Capitolo 3: Il Dio del Rock
L’arena era immersa nell’oscurità. Un silenzio surreale aleggiava nell’aria, un battito di attesa che sembrava sospeso nel tempo. Migliaia di persone si accalcavano sotto il palco, un mare infinito di corpi in movimento, visi illuminati a intermittenza dai flash dei telefoni. Alcuni chiamavano il suo nome, altri stringevano cartelloni con frasi delle sue canzoni, ma tutti trattenevano il fiato.
Poi, un colpo di batteria squarciò la quiete. Secco. Potente.
Le chitarre esplosero in un ruggito elettrico, un suono brutale e primordiale che fece vibrare il pavimento sotto i piedi del pubblico. La folla impazzì, un’ondata di grida che si levò nell’aria come un boato. Le luci si accesero con un bagliore improvviso, danzando in un turbine di colori accecanti. E fu allora che apparve lui.
Damon Hayes.
Un’ombra nera al centro della scena.
Vestito di pelle, il microfono stretto tra le dita, l’aria di chi possiede il mondo. I capelli scuri gli ricadevano sugli occhi, lo sguardo affilato come una lama rifletteva la luce dei riflettori. Con il solo peso della sua presenza, dominava il palco, magnetico e impenetrabile. Ogni suo movimento trasudava sicurezza, ogni gesto era un richiamo ipnotico che trascinava il pubblico in un vortice di energia.
Il silenzio durò un attimo. Un battito di ciglia.
Poi Damon alzò gli occhi e parlò.
«Siete pronti a perdere il controllo?»
L’urlo della folla fu assordante.
La musica esplose.
La sua voce ruggì nell’aria, profonda e graffiante, colma di emozione. Cantava come se ogni parola fosse un pezzo della sua anima, come se ogni nota fosse una cicatrice che prendeva vita sotto i riflettori. Il pubblico era in delirio, ondeggiava al ritmo della musica, si lasciava trascinare in quell’universo fatto di dolore e ribellione, passione e desiderio.
Sul palco, Damon era una leggenda vivente.
Ma fuori da lì, era un enigma.
Dodici anni prima era solo un ragazzo con una chitarra e troppi sogni. Ora era il leader indiscusso dei The Stars, la rock band che aveva rivoluzionato il panorama musicale. Il loro ultimo album aveva polverizzato ogni record, ogni singolo era diventato un inno generazionale, e i tour registravano il tutto esaurito in ogni città.
Ma la fama aveva un prezzo.
I media lo dipingevano come un genio ribelle, un uomo che trasformava il dolore in poesia e il peccato in arte. I titoli dei giornali si sprecavano: Il Dio del Rock, L’anima oscura della musica, Il cantante maledetto. Ma Damon non concedeva interviste, non parlava mai della sua vita privata.
L’unica cosa che lasciava parlare per lui era la musica.
E quella sera, mentre la sua voce si diffondeva nell’arena e le sue dita danzavano sulla chitarra, Damon si sentì vivo.
Anche se, nel profondo, era più solo che mai.
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Nel camerino
L’aria era satura di fumo e profumo di whisky. Il frastuono del concerto si era attenuato, lasciando spazio a un sottofondo confuso di voci e risate. La porta si aprì di colpo e Jake, il batterista della band, entrò con un sorriso sornione.
«Spettacolare come sempre.»
Damon si tolse la giacca di pelle e si passò una mano tra i capelli ancora umidi di sudore. Si lasciò cadere sul divano di pelle nera, afferrando una bottiglia di bourbon.
«Già,» rispose con voce roca.
«Dovresti festeggiare. I critici stanno definendo questo tour un capolavoro.»
Damon bevve un sorso e si lasciò andare contro lo schienale. Sapeva di aver dato il massimo, lo sentiva nelle ossa, nei muscoli tesi, nel battito accelerato. Ma gli applausi, il successo, i titoli sui giornali… nulla riusciva più a dargli quella scarica di adrenalina che aveva provato anni prima.
Perché mancava qualcosa.
O meglio, qualcuno.
Jake si versò un bicchiere e lo studiò per qualche istante. «A cosa pensi?»
Damon sorrise amaramente. «A niente.»
Bugia.
Il suo passato lo perseguitava ogni giorno. Lo trovava nelle canzoni che scriveva, nelle melodie che creava. E lo vedeva, soprattutto, negli occhi di ogni donna che provava a dimenticare tra lenzuola stropicciate e baci senza significato.
Ma nessuna di loro era lei.
Bonny.
Non la vedeva da dodici anni. Eppure, il suo volto lo tormentava. Gli occhi nocciola, i capelli ramati, quel sorriso che sapeva essere luce e tempesta allo stesso tempo. Era stata la sua musa, la sua dannazione, la sua più grande perdita.
E non aveva mai avuto il coraggio di cercarla.
Forse per paura.
Paura di scoprire che lo aveva dimenticato.
Che era andata avanti senza di lui.
Damon si massaggiò le tempie, chiudendo gli occhi per un attimo. Si era detto mille volte che certe storie appartenevano al passato.
Ma il destino non aveva ancora finito di giocare con lui.
Molto presto, il passato sarebbe tornato a bussare alla sua porta.
