pedina.” La voce si spense. “Guarda lì, nell’armadietto—ci sono le prove di una cospirazione. D’Amari e la Ghost Ring. Devi sapere.”
Improvvisamente, qualcuno bussò con forza alla porta del magazzino. Due figure entrarono: Marco “Il Gatto”, capo della mafia rivale, e i suoi scagnozzi. Puntarono lo sguardo sull’uomo legato, poi su di me. “Basta guardare,” sibilò Marco. “È ora di massacrare l’eroe da quattro soldi.”
In un istante, l’adrenalina esplose. Spinsi via l’uomo legato e puntai la pistola verso Marco. I colpi esplosero. Dante, apparso come dal nulla, respinse gli assalitori, proteggendo la mia schiena. Un proiettile rimbalzò su una cassa, scatenando scintille metalliche. Polvere danzò nell’aria.
Salvatore rimase sulla soglia, gli occhi spalancati per lo choc. Ci fronteggiammo: io armata, lui con uno sguardo furioso e ammirato. In quel momento tutto si fece confuso—rabbia, paura, desiderio—fusi insieme. Feci un passo avanti, pistola puntata ma la mano tremante.
“Fermi.” La sua voce, dolce ma autoritaria, troncò il conflitto. I sicari si immobilizzarono, poi caddero in ginocchio. Marco ci scrutò incredulo. “D’Amari… qual è il tuo comando?”
Salvatore avanzò e mi strinse in un abbraccio improvviso. Il mio respiro si fece affannoso. “Non voglio che tu sia sola in questa guerra,” bisbigliò al mio orecchio. Un brivido mescolò sollievo e brace di vendetta nel mio cuore.
Qualche ora più tardi, ero nel suo studio, strofinando il sangue dal mio giubbotto di pelle. Dante sistemava le armi sul tavolo, lo sguardo agitato. Salvatore, alla finestra, fissava l’orizzonte del porto.
“Qual è il senso di tutto questo?” chiesi a bassa voce. “La cospirazione Ghost Ring, il tradimento… e la morte di Elara.”
Volse lo sguardo, gli occhi teneri ma penetranti. “C’è un ultimo indizio che potresti aver trascurato.” Porse una mano—un piccolo ciondolo, la catena opaca, con due serpenti intrecciati. “Questo… è il ciondolo di tua sorella.”
Il cuore mi sussultò. Ricordai che Elara lo indossava sempre come amuleto. Lo raccolsi con mano tremante, avvertendo un brivido nella palma. Sulla superficie incisa, intravidi le iniziali “S”. Salvatore deglutì, la voce roca: “Aveva un messaggio da inviare prima di morire… ma io l’ho fermata.”
Le nostre mani si sfiorarono mentre sollevavo il ciondolo alla luce. Il metallo rifletteva l’immagine dei serpenti, come in movimento. “Chi è ‘S’?” chiesi tremante. “Salvatore? O… altro?”
Abbassò lo sguardo, coprendosi il volto un istante. “C’è un segreto più oscuro di quanto immagini.” Chiuse gli occhi, voce sommessa: “E ora sanno che tu lo sai.”
Un lampo di luce alla finestra proiettò le nostre sagome—due figure legate dal destino, in mezzo a una cospirazione che dilaniava i cuori. Compresi che, dietro quel calore, ardeva ancora la fiamma della vendetta… o della perdono. Ma prima che potessi formulare altre domande, passi pesanti si udirono nel corridoio e un colpo leggero alla porta ruppe il silenzio:
“Il suo protettore… ha trovato il ciondolo?” Una voce familiare tolse il respiro.
Guardai Salvatore, poi il ciondolo tra le mie dita. Ogni risposta apriva una nuova porta: verso il labirinto dei segreti, e forse… verso l’ultimo abbraccio di vendetta o perdono.
