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DR. LOVE

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Marty
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Riepilogo

Eleanor e Tommy sono i classici stereotipi della timida ragazza nerd, goffa e introversa e il tizio bello e impossibile con un ego sproporzionato che si compiace dei cuori infranti che si lascia al suo passaggio. I loro mondi sembrano apparentemente inconciliabili e fra loro sarà odio a prima vista. Fino a che un giorno, un fantomatico Dr. Love non gli offrirà l'occasione che aspettavano da tempo coinvolgendoli in un singolare esperimento sociale: i due dovranno condividere insieme un appartamento per un anno e se a fine esperimento non si saranno innamorati l'una dell'altro, gli saranno accordati un milione di dollari a testa. Fra litigi e una buona dose di dispetti, i due acerrimi nemici dovranno confrontarsi con la dura realtà della convivenza forzata e le ferree regole imposte dal dottore...Riusciranno ad accaparrarsi il premio finale? L'amore è una guerra. Che vinca il migliore.

Triangolo AmorosoRomanticoSegretiOdioViolenzaSentimentiDivertente

Capitolo 0: Il karma morde

Capitolo 0

Le ginocchia di Tommy andavano su e giù, finendo inevitabilmente per urtare lo spigolo del tavolo. Avrebbe imprecato in tutte le lingue morte esistenti se non avesse avuto la gola così secca.

Aspettare è ancora un'occupazione. È non aspettare niente che è terribile, gli ripeteva il suo amico James. Tommy si arrovellava in cerca di un modo di confutare quella sua stupida frase fatta spulciata quasi sicuramente da uno dei suoi polverosi libri. Eppure le sue gambe non accennavano a rallentare il trotto.

La frenesia di quel movimento convulso era l’emblema di quanto quell’aforisma non gli calzasse. In generale lui non amava le attese o le interminabili code alla posta per pagare le bollette, ma quella in particolare era struggente.

Guardò con apprensione il quadrante dell’orologio come se potesse spingere le lancette a girare più veloci con la sola forza del pensiero e svuotò d’un fiato il bicchiere di vetro, innaffiandosi la bocca inaridita.

Nonostante fosse appena entrato l’autunno e il colore delle foglie cominciasse a virare verso il giallo paglierino, faceva un caldo insopportabile. Tommy si allentò il colletto della camicia macchiata di sudore. Se lo sentiva fastidiosamente gocciolare lungo la nuca, non osava sbirciare sotto l’ascella dove l’antica civiltà sommersa di Atlantide prosperava indisturbata.

Diamine, mancavano solo poche tacche alla barra di caricamento della sua completa nerdizzazione (termine coniato a posta da El e James).

Soltanto pochi giorni prima si era intrufolato in fumetteria a sperperare l’ultima paghetta di suo padre per depredare gli scaffali degli ultimi volumi di Attack on Titan, camuffandosi dentro il cappuccio di una felpa nel più completo anonimato. Se i suoi amici lo avessero sorpreso a bazzicare lì attorno, non ci avrebbero pensato due volte a consigliargli una seduta dalla strizzacervelli. Non era difficile immaginarsi la diagnosi: disturbo da personalità multipla o più semplicemente, nel senso più ontologico del termine, totale assenza di coerenza con il suo io interiore. Era più o meno una vita che si raccontava balle su balle, interpretando il ruolo che la società gli aveva assegnato.

Lui era il classico ragazzone da riviste patinate immortalato in intimo da uomo, irraggiungibilmente bello e dallo sguardo azzurro più tormentato che si fosse mai visto, di cui persino le ragazze più pudiche tenevano segretamente una copia sotto il cuscino. Miglior quarterback della squadra di football del suo liceo, collezionatore ossessivo di ragazze pompon… Lo stereotipo vivente del “ehi, sono uno stronzo, ma almeno ti rifai gli occhi”. Già, la sua umiltà aveva raschiato il fondo fin dal giorno in cui aveva incontrato il suo riflesso allo specchio. Un colpo di fulmine in piena regola. Quindi cosa ci faceva un tipo affascinante come lui col naso ingurgitato fra le pagine di un manga? La risposta a quella domanda stava seduta scompostamente davanti a lui mentre sorseggiava sovrappensiero del tè al limone da una cannuccia a righe colorate. Il ghiaccio tintinnò sul fondo del bicchiere, ma lui continuava a rosolarsi a fuoco lento come un maialino allo spiedo. Immersa con tutte le scarpe nell’ennesima rilettura del suo libro preferito, ignorava volutamente il mondo che la circondava, perché trovava molto più confortevoli e familiari le parole stampate fra quelle pagine un po’ consumate. Era evidente che si sentisse più a suo agio con i personaggi della storia che con lui, probabilmente riconosceva in loro dei migliori consiglieri.

A Tommy sfuggì un sorriso riconoscendo la sbavatura rosata che sbiadiva le ultime lettere a pie di pagina. Quando aveva rovesciato addosso - non proprio accidentalmente - alla sua affezionatissima copia di Sei di Corvi un intero boccale di frappè alla fragola, si era incazzata così tanto che per poco non gli aveva lanciato addosso la panca di legno su cui si era appollaiata.

Dio, era già passato un anno?

Gli sembrava solo ieri quando si era imbattuto nei suoi maglioni lavorati all’uncinetto troppo ingombranti, nella sua adorabile ma inguaribile goffaggine e nella mastodontica montatura a ruota di bicicletta con cui camuffava efficacemente gli ipnotici occhi verdi. Anche in quel momento le erano scivolati giù, quelle ridicole lenti erano sproporzionate per quel piccolo e aggraziato nasino arcuato. Infastidita dalle narici pressurizzate dai naselli, spinse il ponte degli occhiali all’insù con stizza per fargli comprendere chi era al comando, e accarezzò con un sospiro silenzioso i bordi della macchia di frappè mordicchiandosi il labbro.

Fu in quel momento che Eleanor scollò gli occhi dal suo mondo fantastico per scoccargli un’occhiataccia offuscata dalla controluce che riflettevano i vetri, afferrò la lunga treccia castana che le dondolava in grembo e si autoflagellò la schiena lanciandola dietro le spalle. Senza distogliere lo sguardo ardente da lui, si leccò pigramente il polpastrello come un gatto, pronta a voltare pagina e gli disse «dì alle tue stupide gambe di darsi una calmata o ti riaccompagnerò a casa su una sedia a rotelle». Quanto era felice di poter sperimentare la dolcezza di quella ragazza. Lei era il suo arsenico personale.

La minaccia sortì subito il suo effetto. La sua voce affilata fu così perentoria che gli parve di sentire del cemento armato risalirgli lungo i polpacci. Sapeva che la ragazza era perfettamente capace di infliggergli quel castigo, i KarateGi appesi nel suo armadio non facevano che ricordargli quanto fosse sconveniente contraddirla.

Sì, ce l’aveva ancora con lui. Se le avesse chiesto “Dopo tutto questo tempo?”, gli avrebbe servito la risposta su un piatto d’argento a quella stupida corvonero dal cuore di pietra. Comunque non le dava torto. Si trattava di un’edizione limitata dopotutto, avrebbe infastidito persino lui.

Per fortuna la provvidenza quel giorno si era schierata dalla sua parte, e approfittò della cameriera che si era avvicinata al loro tavolo per sabotare quel momento tremendamente imbarazzante. Era lì per prendere le loro ordinazioni, nonostante alcuni clienti fossero arrivati prima di loro al locale. Lui azzardò un sorriso. Forza ragazze, stendetela! incitò le sue fossette.

«Sono io, o ho varcato per sbaglio le porte dell’inferno?» disse sventolandosi il sotto bicchiere sul collo. La cameriera si stirò il grembiule addosso, evidenziandogli quanto la gonna a scacchi della divisa fosse a corto di stoffa, e gli riservò uno di quei sorrisetti a denti stretti smielati sottintendendo che il servizio comprendeva anche un quarto d’ora bollente nei bagni sul retro. Una volta non avrebbe esitato ad accettare al volo quel pacchetto deluxe, ma adesso le cose si erano fatte un peletto più complicate. La sua maggiore fonte di complicazioni ribolliva come una pentola a pressione davanti a lui.

«Non sono sicura che tu abbia smarrito la via. Forse te lo sei meritato, ci mediterei un po’ sopra sé fossi in te» commentò Eleanor, leggermente inviperita.

«No, grazie, Madre Calcutta, lascerò a te l’arduo compito di pregare per la mia anima» replicò lui.

«Ok…» bisbigliò piano la cameriera inarcando un sopracciglio. Ripescò dalla tasca il taccuino e la biro blu, facendo scattare la molla poco sopra il seno sinistro. Un’altra chiara frecciatina che non sfuggì ad Eleanor.

«Cosa posso portare a te e alla tua ragazza?» domandò a Tommy con falsa innocenza, per sondare se il terreno fosse fertile.

«Noi non stiamo insieme!» ruggirono entrambi, guardandosi in cagnesco. Almeno su qualcosa concordavano. Prima di tutto dovevano salvare le apparenze entrambi.

Avevano fin troppo da perdere.

Alla fine ordinarono un cupcake al cioccolato per lei e frittelle affogate nello sciroppo d’acero per lui. La ragazza prese appunti lanciandogli di tanto in tanto qualche occhiata maliziosa, sbattendo le ciglia. Il tizio nerboruto con la maglietta di un vecchio concerto degli AC/DC nel tavolo dietro di loro grugnì d’impazienza. Il cuore trafitto da una freccia tatuato sul suo grosso tricipite guizzò accompagnando il movimento nervoso del muscolo e da quella distanza Tommy lesse la dedica alla mamma che si era inciso sulla pelle abbronzata. Commovente.

No, non era decisamente il loro uomo.

«Nient’altro?» aggiunse la cameriera speranzosa.

Gli sguardi di Tommy e Eleanor s’intercettarono in linea d’aria. Anche lei stava perlustrando la sala con discrezione. Quel giorno c’era un interessante via vai al locale. Dopo aver sistemato tutte le cialde nella piastra ad una velocità impensabile, il giovane Alì sparì oltre le porte a doppio battente della cucina mentre si appiccicava in fronte i post-it con le ordinazioni per non dimenticarle sul bancone. Un gruppetto di liceali chiacchierava di frivolezze fra lo scoppiettio delle gomme da masticare e snervanti risatine stridule. Il nuovo e macilento cameriere emigrato da Buenos Aires aveva inzuppato di caffè il giornale di uno dei più stimati clienti del bar mormorando scuse frettolose nella sua lingua madre, e da come lo fissavano le ragazzine viziate di prima, doveva essere lui l’oggetto delle loro attenzioni. Una simpatica bambina con le codine e i denti da castoro strillava all’orecchio della povera madre isterica di non volere più la sua torta alla crema di albicocche proprio mentre la poveretta le tamponava il musetto sporco di zucchero a velo con una salviettina imbevuta, un’altra signora involtata inspiegabilmente nella sciarpa osservava malinconicamente le macchine sfrecciare sull’asfalto bagnato, tamburellando le unghie smaltate sul tavolo, ma di lui non c’era traccia.

Avevano raggiunto il punto d’incontro indicato nell’ultimo messaggio del dr. Love con un po’ di anticipo, non potevano assolutamente perdere quella ghiotta occasione di vedersi svelata la sua misteriosa identità. Qualcosa gli suggeriva che la scelta di quel bar non era affatto casuale. Era lì che lui e Eleanor avevano fatto la loro turbolenta conoscenza, si trattava di una sorta di anniversario. Non c’era nulla che rientrasse nei piani di quel fantomatico dottore che non fosse stato già accuratamente premeditato.

Non lo avevano mai visto prima d’ora, ma confidavano nel fatto che avrebbero riconosciuto all’istante l’uomo che gli aveva sconvolto l’esistenza, doveva per forza avercelo scritto in fronte, come una specie di marchio di Caino.

«No, siamo a posto così» disse alla cameriera riconsegnandole il menù. La ragazza non seppe incassare la delusione, era una pessima attrice. Eleanor le concedette un sorriso falso come una delle banconote dell’operazione Bernhard prima che lei girasse i tacchi infilandosi un vassoio vuoto sotto braccio.

Quando furono soli allungò le braccia sul tavolo e si sporse verso di lei «Non è ancora arrivato» constatò con fare cospiratorio.

Eleanor roteò gli occhi strappandosi malvolentieri al coinvolgimento della storia «Mancano ancora tre minuti. Quel maniaco è puntuale come un orologio svizzero e sicuramente non si risparmierà un’entrata teatrale».

«Come fai ad essere così tranquilla? Io credo che impazzirò…».

«Di quello non preoccuparti, lo sei già. E poi a che serve agitarsi? Non può incasinarci la vita più di così».

«Non posso credere che tu l’abbia detto davvero…»

«Da quando sei diventato così superstizioso?»

«Lui sa che siamo qui» affermò con un nodo in gola «Lui sa sempre tutto». Aveva caldo, ma rabbrividì comunque al pensiero di quel vigilante indesiderato.

Finalmente parve scalfire la sua corazza «Pensi che lui sappia che…». Gli occhi di Eleanor si spalancarono come una cerbiatta impaurita che ha annusato l’odore della polvere da sparo.

«Io…No. Io non lo so…» si corresse in curva, grattandosi nervosamente i riccioli neri. Una sfilza di emozioni incompressibili passò nei suoi occhi verdi e Tommy ebbe una stretta al cuore. In quell’intenso anno di convivenza forzata aveva messo a frutto l’incredibile capacità di capire al volo cosa passasse per la testa della sua coinquilina. Così senza rifletterci le sue dita sudate le sfiorarono il dorso della mano per darle conforto. Eleanor si sottrasse a quel contatto inaspettato, non prima che lui notasse la sua reticenza a rinunciarci.

«Ho bisogno di quel denaro Tommy, più di ogni altra cosa…» si giustificò lei.

Lui annuì e fece scivolare via la mano il più possibile lontano da lei. Eleanor ritornò al suo libro con un delizioso colore roseo a colorarle le guance. Lo nascose prontamente calandosi una cortina di capelli fra loro.

«Se qualcosa dovesse andare storto, non temere. Ho un piano» la rassicurò lui.

Eleanor abbandonò definitivamente il libro e lo fissò con insistenza «Vuoi rendermi partecipe o devo tirare a indovinare? Sinceramente, mi fai paura».

«Tu ti fidi di me?» le chiese sforzandosi di non interrompere il contatto visivo.

La risposta fu tagliente «No, per niente».

Tommy finse un malore al cuore «Lo hai fatto in mille pezzi. Sei crudele, El» piagnucolò.

Eleanor soffocò un urlo fra le braccia appoggiate sul tavolo «Finirà male. Molto, molto, molto male». Tommy stava per intavolare la sua replica più saccente quando la cameriera fu di ritorno con quello che le avevano ordinato. Stese le tovagliette e servì prima il cupcake di Eleanor senza nemmeno degnarla di uno sguardo e subito dopo posizionò le frittelle calde sotto il naso di Tommy. Era lì per lì per ringraziarla, ma poi si bloccò di colpo quando si accorse che aveva apparecchiato per tre. La cameriera aggiunse fra loro un frappè alla fragola con doppia panna.

«Oh, no, no, no, no…» mormorò Eleanor scuotendo la testa.

Lo stomaco di Tommy finì malamente calpestato sotto le sue scarpe. Il colorito di Eleanor non sembrava migliore del suo, aveva l’aria di una che era appena fuggita da una casa infestata da fantasmi.

Visto che lei aveva improvvisamente perso la parola, fu Tommy a farsi coraggio «Questo non è nostro» osò dire schiarendosi il tono querulo che aveva assunto la sua voce. Poi dei passi rintoccarono sul linoleum liscio del pavimento.

«No, infatti, quello è mio» lo corresse una terza persona mellifluamente. «Betty, è così che ti chiami giusto? L’ho letto nel cartellino. Potresti aggiungere una sedia per me?».

«Certamente» cinguettò Betty al nuovo arrivato. Dopo aver preso posto a capotavola, fece scorrere i suoi occhi divertiti da lui a Eleanor.

«Siete in anticipo! Spero di non essermi perso nulla d’interessante» esclamò lui risucchiando allegramente il frappè dalla cannuccia.

«Oh, merda…» imprecò Tommy «Ti prego, dimmi che non sei tu il dr. Love».

«E invece sono io, in carne ed ossa» si presentò l’occupante della terza sedia con una grassa risata «Su dai non fare quella faccia. Sei sorpreso?».

Tommy non poteva immaginarsi che la loro nemesi fosse stata sempre lì sotto i loro occhi. Si sentiva tradito. Non sapeva in che altro modo definire il suo stato d’animo. Si abbandonò sfinito sullo schienale della panca «Come hai potuto farci questo?» gli chiese senza enfasi.

Il dr. Love prese un altro sorso del suo frappè. Il solo odore di fragola pizzicò la gola di Tommy. Lui era allergico alla fragola da quando era bambino. «Mi sembrava di avervelo già spiegato. Faceva parte del mio esperimento sociale. Vuoi negare che non vi siate divertiti? Dovreste ringraziarmi, se non fosse stato per me brancolereste ancora nel buio dei vostri sentimenti. Su El, diglielo anche tu».

Eleanor non si era più mossa da quando Giuda aveva preso posto in mezzo a loro. Il ticchettio che gli ingranaggi del suo cervello produssero in quel momento non pronosticava nulla di buono. Con una flemma degna di un intero convento di suore, la sua coinquilina richiuse la copertina del libro con tonfo e senza aggiungere altro se lo infilò in borsa, sigillandolo con la cerniera al suo interno. Poi quando meno se lo aspettava, la bomba ad orologeria detonò.

«Brutto figlio di…» gli urlò lei avventandosi con uno slancio ferino sul malcapitato dottore dei loro incubi. Il resto si perse nello scricchiolio della sua mascella.

Tommy li guardò azzuffarsi sul pavimento. Sarebbe potuto intervenire, ma perché interrompere quello spettacolo? Impugnò forchetta e coltello e si fiondò sulle sue prelibate frittelle gocciolanti di sciroppo d’acero. Erano davvero deliziose.

«Ti prego Thomas!» lo supplicò il dr. Love «Fermala! Fa qualcosa!».

Tommy si limitò a sorridergli con aria compiaciuta.

«Non ci penso nemmeno. Chi sono io per mettermi contro il karma? Oh, e stai attento. Potrebbe mordere».