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CAPITOLO 2

A pranzo era seduta tra un signore e una signora che frequentemente si parlavano tra loro, davanti o dietro di lei, il che era molto imbarazzante. Alcuni dei commensali parlavano inglese, così Stefania poté partecipare saltuariamente alla conversazione; la quale fu molto varia, spaziando dal turismo alla famiglia all’arte, eccetera. In realtà il pranzo, che durò tre ore, fu assai interessante, perché la conversazione era vivace e tutti mangiavano e bevevano di gusto.

Per Stefania era tutto così diverso e nuovo e singolare… Ma le relazioni umane non le interessavano; non la attraeva passare ore o anche minuti a parlare, sia con gli estranei che con i conoscenti. In fondo non le importava niente degli altri; dopo una vita piena di abusi emotivi e umiliazioni, desiderava solo stare sola con sé stessa e guardare la televisione, o stare sui social a guardare le vite dei giovani, che tanto la incantavano, perché avevano tutta la vita davanti e riuscivano a emozionarsi per tutto. Avrebbe voluto vivere in una grande città dove nessuno si conosce, ma non aveva abbastanza soldi, e dopo aver vissuto quasi tutta la vita a Roma era finita, sola e con due lire, in un paesino di diecimila anime, dove non c’era niente, neanche la stazione ferroviaria. Ora avrebbe voluto tanto unirsi ai giovani nell’altra stanza; allora sì, sarebbe stato divertente, avrebbe potuto raccontare tante storie piacevoli e istruttive e avrebbe riso insieme a loro. Avrebbe potuto rivelare tante cose affascinanti a chi si affaccia all’età adulta. Perché lei così si sentiva nella testa, una ragazza che poteva dire tante cose della vita. Ma sapeva che la conversazione non sarebbe stata interessante per i giovani, anzi sarebbe stata sgradevole. Di più, sarebbe stato maleducato e imbarazzante da parte sua imporre una conversazione a senso unico. La sua mente borderline fantasticava di essere ammirata con affetto, al centro dell’attenzione… invece meno parlava e meno rischiava di dire cose fuori posto, che avrebbero imbarazzato e infastidito l’interlocutore. Era successo così tante volte… era stanca persino di desiderare una vita migliore… migliore era parlare da sola in casa, senza relazionarsi con nessuno, ma solo immaginando di relazionarsi.

Ogni tanto qualcuno della famiglia veniva a vedere se gli ospiti di quel tavolo fossero soddisfatti. Una volta venne anche Porpoise. Oltre a essere di una bellezza al di là dell’incredibile, era un vero signore, e a Stefania in particolare, che era completamente nuova a tutto, regalò uno splendido sorriso, che diede un senso a tutta la giornata. Tun fu così dolce da passare a salutarla verso la fine del pranzo e le disse che avrebbe potuto chiedere un espresso; la madre di Porpoise lo aveva previsto, sapendo che veniva un’italiana. Stefania fu l’unica a prendere il caffè; si mise in piedi davanti a una finestra della cucina, a guardare fuori. Ma Tun la raggiunse e la abbracciò. Era molto felice di conoscerla finalmente di persona, e Stefania era davvero commossa. Le chiese scusa per non averle potuto dedicare neanche dieci minuti, e si accordarono per pranzare insieme il giorno dopo. Tun le disse, abbassando la voce come per dire un segreto, che in capo a dieci giorni sarebbero partiti tutti e sei per il militare. Stefania rimase sbigottita e non seppe che dire.

― Ma mi hai preso un albergo a Seul per un mese! ― esclamò.

― Sì, è vero, ma non potevo dirti niente del militare. Era una notizia segretissima e lo è ancora. L’annuncio verrà fatto domani. Ho voluto regalarti un mese a Seul, spero che ti divertirai anche senza di me.

― Oh Tun, che notizia! Mi dispiace tanto!

― Perché ti dispiace? Gli uomini coreani sanno fin da bambini che devono fare il servizio di leva. Tutti gli idol…

Qualcuno lo chiamò, e Stefania uscì a prendere un po’ d’aria.

La passeggiata le fece bene. In casa stavano tutti bevendo abbondantemente, ma lei non esagerava mai, mentre quel giorno aveva già bevuto più del solito. I giovani cominciarono a giocare all’aperto, a rincorrersi e a gridare, smaltendo in fretta il pranzo e l’alcool. Ben presto misero della musica e tutti ballarono, anche gli adulti. Stefania rideva e batteva le mani; le piaceva tanto guardare la gente divertirsi, ma si guardò bene dal muoversi, perché non voleva dare spettacolo. Era di gran lunga la più grossa fra tutte le signore presenti. Ma alla fine fu trascinata dalle due mamme di Porpoise e di Tun e si divertì anche lei a ballare, rinunciando mentalmente a preoccuparsi della inevitabile brutta figura. In realtà erano tutti suoi complessi personali, non ballava diversamente dalle altre signore. Ma tanto nessuno la stava guardando.

Quando rientrarono, tirarono fuori le chitarre e cominciarono a cantare. Ognuno doveva dedicare una canzone a Porpoise, anche gli adulti. Anche a Stefania fu chiesto di cantare qualcosa in italiano. Lei si schermì ma non poteva rifiutarsi. Mandò la sua mente a fare un viaggio astrale, perché non le fosse di intralcio mentre faceva la cosa più orrenda della sua vita: cantare davanti ai SEAL.

Cantò Amandoti dei CCCP e venne molto apprezzata; sapeva di cantare bene, aveva cantato nel coro della parrocchia per molti anni. Grazie al cielo andò tutto bene! Ebbe un attimo di notorietà e Porpoise e Dolphin (Park Ilchu) la presero anche un po’ maliziosamente in giro, prima di dimenticarsi di nuovo della sua esistenza.

― Ma questa canzone è per me o per Porpoise? ― scherzò Dolphin.

― Per il compleanno di Porpoise. Auguri per la tua splendida vita, Porpoise, ― rispose Stefania, e applaudì un poco, sorridendo.

― Ma io sono più grande e molto più bello di lui, ― scherzò Dolphin. Stefania gli mandò un bacio con le dita. Tutti risero e Stefania semplicemente si ritirò in bagno, a prendere un’altra pasticca di valeriana.

Mentre il sole cominciava a tramontare, la gente girava pigramente dentro e fuori la splendida tenuta. Il fratello di Porpoise tirò fuori una enorme moto con larghi battistrada, e tutti i ragazzi si precipitarono ad ammirarla, urlando. Otary (Moon Suwoo) era quello che urlava di più; voleva a tutti i costi provarla, anche se un battaglione di produttori, compreso il signor Mun, corsero a dissuaderlo, forse perché per contratto non poteva andare in moto. Tutto questo Stefania lo immaginava, perché non capiva il coreano. Ma se, tanto, fra una settimana doveva partire per il militare, che gliene importava? Anche molte signore si avvicinarono per dire la loro, aumentando il baccano. Ma Otary salì ugualmente sulla moto e fece rombare il motore. Sembrava felice come un bambino. Stefania vide che tutti i ragazzi, a uno a uno, si rifiutavano a gran voce di salire sul sedile posteriore; e poi anche tutti gli adulti, soprattutto le signore. Otary fece un giro del cortile alla ricerca di un passeggero. Urlò qualcosa di apparentemente offensivo ai giovani, poi posò lo sguardo sulla signora italiana, che rideva eccessivamente, avendo dimenticato il ferreo protocollo. Le urlò in inglese di salire dietro e Stefania rimase a bocca aperta, completamente impreparata alla situazione. Ma dato che Otary insisteva, perché non voleva provare la moto da solo, voleva un compagno di giochi, Stefania salì senz’altro. Era abbastanza agile per la sua stazza, ma dovette comunque appoggiarsi alle splendide spalle del ragazzo. Era incredibilmente felice. Gli ospiti intanto urlavano e ridevano.

Era emozionatissima; dentro, urlava per la gioia. Non le sembrava vero. Si aggrappò saldamente ai due maniglioni laterali, ma non toccare il ragazzo era impossibile. Tuttavia ebbe la padronanza di spirito di non chiedere scioccamente scusa. Otary partì a razzo, urlando, e continuava a urlare e a ridere. Non indossavano neanche il casco. Anche Stefania rideva, era pazza di gioia; sarebbe stata felice con qualsiasi ignoto giovane alla guida, ma naturalmente il fatto che fosse Otary la mandava in visibilio. Cercava di godersi ogni secondo e di memorizzare ogni centimetro del ragazzo. Otary fece un paio di volte il giro della tenuta; l’aria pura entrava nei polmoni e ne usciva sotto forma di urla. Urlava anche a Stefania, le chiedeva in inglese se si stesse divertendo, se le piacesse, e lei urlava di sì. Al terzo giro cominciò a cadere una leggera pioggerellina.

― Torniamo, ― disse Otary. Accelerò sul sentiero scosceso. L’asfalto bagnato era divenuto scivoloso. In curva, in discesa, Otary perse il controllo della moto, che uscì di strada e si diresse a folle velocità verso la scogliera. Continuarono a volare nel vuoto per alcuni secondi, poi la moto si schiantò cinquanta metri più sotto.

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