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Capitolo 3 - Il frappé mi piace, ma non sul mio Sei di corvi!

Sulla soglia dell’affollatissimo locale di Alì, indugiava un gruppo di ragazzi uscito direttamente dalle spiagge assolate di Baywatch. Dimostravano ad occhio e croce la sua età. Due di loro fingevano, con molta fantasia, un incontro di pugilato; subito dopo in coda una tipa, i cui capelli parevano un cartellone pubblicitario di una marca famosa di lacca, digitava velocemente la tastiera del suo smartphone senza guardare dove mettese i piedi, o meglio i vertiginosi tacchi quattordici, certa che il babbeo friedzonato che le trotterellava accanto avrebbe eliminato gli ostacoli al posto suo. Eleanor ci avrebbe scommesso il suo prezioso Sei di corvi che stava postando su Istagram l’ultima foto mattutina, distesa alla cleopatra su un divano con addosso un pigiama griffato di Victoria secret, con l’ashtag #semplicementeme e #nofilter. A chiudere la fila c’era una giovane coppia di scopa-amici appiccicati come due ventose l’uno all’altra. Il tizio alto quanto un grattacielo sussurrava paroline sconce alla finta bionda platinata. Aveva l’aria di una che nel caso in cui le si fosse spezzata un’unghia fresca di manicure avrebbe contattato subito l’ambulanza. Eleanor sorvolò sul tintinnio, falso e accuratamente studiato per il compiacimento del sesso opposto, della risata della barbie ossigenata avvinghiata ai pettorali tersi del ragazzo-grattacielo, ma non riuscì a fuggire alla forza magnetica dell’occhiata sorpresa e bruciante che le riservò.

Dopo molto tempo si sarebbe chiesta cosa l’avesse spinta ad annegare negli occhi di quel ragazzo che portavano con sé i colori della tempesta e l’odore crepitante dell’ozono fra quei flessuosi riccioli neri. Anche i suoi occhi, incorniciati da sopracciglia nere piuttosto curate, ricambiavano lo sguardo. Nessuno dei due aveva il coraggio di sbattere le palpebre, come se avessero ingaggiato una sfida in stile mezzogiorno di fuoco. Erano rimasti impigliati nella stessa rete. La sua mascella volitiva, con uno spruzzo appena accennato di barba del giorno prima, si serrò come se si stesse segando i denti dietro le linee severe delle sue labbra, di cui s’intuiva la curva più morbida di quello inferiore. Gli angoli spigolosi del suo viso parevano così affilati che ti ci saresti potuto ferire, sfregandogli contro. Le sue braccia erano abbastanza tornite da lasciarle credere che fosse uno di quei tipi in fissa con la palestra, il tipico psicopatico che da un nome a ciascuno dei suoi bicipiti, cospargendoli di olio profumato con l’autocompiacimento di chi li bacia amorevolmente prima di andare a letto, come se fossero i suoi bambini. E avrebbe scommesso il suo libro che sotto quella maglietta bianca di fino cotone custodisse l’immancabile tartaruga scolpita dagli angeli con mazzuola e scappello. Riconobbe con estrema riluttanza la sua fastidiosa bellezza scultorea da galleria degli uffizi e comunque non era minimamente paragonabile all’arroganza dei suoi ghigni autoreferenziali.

Avete presente il magico ed illusorio istante in cui le anime racchiuse negli occhi di due amanti separati dai capricci del destino s’infrangono come meteoriti in collisione e, riconoscendosi come uguali, danno inizio all’etereo concetto astratto dell’amore eterno?

Ecco. Dimenticatevi gli improbabili incontri fatalistici fra anime gemelle tipici dei romanzi ottocenteschi. Questa storia porta con sé il lezzo viziato della cruda realtà e ha poco a che vedere con l’amore a prima vista o con l’eleganza magniloquente di quei capolavori intramontabili, perché dalla violenza dello sguardo che si erano scambiati quei due, era nato qualcosa di crudelmente più intenso e brutale capace di togliere il sonno e il respiro in un solo colpo.

Sì. Si trattava senza ombra di dubbio di odio a prima vista.

Lo sapevano entrambi. Senza nemmeno provare a conoscersi, erano sicuri che incarnassero reciprocamente l’uno per l’altra tutto ciò che di più detestabile racchiudesse il mondo per loro. Era una prova inconfutabile intrisa della stessa materia di cui erano fatti, reale e dimostrabile con accuratezza da solide basi scientifiche tanto quanto il teorema di Pitagora. Il richiamo di miss tintura biondo barbie forzò il ragazzo a darle le spalle e le assicurò la vittoria di quella sfida di sguardi. Quell’odio inaspettato le aveva lasciato una traccia infuocata sul petto ancora zampillante di scintille vive, e proprio mentre lui e il suo gruppo si avvicinavano al loro tavolo, si chiese se anche per lui fosse stato lo stesso. Non le sfuggì il benvenuto caloroso che gli riservò quella serpe di Alì da dietro il bancone alle prese con la preparazione di un caffè macchiato senza schiuma. Già lì risuonò il primo campanello d’allarme, ma alla fine decretò che doveva darci un taglio con quelle patetiche paranoie. Ma poi le farfalle incrisalidate nel suo stomaco cominciarono a svolazzare impazzite nel suo organo digestivo quando James ricambiò vigorosamente la stretta di mano del fulcro del suo odio, senza togliere il braccio attorno al collo della sua amichetta con quel irritante sorriso appiccicato sulle labbra dipinte di un rosso acceso. A quel punto tutto il suo risentimento, misto a un’insolita gelosia possessiva, si riversò sul suo ignaro amico d’infanzia. Lo spilungone aveva fatto il suo ingresso da nemmeno due minuti e già stava provando a invaderle il territorio. Quindi innalzò lo scudo e si mise sulla difensiva. Anche loro dovevano essere stati grandi amici e la conferma non tardò ad arrivare.

«James Morales, veterano delle migliori smutandate della mia adolescenza, sei davvero tu?» lo chiamò tradendo sorpresa. La sua voce era di una profonda tonalità baritonale che sprizzava cannonate di feromoni in grado di attirare l’attenzione di qualsiasi essere femminile respirante. Ovviamente su di lei non ebbe alcun effetto. Non mosse i suoi occhi dalle pagine e continuò a fare finta che non esistessero. Anche se doveva ammettere che era più difficile concentrarsi.

«Quanto tempo è passato? Mi sembra trascorsa una vita dall’ultimo anno di liceo».

«Tommy Clarckson, il ragazzo prodigio della squadra di baseball della Winthrop High School. Non abbastanza, dopotutto» replicò James freddamente. Qualcosa le suggerì che avrebbe voluto aggiungere altro, ma era come se fra loro ci fosse un tacito accordo, la stessa complicità di due che avevano seppellito un cadavere in un giardino e che si coprivano a vicenda. Sarebbe stato difficile non notare il suo sarcasmo pungente. Forse non erano stati amici come lei aveva creduto…Sembrava esserci una ferita fra loro ormai del tutto cicatrizzata. James era piuttosto bravo a buttarsi i vecchi rancori alle spalle.

Clarckson rise nervosamente della sua allusione mentre i suoi amici lo squadrarono come un insetto da schiacciare sotto la suola delle loro Convers «Bè ti trovo piuttosto bene, chi non lo sarebbe con le tasche gonfie che ti ritrovi».

«Tu, invece, non sei cambiato affatto» disse James con un sorriso che non sfiorò gli angoli dei suoi occhi di ghiaccio. Non voleva essere un complimento, ma Tommy non parve abbastanza perspicace da cogliere il distacco.

«È così che funziona. La perfezione non ha bisogno di nessuna miglioria» fece spallucce con la più ipocrite delle modestie che Eleanor avesse intravisto con la coda dell’occhio. La sua voce per lei aveva la stessa gradevolezza di un martello pneumatico piantato nel cervello. Forse non riuscì a nascondere così bene quel suo sfuggente verso di stizza e canzonatorio, perché in un attimo ebbe la sgradita attenzione di Tommy tutta per sé.

«Non mi hai ancora presentato la tua allegra compagnia» esclamò con vivido scetticismo e mettendo particolare enfasi sulla parola “allegra”, sottintendendo che se al posto suo ci fosse stata una pianta non avrebbe fatto granché differenza. La ragazza accanto a lui studiò a fondo i capelli vittima dell’umidità di Eleanor e il suo abbigliamento mal assortito, frutto delle dure leggi del caos del suo guardaroba, come se si stesse trattenendo da infilarsi due dita in gola per vomitarle addosso. Ma Eleanor era troppo impegnata a detestare il suo amichetto per provare vergogna dei suoi discutibili gusti in fatto di moda.

Tommy si schiarì la gola aggiungendo «L’ultima volta che ho controllato ti piacevano quelli con un po’ più di peli sul mento». Condì quella battuta fuori luogo con un sorrisetto ebete ammaestrato per fare bella mostra di una schiera di denti ben smaltati e delle sue fossette.

Odiose fossette.

I suoi amici non si preoccuparono di non sghignazzare apertamente. Gli occhiali di Eleanor le erano scivolati dal naso come sempre, ma non si degnò di muoverli da lì, né di accennare alcun sorriso di cortesia, più che altro per dimostrargli che la sua battuta era brutta tanto quanto il suo insignificante senso dell’umorismo.

«Ti confesso che non sono ancora immune al fascino di una barba incolta, e lei è Eleanor, amica d’infanzia nonché sorella per adozione» disse lui facendole l’occhiolino «frequenta il corso di filosofia alla Columbia, non studi economia anche tu lì? Mi sembrava di ricordare che tuo padre fosse in ottimi rapporti con il rettore dell’università».

Tommy inarcò un sopracciglio, congratulandosi segretamente di quella allusione non troppo velata al circolo illegale di mazzette di cui persino quel prestigioso ateneo, famoso per la selettività ermetica dei suoi studenti, si era sporcato le mani fino ai gomiti. Un muscolo spasmodico guizzò nella mascella del ragazzo in preda a una momentanea irritazione, ma dissimulò in fretta il suo disagio con quello che Eleanor avrebbe imparato a chiamare broncio da impunito incallito. Se James voleva metterlo in cattiva luce di fronte alla sua cricca, avrebbe dovuto osare molto di più.

«Giocano a minigolf tutti i venerdì» dichiarò Tommy annoiatamente.

«Già, paparino lo lascia vincere e in cambio lui chiude un occhio sui suoi scarsi progressi curriculari» aggiunse giocosamente uno dei due wrestler amatoriali di prima, quello con il ciuffo biondo fissato indietro dalla saliva di una mucca. Sentiva i suoi occhi addosso già da un po’, ma lei era in modalità invisibile e non riusciva a capire come avesse trovato l’unica crepa della sua armatura di “non sono affatto interessante, perciò girate alla larga”. Forse avrebbe dovuto coprirsi di più il viso agguantando un paio di ciocche umidicce dalla treccia o ingobbire di più le spalle, incassando il collo in modo tale rafforzare il suo status di guscio impenetrabile…

Ciò nonostante, il biondino era l’ultimo dei suoi problemi. Gli occhi di Tommy parevano accoltellarla a sangue vivo. Non sapeva dire cosa stesse cercando in lei con tanta insistenza o perché le riservasse quello sguardo di odio ben radicato da qualche trascorso non esattamente idilliaco di cui lei evidentemente non era stata messa a conoscenza, ma non gli avrebbe permesso di dilungarsi oltre.

Fece il modo di raccogliere tutto il disprezzo a sua disposizione nei suoi occhi e lo fissò a sua volta in modo che lui potesse leggerglielo senza alcun fraintendimento. Non era difficile in fondo. Dopo una intera adolescenza trascorsa ad arrancare e a mangiare la polvere di chi non aveva dovuto faticare molto per raggiungere le ambite vette che a lei erano state precluse, sapeva riconoscere il puzzo immondo delle banconote spruzzato sui suoi abiti costosi. Per lei mai nessuno aveva srotolato il tappeto rosso o avrebbe soddisfatto i suoi desideri con uno schiocco di dita. Si era rassegnata già da molto di non poter disporre di un paparino sgancia grana ad ogni suo capriccio, al massimo poteva accontentarsi di ricevere la cartolina di una spiaggia esotica da lui visitata, comprata a pochi spiccioli al primo negozio di souvenir, e delle poche briciole di affetto paterno scribacchiate di fretta sul retro, come se con quei suoi “vi voglio bene ragazze” avrebbe potuto cancellare il vuoto cosmico che le aveva lasciato dentro.

«Wow vacci piano, Chris! Che idea vuoi che si faccia di me? Li faccio anch’io i compiti a casa!» protestò lui, fingendosi offeso. La sua groupie pareva l’unica abbastanza perspicace da ridere alle sue battute o troppo stupida per fingere di capirle tutte. Nel dubbio buttava qui e lì un risolino isterico.

«Sì, certo l’ultima volta che hai aperto un libro è stato quando ancora cercavi di imparare le vocali e consonanti e non sono sicura che nemmeno il quel caso tu l’abbia fatto» chiosò la social influencer senza staccare gli occhi dallo smartphone. Tommy le lanciò un’occhiataccia, mentre a Eleanor quell’antenna parabolica fissata con la lacca che si ritrovava in testa cominciava a dispiacerle sempre di meno.

«Comunque non ti ho mai vista al campus, di sicuro mi sarei ricordato di una come te se l’avessi vista in giro» disse Tommy rivolgendole direttamente la parola. Eleanor cercò disperatamente di mantenere la calma e incrociò il suo sguardo, sperando di poterlo incenerire all’istante. Gli occhi laser dovevano avere qualche difettuccio di calibrazione. Peccato, sarebbe stato un bello spettacolo.

Prese un bel respiro, affilò la lingua e parlò «Filosofia sta dall’altra parte del campus rispetto a economia, non mi sorprende che le nostre strade non si siano mai incrociate. E comunque che cosa intendi esattamente per una come me? Non è carino stereotipare una persona al primo accenno di cordiale conversazione, quindi potresti essere più specifico?» gettò tutto d’un fiato, lasciando che le parole s’incastrassero l’una con l’altra.

Tommy rimase interdetto, come se avesse dato per scontato che lei non fosse altro che un sopramobile incapace di rispondergli a tono o che restasse troppo intontita dalle sue fossette per formulare pensieri coerenti.

«Oh, non hai capito la domanda? Ripeto più lentamente se vuoi…non c’è problema».

«Ho capito» sillabò lentamente «stavo solo cercando una definizione che sia sufficientemente accurata e che non urtasse la tua sensibilità, ma ammetto di essere in difficoltà al momento».

«Se magari avessi sfogliato qualche dizionario in vita tua, conosceresti una manciata di aggettivi in più rispetto agli unici due che possiedi nella tua artiglieria lessicale. Non mi sforzerei più di tanto se fossi in te. I neuroni sono preziosi, dovresti averne più cura».

«Grazie per la tua preoccupazione, ma i miei neuroni stanno benissimo» disse appoggiandosi con le braccia tese sul loro tavolo, torreggiando su di lei con la sua ombra. I suoi occhi azzurri le scivolarono addosso senza nascondere la delusione «Hai ragione, sono a corto di idee. Non mi viene in mente nient’altro che fenomeno da barraccone».

Eleanor si portò una mano sulle labbra per nascondergli la sorpresa «Impressionante, dovresti andare fiero della tua arguzia. Ora, vorrei gioire con tua madre dei tuoi progressi, sono certa che non capiti tutti i giorni che tu riesca a mettere una parola di fila a l’altra, ma preferisco dedicarmi alla mia lettura e al mio frappè se non ti dispiace, quindi ti sarei grata se andassi a fare ombra da qualche altra parte, magari su qualcuno che inspiegabilmente riesca ad apprezzare un imbecille delle tue proporzioni. Prova con i tuoi amichetti, mi sembrano dei tipi che si accontentano facilmente».

Eleanor giurò di aver visto la rabbia appannare i suoi occhi di ghiaccio, e quando si pentì di averlo provocato, fu troppo tardi. Tommy aveva già scoperchiato il bicchiere, gettato via la cannuccia di lato e riversato una cascata vellutata di panna, fragola e zucchero su di lei e sul suo prezioso libro. Tutti trattennero il fiato e allungarono i colli come giraffe indiscrete dalle loro postazioni, come se fossero in attesa che Eleanor dicesse qualcosa. Per un po’ non disse nulla. Non c’erano parole per descrivere lo scempio che quell’infimo insetto aveva causato alle pagine di Sei di corvi. La testa le pulsava a un ritmo frenetico. Le dita stringevano forte la gonna appallottolandola dentro i suoi pugni con le nocche sbiancate.

Tommy riposizionò il bicchiere vuoto davanti a lei «Ops!» esclamò fingendosi contrito. Era comunque più accettabile della compassione del suo amico James, anche lui schizzato da qualche goccia di frappè sulla bella camicia bianca. Aveva lo sguardo di chi c’era già passato, un sacco di volte, e sapeva per esperienza che rimanendo inerme tutto sarebbe passato. Seguirono una cascata di risate.

«Guarda cosa combinato! E tu nemmeno cominciato prova!» tuonò un disperato Alì munito di un esercito di salviette e strofinacci logori.

Eleanor lo guardò scioccata «Stai scherzando? Non sono stata io!».

«Pulisci tutto e darò seconda possibilità a tue mani di ricotta».

«C-cosa?»

«E chiedi scusa a tuo avversario per ambito posto di scrosta avanzi da Alì!».

Eleanor registrò a fatica l’informazione.

«Non dirmi che anche tu vuoi quel posto?» disse Tommy asciugandosi le lacrime agli occhi dal forte ridere.

«Anche tu?» ringhiò Eleanor in preda alla disperazione.

«Sì, lui ragazzo bianco che aspira al grembiule di Alì» confermò il ragazzo indiano alle prese con la carta assorbente. Eleanor e Tommy si squadrarono a vicenda con rinnovato interesse, soppesando l’avversario nel silenzio delle proprie macchinazioni. Un malizioso sorrisetto s’insinuò nelle labbra dell’uno e dell’altra come se fossero due immagini speculari. Eleanor non teneva più di tanto a quel posto, ma sentiva che stava per diventare un caso di vita o di morte. La sfida aleggiava fra loro, tagliente come un coltello ben arrotato.

Avrebbe vinto lei anche a costo di farsi venire il tunnel carpale strofinando a forza pile e pile di piatti sporchi. Era una questione di principio. Non poteva lasciare che tizi della risma di Tommy perpetuassero il loro ingiusto regno di raccomandazioni e agi smodati quando c’era ancora gente come lei che doveva sudarsi fino all’ultimo spicciolo per ottenere anche solo uno scorcio di vita decente.

Quelle pagine unte di crema le facevano torcere le budella. Avrebbe voluto urlare a squarcia gola così tante parolacce da riportare in vita sua nonna, la quale, indignata, l’avrebbe punita con uno scappellotto sulla nuca.

Non voleva credere nell’imparzialità dell’universo, ma si arrese e dovette ammettere che quello stronzo cosmico la stava fottendo proprio per bene.

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