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Capitolo 4: Ombre e Segreti

L’aria notturna riempiva il vicolo nascosto nel quartiere di Nerezza. I lampioni emettevano un bagliore arancione, proiettando ombre danzanti sui mattoni umidi. Il mio cuore batteva forte, ma più per curiosità che per paura. In un angolo buio, Salvatore D’Amari era chino su un tavolo pieghevole, circondato da fogli ripiegati e ritagli di fotografie. Restringeva gli occhi quando mi vide apparire alla soglia del passaggio.

«Sei arrivata», disse con voce bassa, quasi un sussurro, accendendo una sigaretta. Il fumo salì in volute e si disperse verso il soffitto del tunnel.

Mi strinsi nel mantello, cercando di mascherare la tensione. «Cosa stai cercando stanotte?»

Mi scrutò a lungo, come se stesse valutando ogni frammento della mia vita sparpagliato davanti a sé. «Ogni segreto ha un prezzo, Lyora. E io… sto solo esigendo un conto.»

Feci un passo avanti, trattenendo il respiro. Sul tavolo c’erano testimonianze del passato: timbri ufficiali, rapporti di polizia sbiaditi, ritagli di giornale impolverati. C’era persino un diagramma con due serpenti avvolti su una croce capovolta—il simbolo che avevo inciso come monito. In quel momento, avvertii lo sguardo penetrante di Salvatore insinuarsi nei miei pensieri.

«Perché sei così sicuro che stia nascondendo qualcosa?» chiesi, cercando di mantenere la voce ferma nonostante il nodo allo stomaco.

Spiò la sigaretta e mi guardò senza battere ciglio. «Perché ho letto il rapporto—non sei solo colpevole. Sei anche vittima.» S’accennò a un sorriso, un miscuglio di pietà e rimprovero. «E voglio sapere: chi sta davvero manipolando me attraverso di te?»

Mi voltai, infilando la mia pistola nella tasca interna. «Se vuoi una risposta, perché non la chiedi subito?» la mia voce era intrisa d’amarezza.

Salvatore si alzò, si avvicinò al tavolo. La luce fioca delineava il suo profilo, affilando la mascella e mettendo in risalto una cicatrice sul lato sinistro del volto. «Perché preferisco i fatti.» Affer­rò un foglio ingiallito, avvicinandolo alla fototessera con l’indice che sfiorava quasi l’immagine. «Per esempio, questo.»

Le nostre mani erano quasi a contatto. Sentii un formicolio elettrico—quel sottile confine tra desiderio e timore. Fino a un attimo fa stavo cercando di tenere le distanze. Ora? Ero paralizzata.

All’improvviso un cigolio metallico: due dei suoi uomini emergevano dall’ombra, i volti lividi. «Signore,» ansimò uno. «C’è… una nuova traccia.»

Salvatore gettò un’occhiata veloce, poi mi trascinò dietro al cassone di un furgone parcheggiato. «Cos’è?» bisbigliò.

Uno dei ragazzi porse un disco di metallo sporco di sangue secco. «L’abbiamo trovato nel vecchio magazzino… è il simbolo della L.» Gli occhi gli si spalancarono, come se stesse per rivelare un segreto immane.

Il mio cuore prese a battere più forte: il simbolo L. La lettera che aveva risvegliato in me un trauma profondo—la morte di mia madre. «Io… l’ho già visto,» balbettai.

Salvatore mi strattonò delicatamente il mento, non con rabbia ma con fermezza. «Sei stata tu a tracciarlo, vero?» la sua voce era autoritaria.

Il mio corpo tremava. I ricordi riaffiorarono: quella notte avevo inciso quel segno sul muro, inconsapevolmente, come un grido d’aiuto per qualcuno che forse era ancora vivo. «Io… non ricordo bene.»

Mi fissò con sguardo ardente. «Allora lo ricorderai. Ti farò ricordare.»

I miei passi scricchiolarono sul pavimento umido. Sospetto e attrazione si contendevano il mio respiro. Salvatore non era un poliziotto. Non era un alleato. Era un pericolo.

«Qual è il tuo piano?» chiesi a bassa voce.

Aprì una mappa della città sul tavolo, segnando tre punti in rosso: il magazzino a nord, l’ex sede dei Moretti e… un deposito abbandonato in periferia. «Agiscono in fretta. Chiunque usi quel simbolo vuole scatenare apertamente una guerra tra clan. Se non interveniamo…» Mi guardò intensamente, chiedendo sì e sfidando al contempo.

Il mio cuore martellava. «Vuoi che mi unisca a te?»

Appoggiò un dito sul simbolo che avevo disegnato. «Ho bisogno della tua mente e del tuo istinto. E tu hai bisogno di risposte.» Un’ombra di vulnerabilità gli velò lo sguardo.

Inspirai profondamente, fissandolo negli occhi. «Se mi unisco, sarò dalla tua parte?»

Un lieve sorriso gli increspò le labbra. «A meno che tu non voglia vedermi come nemico.» La voce era roca, un sussurro emozionato.

Dante, il mio alleato, stava in un angolo, il volto teso ma lo sguardo che mi incoraggiava silenziosamente. Tra me e Salvatore si diffuse un sottile brivido: un mix tra calore rassicurante e pericolo imminente. Il suo profumo maschile mi avvolse, bollente e stordente.

«Sei sicura?» mi soffiò vicino all’orecchio. La sua voce fece vibrare il fondo della gola. «La tua scelta può distruggere tutto.»

Inspirai di nuovo. Le nostre braccia sfiorarono quasi. Un sordo richiamo nel mio cuore diceva “fidati”, mentre una voce più tagliente gridava “attenzione, è un mafioso!”.

Alzai il mento. «Voglio sapere chi ha ucciso mia madre. E perché quel simbolo è ricomparso.»

I suoi occhi si illuminarono. «Lo cercheremo insieme.»

In un lampo, i suoi uomini hackerarono un database segreto, scoprendo il nome di un progetto cifrato—“Operazione Luna”. Un nome che mio padre aveva sussurrato prima di morire. Se fosse vero, la strada davanti a noi era più pericolosa di quanto avessi immaginato.

Il telefono di Salvatore squillò all’improvviso: una melodia macabra come requiem. Inarcò un sopracciglio e mi guardò con gravità. «Sanno che stiamo muovendoci. Il tempo è contro di noi.»

Il mio petto scattò in su. «Chi sono “loro”?»

Chiuse gli occhi un istante. «I nemici di vecchia data della mia famiglia—pare che il loro nuovo capo voglia sfidarmi direttamente.» Il respiro gli si affrettò. «Usano quel simbolo per provocare.»

Istintivamente indietreggiai. Più cresceva la posta in gioco, più mi sentivo intrappolata. «E se… se perdiamo?»

Sorrise amaramente. «Non perderemo. Ho più paura di perdere te.»

Trattenni il fiato, la sua voce mi penetrava come un veleno dolce. Eppure la situazione era disperata.

Le luci del vicolo si spensero all’improvviso. Rimase solo il debole bagliore di una torcia fissata al muro. Udii passi rapidi: erano molti. «Arrivano,» sibilò Salvatore, trascinandomi dietro al tavolo.

Sul tavolo, il chip olografico che avevo studiato la notte prima si accese con un flebile bagliore: la sagoma di un bambino e di un uomo armato sotto la pioggia. Dicevano fosse la chiave dell’“Operazione Luna”. Ora ero certa: quel bambino ero io. E l’uomo armato? Forse lo stesso Salvatore, in un passato che non aveva mai confessato.

I suoi uomini imbracciarono i fucili, ma i loro volti erano tesi. «Non scherzano.»

Salvatore mi guardò con fredda dolcezza. «Ho messo la mia vita in palio per un’unica cosa—proteggere il tuo segreto. E proteggere te.»

Una porta di ferro sbatté con violenza. La sagoma di un uomo con guanti di pelle e pistola spianata si fece avanti. Si fermò sulla soglia, mi osservò—e riprodusse col dito il simbolo dei due serpenti. Un sorriso sinistro ne fece una minaccia.

Salvatore estrasse un piccolo coltello dalla tasca del mantello. Mi fissò. Il suo sorriso era metà sfida, metà invito. «Ora tocca a te, Lyora Wolfe,» mormorò. «Dimostra chi sei davvero.»

Ingoiai la saliva e feci un passo avanti. Il respiro si fece affannoso. Il soffitto del tunnel sembrava crollare, schiacciarci. Gli occhi del nemico brillavano di un’ambizione feroce. La mano di Salvatore si mosse sotto il mantello—pronta ad agire. E compresi che quella notte non era soltanto una guerra tra clan.

Quella notte era la guerra tra il nostro passato e il nostro futuro.

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