7. Tentami se puoi
Riven mi prende per il polso e mi trascina nel corridoio laterale, lontano dal frastuono della sala. Le luci, basse e tremolanti, disegnano ombre che sembrano muoversi da sole, come spettri che si allontanano quando ci avviciniamo. Il silenzio è pesante, quasi soffocante, rotto solo dal nostro respiro affrettato e dai passi che echeggiano nel vuoto. Il mondo esterno diventa lontano, come se fossimo sospesi in un altro spazio, fuori dal tempo.
Quando ci fermiamo, il mio cuore accelera. Mi sento stranamente vulnerabile, eppure non ho paura. Anzi, c'è qualcosa di magnetico nella sua presenza, una forza che mi attrae senza lasciarmi via di scampo. Il suo corpo si fa più grande quando si volta verso di me, e con un gesto rapido e preciso, posa un braccio contro la parete sopra la mia testa. L'altro braccio arriva subito dopo, creando una prigione che mi tiene ferma, immobilizzata, ma senza alcuna violenza.
Non posso scappare. Non che voglia farlo.
Rimango lì, incastrata tra la parete e il suo corpo, ma non ho intenzione di lottare. C'è qualcosa di profondo nel suo sguardo, una promessa silenziosa che non posso ignorare. I suoi occhi sono freddi, come ossidiana, ma brillano di una luce che mi cattura. In quel momento, tutto il resto scompare. Non c'è nulla e nessuno che possa distrarmi da lui.
La mia mente cerca di trovare un pretesto per allontanarlo, per mantenere la distanza, ma il mio corpo tradisce ogni pensiero di fuga. Lo guardo con uno sguardo che vuole sembrare indifferente, ma la verità è che dentro di me si scatena un turbine di emozioni.
«Hai goduto nel mettermi in imbarazzo.» La sua voce è profonda, roca, ma incredibilmente calma, come se stesse solo osservando un gioco che ormai ha deciso di vincere. Mi sfida con quelle parole, ma è solo un modo per mettere alla prova la mia resistenza.
Non rispondo subito. Mi prendo il tempo per osservare i suoi lineamenti, per capire il gioco che sta cercando di giocare. C'è una sensazione strana che mi serpeggia dentro: una parte di me vuole resistere, rimanere impassibile, ma un'altra parte… quella più oscura… mi spinge a sfidarlo, a non dargli la soddisfazione di cedermi.
«Non sei stato in imbarazzo. Ti ho tenuto testa. C’è una grande differenza.» La mia voce esce bassa, tagliente, quasi un sussurro. Non sono più la stessa di un istante fa. La tensione che cresce tra di noi mi ha cambiato, mi ha trasformata in un altro essere, qualcuno che sa esattamente cosa sta facendo, ma al contempo non riesce a fermarsi.
Riven non si muove, non cambia posizione. Non ci sono segni di rabbia nel suo comportamento. È come se stesse studiando ogni mio movimento, ogni parola che pronuncio, ogni battito del mio cuore. Il suo respiro è lento, misurato, mentre i suoi occhi non mi lasciano un secondo.
Inspira profondamente, e poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, solleva una mano e la fa scivolare tra i miei capelli. Il tocco è lento, misurato, ma incredibilmente intimo. Le sue dita passano tra le ciocche rosse con una delicatezza che sembra quasi finta, come se stesse cercando di nascondere la potenza che c'è in ogni suo movimento. Ma io lo sento. La sua forza è lì, sotto la superficie, ed è questa che mi travolge.
«Sei puro veleno, Anya.»
Le sue parole non sono un rimprovero, ma una constatazione. Le sento come se fossero un complimento, un riconoscimento del potere che mi scorre nelle vene. Sorrido. La sua mano si muove lungo la mia nuca, e il suo respiro è caldo sulla mia pelle, come una promessa non detta. In quel momento, mi sento come se fossi completamente esposta, nuda nella sua attenzione, eppure mi piace. Mi piace sentirlo così vicino, così presente.
«E tu sei troppo abituato a bere acqua minerale.»
La mia risposta è pronta, pronta a spingerlo più lontano, a vedere quanto sia disposto a spingersi. Non lo vedo, ma so che le sue labbra si incurvano in un sorriso. È un sorriso che sa di sfida, di qualcosa che è appena iniziato. La mia battaglia, la sua, sono la stessa cosa. Entrambi abbiamo qualcosa da perdere, ma anche da guadagnare. È questa l’adrenalina che ci spinge avanti, il fuoco che ci arde.
Eppure, non si muove. Non mi tocca più, ma il calore che mi ha lasciato addosso è ancora lì, pulsante, come se fosse un segno indelebile.
Sorrido, ma il cuore mi batte contro le costole come un tamburo di guerra.
La sua mano scende lungo la linea del mio viso, sfiorando la guancia. Non è una carezza. È una minaccia vestita da dolcezza.
«Pensavo fossi solo una pedina da muovere. Ma mi stai costringendo a rivedere l’intera scacchiera.»
La sua voce è roca, ma contenuta. Non c’è rabbia, non ancora. Solo qualcosa che assomiglia pericolosamente al desiderio.
«Hai paura di perdere, Riven?»
«Ho paura di volerti davvero.»
Il silenzio che segue è un morso.
Il respiro si accorcia. I nostri sguardi sono incatenati.
Lui si avvicina ancora. Il suo petto sfiora il mio. Il suo profumo – cuoio, sigaro e qualcosa di speziato – mi avvolge come una maledizione. Non riesco a respirare. O forse non voglio.
«Non sono uno di quegli uomini che si accontentano di un sì forzato, Anya. Se ti voglio… ti voglio consenziente. Tua la scelta. Tua la resa.»
Le sue parole mi trafiggono. Non me le aspettavo. Sono affilate come il suo taglio di capelli, come lo sguardo che ora mi scivola sulla bocca.
E per un secondo… solo un secondo… vorrei baciarlo.
Ma poi rido. Piano. Amaro.
«Peccato. Io non mi arrendo. Mai.»
Mi scosto. O almeno ci provo. Ma lui mi blocca con una sola mano, posata appena sulla mia anca. Il tocco è leggerissimo. Ma è come una catena.
«Non ti chiedo di arrenderti.»
Le sue labbra si avvicinano al mio orecchio, appena sfiorano la pelle.
«Ti sfido. Vediamo chi cede per primo.»
Mi lascia andare.
Io rimango lì, ancora incatenata al muro anche se non mi tiene più.
Quando Riven si allontana, si passa una mano tra i capelli con gesto lento, virile, come se stesse riprendendo il controllo… ma io so che gliel’ho appena fatto perdere.
E forse, lo sa anche lui.
Resto immobile, il respiro ancora sospeso contro la parete dove mi ha intrappolata. L’eco del suo corpo incombe ancora sul mio, come se la sua ombra fosse rimasta impressa nella pietra. Non è più lì, ma non se n’è andato davvero. Mi ha lasciata sola soltanto per farmi decidere. Se lo seguirò… o no.
Lo seguo.
Attraverso il corridoio con passo lento, calcolato, la seta del mio abito avorio che sfiora i fianchi come un sussurro peccaminoso. Rientro nella sala e il mondo mi esplode addosso: luci calde, fragranze opulente, il tintinnio dei cristalli e la falsità delle conversazioni in giacca su misura. Ma io non sento niente. Perché lo vedo.
Riven.
È lì, in piedi accanto al bar, un bicchiere tra le dita, la cravatta leggermente allentata, come se anche l’aria intorno a lui si arrendesse al suo volere. Una donna gli parla. Sorride. Gli sfiora il petto con un’unghia smaltata. Lui non la guarda nemmeno.
I suoi occhi sono già su di me.
Li sento prima ancora di vederli. Come dita invisibili che mi scorrono lungo la spina dorsale.
Mi avvicino. Ogni passo è una dichiarazione di guerra.
La conversazione intorno a lui si spegne, come se la mia sola presenza drenasse l’ossigeno dalla stanza. Gli uomini si scostano. Le donne mi guardano come si osserva un temporale: con invidia e timore.
Lui mi porge il bicchiere.
Lo guardo. E non prendo niente.
«Ho già abbastanza fuoco in corpo, grazie.»
Un sopracciglio si solleva. Appena. Ma è come se mi avesse afferrata per il mento e sfidato a mentire ancora.
«Strano. A me sembri fredda come il ghiaccio. O forse è solo la maschera che indossi per non tremare.»
Mi avvicino di un centimetro. Il cuore ruggisce, ma il mio viso resta impassibile.
«E tu sembri uno che ha costruito la propria vita su macerie fumanti. Ma continua a fingere che non puzzano ancora di bruciato.»
Silenzio.
Ma non è vuoto. È saturo. Di tutto ciò che non possiamo dire davanti a testimoni.
«Anya.»
Il mio nome sulle sue labbra non è un suono. È una lama suadente, sussurrata come un segreto che nessun altro deve udire.
Si muove. Un passo. Poi un altro. È vicino. Ma non mi tocca. Non deve farlo. Ogni atomo tra noi è già pelle contro pelle.
«Continua a giocare così… e finirai per ferirmi.»
Sorrido. Ma non è dolcezza. È masochismo puro.
«Perfetto. Così almeno saremo pari.»
Un fremito. Non sul suo viso, mai. Ma nella tensione del suo polso, nel modo in cui le sue dita si chiudono attorno al vetro come se volessero frantumarlo.
Poi si china.
La sua bocca sfiora il mio orecchio, appena. Ma il suo respiro è fuoco liquido che mi cola lungo la schiena facendomi rabbrividire.
«Ti avverto, piccola russa… Se mi ferisci, io guarisco. Ma tu, una volta che mi assaggi, non dimentichi.»
Il mondo si restringe. Tutto vibra sotto pelle. Il suo odore — cuoio, ambra, pericolo — mi si aggrappa ai polsi.
Mi allontana. Lentamente. Come un re che concede libertà per il puro piacere di riprendersela.
La musica cambia. Note morbide, lente, cariche di sottintesi. La sala si fa intima. Sensuale. Una trappola vestita d’oro.
Lui stende una mano. Un gesto elegante. Inesorabile.
«Balliamo.»
Non è una domanda. Non lo è mai stato.
La prendo. Perché voglio? No. Perché resistere, adesso, sarebbe peggio che cedere.
Le sue dita si chiudono sulle mie. Il palmo si posa sulla mia schiena nuda, caldo, fermo, rovente. La sua pelle contro la mia è una corrente sotterranea che sa esattamente dove condurre il fulmine.
Ci muoviamo. Un passo lento. Uno scivolare impercettibile di corpi che si odiano, si desiderano, si temono.
Le sue labbra sfiorano la mia tempia. Un bacio? No. Una minaccia.
«Dimmi, Anya… chi pensi stia dominando adesso?»
Il mio sorriso è lento. Spietato.
«Chi sta tremando di più.»
Un lampo nei suoi occhi. Un ombra che passa — è eccitazione? O pericolo?
Il ballo finisce. Ma niente in noi si spegne.
Ci stacchiamo. Ma il corpo urla ancora.
Il gioco è appena cominciato.
O, forse, è già troppo tardi per smettere.
Le note si dissolvono nell’aria, ma i nostri corpi restano immobili, troppo vicini. Il suo palmo indugia sulla mia schiena, come se non volesse lasciarmi andare. O forse sta solo aspettando di vedere se sono io a tirarmi indietro.
Non lo faccio.
Il respiro ci sfiora le labbra. Così vicini da poterci toccare con un sospiro. Così tesi da spezzarci con un soffio.
I suoi occhi sono scuri, lucidi, feroci. Ma lì dentro… c’è una fame più sottile. Più profonda. Qualcosa che non ha ancora deciso se mangiarmi viva o inginocchiarsi davanti al fuoco che porto dentro.
E io?
Io non sono da meno.
«Il ballo è finito, Riven,» mormoro, la voce un sussurro roco, ruvido, intimo.
«Ma tu non hai ancora deciso se vuoi baciarmi… o distruggermi.»
Un sorriso taglia le sue labbra.
«E se volessi fare entrambe le cose?»
«Scegli bene l’ordine. Potrei non lasciarti la seconda possibilità.»
Per un istante, restiamo lì. In perfetto equilibrio. Una scintilla sospesa tra due fiamme. Poi lui si scosta. Un passo indietro. Lento. Misurato.
Mi guarda come se mi avesse spogliata con lo sguardo. No, di più. Come se avesse già immaginato ogni singolo modo in cui potrei spezzarmi. O piegarmi. O annientarmi.
«Continuerai a sfidarmi così, Anya?» chiede, con voce bassa, quasi carezzevole.
«Finché non sarai tu a domandarti se vale la pena tenermi al guinzaglio… o se è più eccitante lasciarmi libera.»
Non risponde. Ma i suoi occhi…
I suoi occhi sono una tempesta che si trattiene per puro sadismo.
Si allontana.
Cammina tra la folla come un dio che ha appena deciso quale tempio bruciare. Ma io so che è solo un diversivo. Che ogni passo che fa lo riconduce a me.
Io, invece, resto ferma. Il cuore in gola, la pelle in allerta.
Ho danzato con il diavolo, e non ho perso l’equilibrio. Ma il fuoco che mi ha lasciato addosso… quello sì, brucia.
E il pensiero più pericoloso che mi attraversa... Non è che potrei innamorarmi.
È che potrei iniziare a desiderarlo davvero.
E poi succede.
Un uomo si avvicina. Gesto impeccabile, sorriso levigato.
«Le va un altro ballo?»
Non lo guardo nemmeno. I miei occhi sono ancora su Riven.
Non si volta. Ma si irrigidisce. Un attimo appena.
Quanto basta.
So che ascolta. So che attende.
«Volentieri.»
Rispondo piano, con quella calma che si ha solo quando si è certi di colpire il bersaglio.
Allungo la mano, lenta, decisa. E mentre mi lascio trascinare di nuovo nella danza, sento il brivido — non quello del corpo dell’altro, ma di ciò che ho appena innescato.
Perché se voleva il controllo, doveva stringere più forte.
E se pensava fosse un gioco… ha appena scoperto che so muovere anch’io i pezzi.
