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Capitolo 4 - Ho perso la chiave. L'ha ritrovata il gatto

Eleanor si sentiva gocciolare da per tutto come se sopra la testa le levitasse un mostro con la bava alla bocca ringhiante. Si asciugò un po’ di frappè dalla faccia con la manica del maglioncino.

Tommy mise una mano sulla spalla di Alì «Sta tranquillo, la racchietta mi stava proprio dicendo che voleva gettare la spugna».

«Non ci penso nemmeno!» tuonò alzandosi dalla panca con un unico fluido movimento «Mi corico qua dentro piuttosto che lasciarmi soffiare via questo lavoro»

«Tommy, credo che ti stia sfidando» lo informò la ragazza dietro di lui guardandola come se per una volta la vita reale fosse più interessante del suo microcosmo di social network e pollici all’insù.

«Già» ne prese atto lui «ma prima ha qualcosa da pulire» disse sollevando uno spigolo fradicio del suo libro. Eleanor gli afferrò il polso e lo strinse in una morsa da boa constrictor.

«Prova anche solo a respirarci sopra e questa potrebbe essere l’ultima volta che la tua mano potrà gingillarsi con il vermiciattolo che abita nelle tue mutande» sibilò lei a un passo dallo sbriciolargli le ossa.

«Uhhhh!» esclamarono in coro i suoi amici.

«Adesso basta voi due! Vi guardano tutti miei clienti!» li riportò al presente il loro affaccendato datore di lavoro «El, lascialo stare! Non voglio polizia in mio locale!».

«Sì molla la presa, El, non vorrai farti licenziare ancora prima di aver cominciato?» la canzonò Tommy con la sfida che scintillava nei suoi occhi.

Eleanor allentò lentamente la stretta e si morse l’interno della guancia per non sputargli contro gli insulti che le gorgogliavano in gola. Lo detestò come mai si sarebbe aspettata di detestare qualcuno. Solo quando sbatté un paio di volte le palpebre, capì di essere entrata a stretto contatto con la sua pelle e di non essere fuggita a vomitare la colazione nel bagno delle donne sul retro. Lì per lì le sue fobie potevano rimanere accantonate per un po’, era molto più rinvigorente disprezzare quello stupido idiota con quel sorriso che attraeva sberle come un magnete.

«Credo proprio che ci sarà da divertirsi» pronosticò lui sistemandole gli occhiali in cima al naso. Lei si trattenne con tutte le sue forze per non mordergli quel dito insolente.

«Intendi giocare pulito o correrai in ginocchio da papino a pregarlo di aprire il portafoglio per te?» lo stuzzicò Eleanor. Lui rimase impietrito con gli occhi sbarrati da una furia cieca.

«Mmm…qualcosa mi dice che sta volta dovrai cavartela da solo…Questo lavoro, è una punizione non è vero?» dedusse lei. «Che cosa avrà mai fatto il piccolo Tommy per fare arrabbiare papino?». Sperò di apparire minacciosa nonostante il frappè le gocciolasse dal mento.

«Che brava Jessica Fletcher, non ti sfugge niente. Ma adesso perché non apri un’indagine su come farti i cazzi tuoi?».

«Stai sereno, quando uscirò di qui mi sarò già dimenticata della tua inutile esistenza»

«Ti farà il culo a strisce» disse la tizia che era un tutt’uno col suo cellulare.

«Grazie della fiducia Kim» la rimbeccò Tommy.

La risposta della ragazza si perse nello scoppio della gomma da masticare «A che servono gli amici»

«Venti dollari che al terzo giorno sti due si menano» scommise l’altro amico biondo a bassa voce.

«Nahh, punto il doppio che sentiremo cantare le sirene ancora prima di arrivare a chiusura cassa». A quel punto El incontrò gli occhi del suo amico che le inviano un messaggio silenzioso di resa. Perlustrò la sala e le persone che avevano assistito al loro alterco. Non appena li guardava, ruotavano la testa dal lato opposto, colti in flagrante a ficcanasare quel patetico teatrino. Le sue guance presero fuoco e si abbandonò sulla panca.

«Be’, è stato un incontro interessante, James, ma la prossima volta tieniti le tue amichette per te» disse Tommy dirigendosi con i suoi amici verso il tavolo lungo in fondo alla sala.

«Goditi il tuo frappè» disse la biondina abbarbicandosi nuovamente al muscoloso braccio di Tommy. Di lì in poi li ignorarono, ordinarono le primizie fritte della casa e risero e scherzarono senza freni come se non fosse accaduto nulla. Eleanor singhiozzò sconsolata, incerta su come prendersi cura al meglio del suo libro «Il mio bambino…».

«Dai su, te ne compro uno nuovo» la consolò James.

«Ancora ti vanti della tua fortuna? Lascia perdere era un’edizione limitata…».

«Ah, mia cara El, tu disconosci il misterioso potere di ebay. Ehm, El…Ti è rimasto un po’…» le suggerì James indicandosi l’angolo della bocca. Eleanor acciuffò un paio di fazzoletti e si frizionò la faccia con rabbia.

«Ma chi si crede di essere quello lì?»

«Il motivo per cui la mia vita a scuola ricordava molto l’inferno dantesco. Forse era un po’ nostalgico e voleva rivivere le vecchie glorie da bulletto…».

«Ok, ma allora perché se l’è presa con me? Voglio dire, hai visto che mi guardava come se gli avessi ucciso il gatto? È assurdo, non lo conosco nemmeno. Che…ma cosa stai facendo? Cos’è una seduta di terapia?». James si picchiettò distrattamente il labbro con la penna a sfera che oscillava fra le sue dita e la guardò di sottecchi da sopra il suo taccuino con la copertina rosso sanguinea. Li mise subito via.

«Scusa controllavo i miei impegni…dicevi?».

«Che vorrei tingermi i capelli di verde»

«E dai, scusa prometto di non distrarmi più. Sono tutto per te»

«Come fai a rimanere così…tranquillo? Io sono qui, a soffocare il mio istinto di pestare quel tizio dietro l’angolo e tu ti metti a prendere appunti».

«Lo so che non ti ha fatto una buona impressione e, a buon ragione, ma Tommy non è chi credi che tu sia…ne ha passate tante come tutti noi»

«Scusa? Adesso lo difendi pure? Pronto, pianeta terra chiama James? Sei rimasto con noi negli ultimi cinque minuti o credi che quel frappè ci sia piovuto dal soffitto?».

«Bè se ci sei tu nei paraggi, sono sicuro che non sono il bersaglio più appetibile fra i due».

«Ah, adesso ho capito. Io sono l’esca. Wow che ruolo gratificante».

«Lo stai fissando»

«Cosa?» sbottò Eleanor attorcigliandosi la treccia al braccio come un mamba nero.

«Tommy».

«Certo che lo fisso, valuto i punti deboli del mio avversario! E nel frattempo escogito il modo più appropriato per concedergli una morta dolorosissima. Ormai è guerra aperta, lo spedirò dal paparino in lacrime».

«E che ne è della tua pace interiore?»

«Il piccolo maestro Shifu che alloggia nella mia testa al momento non è in casa».

«C’è chimica fra voi due» chiosò sovrappensiero.

«Sì, lui è l’acido nitrico e io quello solforico. Mescolaci insieme e otterrai una bella mistura di nitroglicerina. Surriscaldaci vicino a un fornello e boom!» stava spiegando a grandi gesti.

Poi qualcosa la risucchiò bruscamente da quel fugace scambio di battute. Scorse i titoli in sovraimpressione al tg del mattino evidenziati con un caldo color giallo pastello. Le notizie ripercorrevano quel binario giallo come vagoni di un treno in movimento, scomparendo dove finiva lo schermo. Eleanor riconobbe il volto del vecchio rugoso con le spesse sopracciglia sale e pepe che veniva intervistato. Seguiva con vivo interesse i progressi della ricerca di quello scienziato e del suo staff di esperti da quando aveva annunciato la possibilità di sfruttare le cellule staminali neuronali per riparare le lesioni del midollo spinale.

Col cuore in gola, sentì uscire dalla sua bocca «Alza il volume, per favore». Qualcuno vicino a lei doveva averla sentita perché la voce tremolante dell’anziano studioso riecheggiò più forte nel locale. «…un danno alle cellule del sistema nervoso» stava dicendo il dottor McReeve del Karolina Institute «ha conseguenze irreparabili sulla trasmissione dei segnali che guidano il movimento muscolare. L’interrogativo che ci siamo posti è che se la quota di cellule staminali presenti nel midollo spinale avesse la possibilità di formare gli oligodendrociti necessari a produrre la guaina che avvolge i nervi, quella che attualmente di cui il soggetto è sprovvisto. Bè, attraverso tecniche di genetica e biologia molecolare avanzate compiuta su campioni di muridi, io e il mio team siamo riusciti a isolare il gene responsabile della rigenerazione del tessuto nervoso. Esso infatti porta all’attivazione di queste cellule capaci di migrare verso i siti danneggiati, contribuendo al processo di ricostituzione della guaina mielinica e alla riattivazione della trasmissione dei segnali che consentono il movimento muscolare. Ed è con molto orgoglio che oggi l’istituto di ricerca annuncia che questa strategia terapeutica sull’uomo ha avuto succ…Robertoson! Robertoson lancia!» interferì improvvisamente il telecronista della major league «Moreland colpisce, il tiro teso è fortissimo! Robertson supera la prima base, poi la seconda! La palla è ancora…Pearce intercetta la palla! È salva, è salva!». A quell’esclamazione si sollevò un guazzabuglio corale di protesta e esultanza che fece tremare le vetrate. Alcuni si abbracciavano, sospirando di sollievo, altri scuotevano la testa amareggiati. Eleanor sgranò gli occhi sulla vecchia televisione per cercare di comprendere il perché il dr. McReeve fosse stato soppiantato da una stupida partita tra Yankees e Red Sox. Affondò le unghie nei palmi delle mani, scavandosi delle mezze lune sulla pelle, e si guardò attorno in cerca del colpevole.

Il telecomando non poteva che essere nelle mani di Tommy. Lui ammiccò nella sua direzione e finse di esultare per gli Yankees quando era chiaro che si stava gustando gli effetti delle sue piccole torture.

«Questo è davvero troppo!» digrignò fra i denti. Non ci mise molto ad arraffare i suoi pochi averi sparsi sul tavolo e sulla panca.

«El, dove stai andando?» cercò di inseguirla il suo amico, ma lei si divincolò con molta facilità.

«Lontano da qui. O giuro che te lo ammazzo».

Non seppe mai cosa le urlò dietro perché si era già lasciata il locale, il suo confortante calore e quella specie di mostro alle spalle. Tirò su il cappuccio del kway verde fluo nascondendoci la faccia e calpestò il marciapiede schiumando di rabbia pura e incontaminata con l’ombrello appeso al braccio. Marciò con andatura furibonda per un bel pezzo, ignorando i semafori e rischiando più di una volta di finire sotto un’auto o di impazzire in quel coro stonato di clacson. Ma proprio quando i nervi stavano per distendersi, ecco un’onda anomala sollevarsi da una pozzanghera e sommergerla da capo a piedi, lasciandola infreddolita e borbottante raffinatezze da corsari alla volta del taxi che aveva scatenato quello tsunami. Stava ancora inveendo contro l’intero albero genealogico del taxista quando il cellulare le vibrò nella borsa. Infilò il braccio in quel guazzabuglio confuso di cianfrusaglie, e nel suo primo vero colpo di fortuna avvolse subito le dita attorno al telefono. Pigiò nervosamente lo schermo tentennando alla vista del mittente del messaggio.

Dr. Love

Non aveva nessuno in rubrica con quel nome. Decise di curiosare comunque.

Il testo non era particolarmente lungo. Era stata selezionata per partecipare ad un esperimento sociale che in caso di riuscita le avrebbe fatto guadagnare un 1.000.000 di dollari. Avrebbe soltanto dovuto dividere un appartamento per un intero anno con uno sconosciuto e non innamorarsi di lui. Le si seccarono le ghiandole salivari alla vista di tutti quegli zeri tondi, tondi. Doveva essere per forza uno scherzo o una trovata pubblicitaria di cattivo gusto di qualche agenzia immobiliare. Fece per mettere via il cellulare, quando squillò una seconda volta.

Non è uno scherzo, recitava il messaggio. A quel punto le montò la paura e cominciò a tremare guardandosi in giro. Era stata così presa dalla sua rabbia che non si era accorta che qualcuno la stava seguendo? Corse a nascondersi dietro la scala antincendio arrugginita di un vicolo, a riparo fra due cassonetti non esattamente profumati. Il cuore le martellava così forte nel petto che credeva che le avrebbe aperto un cratere. Sobbalzò alla terza e ultima vibrazione che quasi le fece sfuggire di mano il cellulare. Le tremava il pollice, ci mise un minuto buono per centrare l’icona del messaggio.

Questo misterioso Dr. Love le aveva lasciato un indirizzo e la promessa che anche se si fosse solo recata a vedere l’appartamento le avrebbe caricato sul conto 20.000 dollari di acconto.

Era una follia. Lo sentiva dalla punta dei capelli fino all’estremità del suo alluce. Eppure cos’era quella strana eccitazione che le cresceva dentro? Dov’era finito il suo terrore per l’ignoto e il suo buon senso? Perché stava vagliando tutte le possibilità con tanta scrupolosità come se stesse prendendo in considerazione quella stramba proposta? Avrebbe dovuto gettare il telefono nella spazzatura o correre alla prima stazione di polizia e denunciare il pedinamento. Ma non lo fece. Riusciva soltanto a pensare che se si fosse lasciata guidare dalla logica avrebbe perso l’opportunità più importante della sua vita. Allora cominciò a ridere di quella follia fino ad accasciarsi esausta contro il muro, con l’adrenalina a scorrerle nelle vene. Qualcosa di morbido e deliberatamente ozioso le si strusciò fra le gambe, miagolando in cerca delle sue attenzioni. Eleanor allungò le dita dietro l’orecchio del gatto nero e lo ricompensò con dei grattini invece di condannarlo come portatore di sciagure. Il gatto miagolò ancora e qualcosa tintinnò nella coda che oscillava da una parte all’altra.

Era una chiave.

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