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3. Dimmi che mi odierai

Il mio corpo si risveglia prima della mia mente. Un fremito sottile corre lungo la schiena, come se un filo invisibile mi stesse tirando fuori da un sogno. O da un incubo.

Apro gli occhi di scatto, come se mi mancasse l’aria.

E lo vedo.

È lì. In piedi, avvolto nella penombra della mia stanza.

Riven.

Immobile. Come un predatore che studia la sua preda nel silenzio più assoluto. La luce del mattino filtra dalle tende e scolpisce i contorni del suo viso come una lama affilata.

I suoi occhi sono fissi su di me.

Non si muove. Non parla.

Osserva. E basta.

Il mio cuore accelera.

Non per paura.

Non ancora.

«Che ci fai qui?» domando, cercando di mascherare il battito che mi martella nel petto. La mia voce esce roca, impastata dal sonno, dalla tensione.

Lui inclina appena la testa, come se stesse valutando se valesse la pena rispondermi.

Poi i suoi occhi si spostano lentamente verso l’abito da sposa, appeso alla parete. Bianco, rigido, freddo come una condanna.

«Stavo guardando quell’abito,» dice infine. La sua voce è bassa, vellutata, pericolosamente calma. «L’ho scelto prima di conoscerti. Ora mi sembra sbagliato.»

Mi sollevo a sedere, le lenzuola che scivolano lungo le mie gambe nude. Non me ne importa.

Voglio che mi guardi.

Che sappia che non mi spezzerà così facilmente.

«Avresti potuto farmi trovare anche un sacco di iuta. Sarebbe cambiato poco.» Lo fisso. «Quel vestito non ha alcun valore. Come questo matrimonio.»

Un lampo passa nei suoi occhi. Forse divertimento. Forse irritazione. Non riesco mai a leggere fino in fondo cosa pensa.

E forse è proprio questo che mi destabilizza.

«Non lo faccio per te, Anya.»

Fa un passo verso di me. Le sue spalle sembrano più larghe nell’ombra, la sua presenza riempie l’aria come un fumo dolce ma asfissiante.

«Lo faccio per me stesso. Non permetterò che la mia sposa sembri meno di quanto valgo io. Deve essere all'altezza.»

Sposa.

La parola mi colpisce come uno schiaffo.

«Quindi è solo una questione di apparenze?» sussurro. «Una bella cornice per un contratto sporco? Perché non ti limiti a firmare i documenti e chiudere la farsa?»

Lui sorride.

Ma non è un sorriso. È una minaccia.

«Perché tutti devono sapere. Devono vedere cosa si prova a usare la figlia di un traditore per creare qualcosa che appartiene a me. Un figlio. Un’eredità.»

Mi manca il fiato, ma non mostro nulla.

Inspiro lentamente.

Poi rispondo.

«E secondo te questo ti rende forte? Ti rende rispettabile, Riven? Perché non cercarti una principessa, invece di mescolarti con il sangue del nemico?»

Un passo ancora. Ora è troppo vicino.

Sento il suo profumo, scuro e intenso, qualcosa di proibito.

Sento la sua voce contro la mia pelle, non nelle orecchie.

«Perché sarai tu a volerlo, Anya.»

Una pausa.

«Tu vorrai restare. Tu mi vorrai. Lo farai per dare un senso alla tua esistenza, per non crollare. E mi odierai. Ma non abbastanza da lasciarmi andare.»

Il mio stomaco si stringe. Non per paura.

Perché una parte di me, quella più remota, più sporca, sa che ha colpito un nervo scoperto.

E mi fa rabbia.

Una rabbia che sa di desiderio.

Riven è ancora lì, in piedi accanto al letto, quando sposto le coperte e mi alzo lentamente. Non mi nascondo, non abbasso lo sguardo. Lo sfido apertamente, senza parole. E lui, come se raccogliesse l’invito, si siede sul bordo del letto, rilassato, ma mai davvero innocuo. La sua presenza è come acciaio sotto seta.

Lo osservo, e ogni muscolo dentro di me si tende. È bellissimo nel modo più letale che esista. Un uomo che non si abbassa mai. Non vacilla. Non si arrende.

Ma nemmeno io.

Mi muovo verso di lui, e quando sono abbastanza vicina, salgo con lentezza a cavalcioni sulle sue gambe. La sua espressione non cambia. Non si ritrae. Non si sorprende. È il re del controllo, e io sono decisa a romperlo, anche solo per un istante.

«Cosa ti fa credere che sarò io a voler restare al tuo fianco?» sussurro, le labbra sfiorano quasi le sue. «E se invece fossi tu a non lasciarmi andare? Se fossi tu, Riven, a non sopportare di perdermi?»

Gli lascio spazio per rispondere, ma lui tace. I suoi occhi, scuri e profondi come una notte senza stelle, mi penetrano. E poi accade.

La sua mano si solleva, lenta, decisa, e si posa sul mio collo. Le dita si allargano, forti, salde. Mi avvolgono la pelle con una forza che non fa male, ma fa tremare qualcosa dentro di me. Il suo pollice scivola sotto il mio mento, mi costringe a sollevare il viso, a guardarlo dritto negli occhi.

«Allora vorrà dire che ti terrò incatenata a me,» mormora, la voce bassa e ruvida, come pietra che graffia il silenzio. «Che tu lo voglia o no.»

Un brivido mi attraversa la schiena. Non ho paura. Non esattamente. È qualcos’altro. Qualcosa di più profondo. Qualcosa che brucia, che ti consuma lentamente.

Sento il cuore battere forte, ma non distolgo lo sguardo. Non mi allontano.

Mi aggrappo alla provocazione con la forza di chi non vuole cedere, anche se sa che il terreno sotto i piedi è già crollato.

«Non sono una tua proprietà,» dico, eppure la mia voce ha un tremito che mi tradisce.

Lui sorride. Lentamente. Oscuramente.

«Lo vedremo.»

Resto a cavalcioni su di lui, la sua mano ancora salda sotto il mio mento. Sento il suo respiro, lento e controllato, come tutto in lui. Ma io sono stanca di sentirmi studiata, valutata, giudicata come un’arma sotto esame.

«E se ti uccidessi?» mormoro. La voce è quasi dolce, ma nel fondo ha la lama dell’acciaio. «Ti senti così intoccabile da ignorare che potrei farti fuori mentre dormi? Che sono cresciuta con le mani sporche di sangue, e che non avrei nemmeno bisogno di sporcarmele ulteriormente per farlo?»

Finalmente la sua espressione cambia. Ma ancora una volta... Non è paura. Non è sorpresa. È... interesse.

Le sue dita si serrano appena sul mio mento, non per farmi male, ma per imporsi. Per mostrarmi chi detta le regole, anche in mezzo al fuoco.

«Avresti già dovuto farlo, se ne fossi davvero capace.» La sua voce è un filo di ghiaccio che scivola sotto la pelle. «Ma non lo farai. Sai perché?»

Lo guardo, stringendo la mascella. Non rispondo.

«Perché hai troppo da perdere, Anya. E perché io sono l’unico che può renderti libera... o distruggerti del tutto.»

Le sue parole entrano dentro, fredde e crude, ma vere. Io sono un’arma, sì. Ma lui è il burattinaio che sa come usarla.

«Ma il tuo talento...» continua, sfiorando con l’indice il mio collo, «...verrà utile. Molto presto. Ti voglio sveglia, lucida. Letale. Non mi servi come vittima. Mi servi come dannata regina.»

Un brivido mi sale lungo la schiena. E non so più se è per la paura. O per l’eccitazione.

Riven mi tiene ancora ferma con una sola mano, eppure mi sembra d’essere legata letteralmente con catene. La sua voce mi risuona nella pelle prima ancora che nelle orecchie. Ogni sua parola mi marchia.

«Ti piacerebbe uccidermi, vero?» sussurra. Le sue labbra sfiorano il bordo del mio orecchio. «Ma sei troppo intelligente per farlo. E troppo curiosa per lasciarmi andare.»

Chiudo gli occhi per un istante, tentando di ritrovare lucidità. Ma è come respirare sott'acqua. Tutto quello che so, tutto quello che sono, viene risucchiato in quell’istante malato, dominato dal desiderio e dalla rabbia.

«Non confondere la mia curiosità con la sottomissione.» La mia voce si fa tagliente, anche se il cuore batte come un tamburo. «Tu credi di conoscermi, ma non hai nemmeno scalfito la superficie. Non sai niente di me.»

Lui sorride, stavolta davvero. Un sorriso lento, sprezzante. Uno che dice: eppure sei ancora qui, seduta sopra di me, con le mani tremanti e lo sguardo acceso.

«Meglio così.» Si solleva appena, e con un movimento fluido, quasi felino, mi ribalta sul letto. Il mio corpo affonda nel materasso, ma lui non mi tocca oltre. Si alza in piedi, ricompone la camicia con una calma fastidiosa, mentre i suoi occhi non mi lasciano nemmeno per un secondo.

«Ci sono cose in arrivo, Anya.» La sua voce è tornata quella glaciale, di chi ha già previsto dieci mosse avanti. «Quando succederanno, voglio sapere che sarai dalla mia parte. Anche se mi odierai per questo.»

Mi alzo a sedere, il fiato ancora corto, i nervi in fiamme. «E se invece decidessi di vendicarmi?»

«Allora lo farai come mia moglie.»

Fa per uscire, ma prima di varcare la soglia si ferma e aggiunge, senza voltarsi:

«Preparati. Da domani, inizierai ad agire come una di noi. E il primo incarico non sarà a Mosca.»

La porta si chiude dietro di lui.

Io resto lì, ancora scossa. Non so se voglio ucciderlo. O se voglio baciarlo.

Forse entrambi.

E questa, più di ogni altra cosa, mi fa paura.

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