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Capitolo 6

Eddy fu molto felice per l’esame positivo che avevo concluso con i suoi due tori. Mi aveva fatto sapere che mi aspettava, trepidante, nel suo vecchio studio per pagare il mio lavoro e organizzare la serata.

Non volevo deluderlo, dovetti costringere le mie stanche membra a resistere ancora un giorno, poi l’indomani sarei partito.

Ero spezzato in due.

Avevo passato una notte insonne.

Paul aveva occupato la maggior parte dei miei pensieri, ma era il volto di Shone che mi aveva perforato il cervello. I sensi di colpa sembravano divorarmi, dilaniarmi, io non volevo un’altra storia, non desideravo legarmi a qualcuno, avevo paura, una fottutissima paura di soffrire ancora.

Giunsi di fronte allo studio e bussai, non sentendo nulla dall’altra parte abbassai la maniglia e spinsi la porta lentamente prima di entrare. Quando mi accorsi che McGregor stava parlando con Shone mi morsi il labbro e mi apprestai ad indietreggiare.

“Vieni, vieni avanti James.”

Lo feci ed entrai evitando di guardare quel maledetto mandriano che mi aveva fatto girare la testa come un ragazzino.

“Dicevo a Shone che mi piacerebbe che ti portasse su con la mandria, sarebbe l’ultimo sforzo che ti chiedo prima di andartene. So che vuoi partire con un giorno di anticipo, eppure vorrei che, prima di buttare giù il tuo articolo, vedessi la mia terra, in modo da raccontare in che contesto si sviluppa la mia azienda.”

Un tuffo al cuore m’impedì di proferire parola, Shone lo interpretò come un netto rifiuto così intervenne e la sua voce fu come una pugnalata dolorosa.

“Eddy lascia stare. James è stanco, sarebbe meglio che si riposasse. Non preoccuparti per quello che ci siamo detti, non era importante credimi.”

Il vecchio assunse un’espressione delusa, quasi triste, fu in quel momento che compresi quanto fosse enorme la mia fragilità, la mia vigliaccheria.

Avrei pagato chissà cosa per fottermi Shone, e adesso la cosa mi stava sfuggendo di mano.

“No, va bene” dissi tutto d’un tratto “è’ una bella idea Eddy, accetto volentieri” aggiunsi.

Il vecchio esultò “Bene, è già tutto organizzato. Andate ragazzi, ci vediamo domani mattina.”

Shone lasciò lo studio senza guardarmi in faccia, restai basito per un istante poi lo seguii a distanza.

Lo vidi sellare due cavalli.

Compiva i gesti con rabbia, irritazione e stizza.

Probabilmente il mio modo di fare lo aveva innervosito al punto di perdere la pazienza.

Eppure restai estasiato a guardarlo, la sua forza m’inebriava, le sue movenze mi eccitavano e quando era arrabbiato diventava ancora più bello ai miei occhi.

“Hai finito di fare la bella statuina? Datti una mossa!” sbraitò, fissando il suo sguardo su di me..

Mi scossi, raggiunsi il mio cavallo e montai in sella.

Cavalcammo in silenzio per un paio di chilometri.

Il fatto di non vedere vacche all’orizzonte mi preoccupò alquanto così domandai “Dov’è la mandria?”

“Ancora un chilometro” rispose secco senza guardarmi in faccia.

D’accordo non ero un mandriano, ma col panorama che mi si stagliava innanzi risultava assurdo non vedere le vacche davanti a noi.

Ad un tratto, in un’area delimitata da una strada sterrata notai un Pic-Up di grandi dimensioni.

Shone deviò verso quell’auto, si avvicinò, smontò da cavallo e disse “Scendi, siamo arrivati.”

Il mio stupore lo fece sorridere.

“Cosa significa?” chiesi allarmato.

“Eddy ci ha regalato una serata a Phoenix, dai vieni ti porto con me a ballare.”

Non seppi dire una parola, solo il cuore partì impazzito in un tumulto di emozioni.

Shone aprì il baule, due sacche da viaggio erano adagiate ordinatamente, segno che avevamo anche un cambio con noi.

“Abbiamo anche una camera prenotata per la notte, Eddy ha pensato a tutto.”

Lo guardai attonito “E se avessi rifiutato?” lui si avvicinò, sentii il profumo della sua pelle inondare le mie narici, e una vampata di calore impossessarsi del mio membro, gonfiandolo in un’erezione incontenibile “Ho corso il rischio” disse, puntando i suoi occhi azzurri su di me.

“Solo una scopata James, solo una scopata, poi ti lascerò andare” aggiunse ritraendosi.

“Sta bene” risposi con voce rotta.

Arrivammo in prossimità di un enorme capannone, l’insegna non lasciava dubbi, si trattava di un locale adibito alle scommesse sui cavalli.

“Che significa?” , chiesi corrugando la fronte, “Aspetta” disse con un sorriso “un po’ di pazienza e capirai” concluse.

Aprì il baule, estrasse le sacche col cambio e mi fece strada.

Appena entrati, passammo attraverso una miriade di tavoli dove decine di persone discutevano animatamente.

Donne e uomini puntavano mazzette da cinquanta dollari sperando di rifarsi una vita. Shone m’indicò una porta di legno proprio dietro al bancone delle scommesse.

Un uomo in divisa sostava davanti ad essa in attesa, probabilmente era un luogo riservato non accessibile a tutti.

“Ciao George” disse rivolgendosi a quello, il mio sguardo sorpreso non gli impedì di regalarmi un sorriso.

“Shone”, rispose, e immediatamente si scostò per farci entrare.

Scendemmo una rampa di scale, sulla destra due camerini erano disponibili per cambiarci i vestiti.

Entrai nel mio e Shone si apprestò ad occupare l’altro.

Fui il primo ad uscire, Shone mi raggiunse dopo qualche minuto.

Senza quel cappello e privato degli abiti da mandriano, mi apparve come una visione.

La camicia bianca, le cui maniche arrotolate sugli avambracci mettevano in mostra le sua pelle abbronzata e tonica, gli fasciava il torace muscoloso, conferendogli un’aria di classe, mentre i pantaloni scuri e morbidi lo facevano apparire come un attore uscito da un set cinematografico.

“Sei...da togliere il fiato”, dissi.

Lui si avvicinò, le sue labbra sfiorarono le mie.

“Anche tu” disse, prendendomi per mano.

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