Alla scoperta del sotto bosco III
Con tanta speranza nel cuore, continuai il mio viaggio. Ero così felice e serena che, senza accorgermene, iniziai a cantare canzoni inventate, anche un po' senza senso. Ricordo che una canzone faceva più o meno così: "Viaggio tra un mondo e un'altra realtà, la paura non mi fermerà, che bello cantar! Io vado alla scoperta di questa nuova casa, so che questa avventura un po' mi cambierà." Non ricordo altro di queste canzoncine improvvisate che mi tenevano compagnia lungo la strada.
Era quasi il tramonto quando, all’improvviso, il sentiero terroso si trasformò in un sentiero di ciottoli, tutti ben sistemati, con aiuole laterali che indicavano il percorso. La strada era illuminata da alti fiori infuocati, i cui petali giganti color rosso fuoco erano avvolti da fiamme gialle e calde. Era uno spettacolo meraviglioso. Tra le fronde degli alberi apparvero piccoli e grandi uccelli variopinti, tutti con strisce rosse e dorate che sembravano ardere. Aprii il diario e scoprii che erano uccelli di vari tipi e dimensioni, ma tutti super colorati, e i loro versi sembravano intonare splendide melodie. Appresi che erano speciali poiché, se attaccati, rispondevano sbattendo le loro ali, provocando così spostamenti di aria infuocati.
Continuai la mia esplorazione, seguendo sempre il sentiero, finché giunsi in prossimità di immense mura e di un cancello, formato da rami marmorei di serpentino verde che, intrecciandosi tra loro, assumevano una forma ad arco. I rami erano decorati con rose scolpite in marmo e abbellite con polvere dorata, il cui centro era riempito da fiammelle. Sulle colonne laterali di travertino spiccavano due giganti gargoyle di pietra, armati di asce e spade, dall’aspetto orrendo. Sul cornicione del cancello vi erano rune, il cui significato conoscevo grazie alla mia guida. “Benvenuti stranieri nelle nostre terre dimora del fuoco che arde in eterno,
Benvenuti amici vecchi e nuovi a Ther, con entusiasmo vi accogliamo, ma del rispetto non dovete essere privi, la nostra casa sia la vostra, ma guai a chi con disonestà vorrà sottrarre il sacro fuoco del Merech, guai a chi non rispetterà le nostre leggi entrare voi che avete un cuore puro poiché di purezza sarete rivestiti.”
Era un avvertimento. Cos'era però il sacro fuoco del Merech? Nel diario non ne avevo mai sentito parlare, e mi incuriosiva scoprire che c'erano cose a me nascoste. Tuttavia, il cancello era chiuso e non sapevo come passare. Rimasi a fissarlo per un tempo infinito, poi vidi quell’immensa rosa al centro ardere e, d’istinto, vi posai la mia mano. Un fuoco caldo mi avvolse senza bruciarmi, e fu allora che sentii un crac: si era aperta la serratura. Con una leggera pressione riuscii a far aprire l’immenso cancello. Appena ebbi superato la linea di confine, si richiuse silenziosamente alle mie spalle.
Il panorama che fino a quel momento mi era stato vietato vedere ora splendeva meraviglioso davanti a me. Un fiume di lava scorreva silenzioso e tranquillo, la strada era stata realizzata con rocce laviche ben levigate, e una staccionata di marmo nero ne delineava i confini. All’apice della staccionata, che non era né alta né bassa, vi erano candele fatte di lava che emanavano luce; il loro liquido dorato scendeva lungo la staccionata rendendola luminosa. Dall’altra parte, pascolavano tranquilli cavalli di fuoco, i Carnarath: la loro criniera e coda erano fatte di fiamme. Vedendomi, cominciarono a nitrire; non mi conoscevano e si spaventarono, così mi allontanai subito da lì e proseguii. Quanti animali di fuoco c'erano in quella vallata! Anche strane iguane a sei zampe, le Enaugi, che nuotavano tranquille nel fiume di lava.
Alla fine della strada mi apparve un villaggio immenso, pieno di luce e vita. Le case erano costruite come fossero all’interno di un vulcano, con sabbia e cenere lavica; erano fatte tutte di mattoncini nerastri e tegole bianche. Gli infissi delle finestre erano bianchi e circondati da mattoncini bianchissimi: un contrasto stupendo, pensai. Tutto intorno vi erano grandi alberi di ogni dimensione, forma e colore; era uno spettacolo meraviglioso. Persino gli abitanti erano strani per me: alcuni alti come me, altri anche più alti, ma non erano elfi, fate o ninfe; erano diversi, anche se in alcune cose simili, come nelle orecchie, nell’agilità e nei lineamenti delicati. I capelli erano tutti rosso fuoco o neri, e i loro vestiti erano sensazionali, realizzati con stoffe pregiatissime che sembravano rispecchiare l’essenza di quel luogo magico. I loro occhi erano di colore nero come la notte o verdi come l’erba. Il mio cuore batteva all’impazzata! Decisi di avanzare per presentarmi e salutarli; sapevo che non mi avrebbero fatto del male, erano popoli buoni e non aggressivi, almeno così mi aveva sempre detto Darhiel. Ma appena feci un altro passo, le mie convinzioni crollarono: dall’alto degli alberi si calarono alcuni di loro e mi circondarono, gridandomi di non muovermi. Con aria minacciosa mi puntarono contro le loro armi: archi e lance, che io sapevo essere molto più pericolose di quanto sembrassero, poiché erano create con il cuore del fuoco e quindi indistruttibili. All’improvviso, uno di loro mi lanciò addosso una strana polvere, e io mi sentii venire meno; poi tutto divenne buio intorno a me.
Al mio risveglio, mi ritrovai sdraiata in posizione supina su uno strano giaciglio fatto di roccia lavica e foglie verdi, gialle e rosse, tutte emananti un gran calore. Distrattamente mi alzai di botto e subito sentii un forte dolore provenire dalla testa: sopra il mio giaciglio c'era una piccola rientranza di roccia. Che male! Accarezzandomi la testa, mi misi a sedere e aspettai che i miei occhi si abituassero al buio del luogo. Solo allora potei vedere che mi trovavo rinchiusa in una cella scavata nella roccia; le sbarre che la chiudevano erano di fuoco, il ferro era così incandescente da essere di un rosso acceso. Mi affacciai alle sbarre nel tentativo di vedere qualcuno, ma quello che vidi mi lasciò senza fiato: un’immensità di cunicoli e grotte scavate nella roccia calcarea, un fiume di lava che scorreva tranquillo e anguille di fuoco che vi nuotavano serene. In basso, vi erano delle persone che trasportavano grandi uova, che venivano poi immerse nel fiume di lava; con delicatezza, le uova venivano immerse nella lava, e subito si alzava una forte luce, come di un’esplosione, e l’uovo si dischiudeva.
Quello che ne uscì fu un piccolo cucciolo di drago tutto bianco. Subito ne comparvero tanti altri neri, rossi, marroni, di ogni colore e grandezza. Era uno spettacolo meraviglioso e spaventoso allo stesso tempo. Ritornai sul giaciglio e attesi che qualcuno venisse ad aprirmi, ma per quel giorno non si presentò nessuno. Trascorsi un giorno e mezzo rinchiusa in quella cella senza cibo né acqua; il non poter bere mi stava uccidendo, soprattutto per la vicinanza della mia cella al fiume di lava e quindi per l’immenso calore che quasi mi soffocava. Non sapevo dove fosse la grande ospitalità di cui mi aveva sempre narrato il mio amico.
Quando finalmente, il pomeriggio del giorno dopo, vennero a prelevarmi due guardie nella loro armatura rossa e nera, ero affamata, spaventata, assetata e accaldata. Il mio corpo umano non era abituato a quelle alte temperature; mi sentivo debole e stanca, sapevo che non avrei resistito a lungo. Mentre risalivamo il cunicolo, cercai di comprendere dove mi stessero portando. Quando le spoglie pareti di pietra finirono, la semi oscurità lasciò spazio alla luce del sole. Finalmente, una dolce aria fresca mi accolse, ma venni accecata dal sole. Lentamente mi abituai. Davanti a me c'era un bellissimo villaggio verdeggiante, con bambini che giocavano con i piccoli di drago, e tutti sembravano in grande armonia. Ma al mio passaggio, benché scortata da due guardie, ognuno degli abitanti smetteva di fare ciò che stava facendo e mi guardava con curiosità, tenendosi comunque a debita distanza.
Alla fine della strada, davanti a me, apparve un gigantesco palazzo decorato con motivi di fuoco. Sulle colonne del cancello vi erano due draghi. Il cancello, tutto dorato, si spalancò magicamente appena il soldato in prima fila toccò il muso del piccolo drago posto a serratura del cancello. Varcata la soglia, si presentò davanti ai miei occhi un giardino favoloso. Non avrei mai potuto credere che il fuoco potesse essere così bello: vi erano fiumi di acqua dolce e fiumi di lava; tranquilli, gli animali pascolavano in pace. Innumerevoli ponti di bronzo correvano da un’estremità all’altra dei fiumi, tutti scolpiti. Anche il palazzo era meraviglioso, con le sue alte torri, la porta di cristallo, i pavimenti di marmo rosso, e le colonne con draghi finti realizzati in ogni forma e modo. Per un attimo, scordai di essere una prigioniera.
Al centro dell’immenso salone vi era una fontana d’alabastro e lapislazzuli di un azzurro meraviglioso. Alzando la testa, vidi che la fontana saliva per tre piani e alla sua sommità vi erano tre fenici rosso fuoco in formazione piramidale, dalle cui bocche zampillava acqua limpida. Sotto alle loro zampe vi erano tre brocche dorate da cui fuoriusciva uno strano liquido rossiccio dal meraviglioso odore di fiori. Superata la fontana, mi ritrovai di fronte a delle scale che salimmo fino a ritrovarci davanti a un bellissimo portone di legno di noce, su cui erano state incise delle illustrazioni. Il portone si spalancò dopo i tre colpi di lancia che vennero dati dalle due guardie poste ai lati.
Finalmente eravamo nella sala delle udienze. Rispetto al salone precedente, era molto semplice ed elegante, maestosa, con volte a crociera e alte colonne di granito e marmo rosso fuoco. Il pavimento era un immenso acquario di lava, sotto cui nuotavano liberi pesci e draghi. A dire il vero, ne fui terrorizzata: il solo pensiero che si potesse rompere ed io sprofondarvi dentro mi metteva una grande ansia! Era il gran momento. Il signore della cittadina disse ai suoi uomini di lasciarmi andare e disse a me di avvicinarmi a lui. Arrivata fino al primo gradino, mi fece segno di fermarmi; come un automa obbedii, e poi feci un goffo inchino, veramente ridicolo, perché persino il sovrano rise divertito. Poi cominciò l’interrogatorio.
“Chi sei? Come sei arrivata?”
“Sono Cristal, un'amica di Darhiel. Lui mi ha detto di venire nella radura, mi ha consegnato questo libro in cui c’è scritto tutto e poi se ne è andato. Io ho deciso di vedere se tutto quello che lui aveva detto e che era scritto qui fosse la realtà, e a quanto vedo lo è.”
“Così dunque sei un'amica di Darhiel?”
“Sì, sono passata dal grande cancello come da istruzioni: l’ho toccato e si è aperto. Dov'è Darhiel? Come sta? Cosa gli è successo? Devo capire che fine ha fatto!”
“Sono felice che tu sia arrivata. Darhiel ci ha parlato molto di te, e se tu sei qui significa che lui aveva ragione su tutto. Purtroppo, Darhiel non è più fra noi e non potrai rivederlo mai più, ma tu sei la speranza che torna nel nostro mondo.”
“Non capisco, cosa gli è successo? Cosa vuol dire che io sono la vostra speranza?”
“Purtroppo, Darhiel ha avuto un incidente durante il viaggio di ritorno. Per il resto, tutto a tempo debito. Portatela in una stanza, che si lavi e le venga dato un vestito. Che partecipi alla festa del fuoco.”
Senza esitazione, due donne mi fecero segno di seguirle. In lacrime, dubbiosa e con ancora più domande, le seguii come intontita da tutta quella storia. Avevo sperato così tanto di poter rivedere Darhiel, e ora scoprivo che non lo avrei più rivisto. Scoprivo che lui aveva parlato di me e che mi stavano aspettando. Era tutto così strano, e nulla sembrava avere una risposta. Senza esitazione, due donne mi fecero segno di seguirle ed io, in lacrime, dubbiosa e con ancora più domande, le seguii come intontita da tutta quella storia. Avevo sperato così tanto di poter rivedere Darhiel e ora scoprivo che non lo avrei più rivisto, che lui aveva parlato di me e che mi stavano aspettando. Era tutto così strano e nulla sembrava avere una risposta.
Fui lasciata sola in quella grande camera da letto. Mi diressi verso il bagno dove vi era un’immensa vasca ottagonale con piccoli draghi d’oro tutto intorno. Era favoloso. Mi immersi nell’acqua calda e finalmente sentii che tutte le ansie e le preoccupazioni svanivano. Così mi addormentai. Venni risvegliata da un rumore, come una porta che si chiude. Presi un asciugamano e mi diressi in camera, ma non vidi nessuno, solo un abito fantastico con delle scarpe e del cibo. Non ci pensai due volte: addentai il cibo affamata e avida, e bevvi senza prendere fiato. Quando mi fui saziata, mi vestii. Specchiandomi vidi che quel vestito era davvero fantastico: sembrava uno di quegli abiti rinascimentali, però senza quell'orribile rigonfiamento sul sedere e sui fianchi. Era un abito completamente rosso con merletti e estremità color oro. Il contrasto era perfetto, lo adoravo.
“Vedo che l’abito vi sta a pennello. Ora indossate questa,” disse una donna porgendomi una maschera tutta piumata, molto elegante e raffinata, che si abbinava con il mio vestito.
“È per me?”
“Certo che è per voi. Vedete qualcun altro in questa stanza con noi? Andiamo!”
Per la prima volta nella mia vita mi sentii una principessa delle favole. Seguii silenziosamente la donna bionda fino a una porta che si trovava sul lato est del palazzo. Lei si voltò, mi sorrise e poi aprì il grande portone. La stanza dava su un immenso giardino pieno di piante meravigliose, con un piccolo fiumiciattolo che finiva in un laghetto, un ponticello carino e un bellissimo gazebo tutto di legno bianco. Intorno a noi, luci rosse fluttuanti illuminavano il buio della notte. C'era tanta gente, tutti in maschera. Su un palcoscenico suonava allegramente quella che mi dissero essere la migliore banda dei quattro regni. Erano davvero buffi e la loro musica così stravagante, ma molto allegra. Immensi tavoli stracolmi di cibo e bevande completavano la scena.
Poi lo squillare di trombe simboleggiò l’arrivo della famiglia reale. Erano vestiti con eleganza e stravaganza, tutti in oro. Nella loro stranezza erano davvero belli.
“Benvenuti amici di sempre e benvenuti amici nuovi,” disse uno di loro volgendo lo sguardo su di me, e tutti mi guardarono. Diventai completamente rossa in viso. “Ogni anno ci riuniamo per porgere omaggio al Merech, il fuoco sacro che alimenta il nostro regno e che ci dona prosperità e serenità. Con i calici in alto, brindiamo al Merech e diamo inizio alle danze e alla festa!”
Si alzò un grido potente: “Al Merech!” E poi la festa iniziò. Tutti iniziarono a ballare e quei balli così antichi erano meravigliosi. Rimasi a guardarli per ore prima che qualcuno mi invitasse a ballare. Così anche io, seppur molto goffamente, mi unii a loro in quelle danze. Fu bellissimo. Da ragazzina sciocca, sola e emarginata dai miei compagni, ero diventata una principessa delle favole.
La festa continuò senza intoppi per molte ore, ma poi successe qualcosa. Un grido orribile e straziante pervase l’atmosfera serena e gioiosa. Un animale alato, più grande di un’aquila e con tre code, atterrò delicatamente su un albero lì vicino. Quando tutti si misero a fissarlo, spalancò le sue ali e vidi un piumaggio variopinto che lentamente si trasformava lasciando spazio a una bellissima donna con una corona.
“Mio amato popolo, i cinque regni sono in pericolo! Il Merech, il nostro amato fuoco sacro, è stato derubato. Una gigante ombra lo ha prelevato. A nulla sono servite le guardie e la dura lotta che ha visto morire tutte loro e mio padre. Le ombre della foresta di Wernest stanno tornando e senza il Merech a difendere la barriera tra noi e loro, temo che tra poco tempo invaderanno i nostri confini. Dobbiamo prepararci alla guerra! Un’evenienza che abbiamo sempre sperato di non dover affrontare, ma che ormai è inevitabile.”
Consegnato il messaggio, il bellissimo animale volò via. “Anche gli altri regni avranno visto il messaggio. Dobbiamo prepararci.”
La festa terminò in un gran vociare spaventato, tutti erano agitati per quello che era successo, e io capii che quel fuoco doveva essere fondamentale per tutti loro. Aprii il diario di Darhiel per cercare qualche indizio su cosa fosse, ma non trovai nulla. Qualsiasi cosa fosse, doveva essere davvero importante.
“Vieni con me, Cristal, giusto?”
“Sì, arrivo.”
Seguii la guardia che molte ore prima mi aveva scortata dalle prigioni fino al palazzo e di fronte al re. Mi guidò su un sentiero ostico, difficile da percorrere in mezzo a quella vegetazione così fitta e selvaggia. Mi condusse fino a una collina verdeggiante e lì, tutto solo, splendeva immenso un grande albero con la chioma tutta rosea e con liane azzurre che pendevano dalle sue fronde. Lì, raggomitolati, giacevano dei meravigliosi esseri alati. La guardia fece uno strano verso e uno di loro si mosse. Era enorme: il suo corpo somigliava a quello di un drago, le sue ali erano fatte di piume di fuoco e la sua coda lunga era ricoperta di scaglie luminose di diversi colori, tutte le sfumature del fuoco. Alla fine della coda vi era un grande spuntone che probabilmente le serviva per difendersi.
“Loro sono gli Elefhite e lei è la mia amata Maia. Sono alcune delle nostre cavalcature; esse nascono dai draghi e dalle regine dei Tijrhi, che sono grandi quasi quanto i draghi. Ora il mio compito è di andare nelle terre dei Celac, i signori dell’aria, e tu verrai con me perché così ha deciso il mio signore.”
Con un agile balzo, salì sulla sua cavalcatura. Io rimasi perplessa, temendo che mi sarei bruciata.
“Non ti scotterà, tranquilla. Lo vedi? Il suo manto ora non è più rosso intenso, ma arancione. In questo momento non si sta difendendo da possibili attacchi, ma ci offre di salire sul suo dorso.”
Rassicurata, afferrai la mano che mi veniva gentilmente offerta. L’uomo diede una leggera pacca all’animale, che aprì le sue immense ali e spiccò il volo. Il corpo della cavalcatura era ricoperto da un manto morbido, sotto il quale si celavano possenti scaglie protettive e durissime.
Dall’alto, quel luogo era ancora più bello. Certo, era notte, ma due grandi lune piene illuminavano la sera e, con le stelle, tutto era più magico. Passammo sopra un grande fiume di lava in cui nuotavano felici dei delfini di fuoco, gli Efilin.
“Perché ci sono due lune?”
“Una luna è la nostra, l’altra è la vostra. Qui un giorno e due notti sono come una notte nel vostro mondo.”
“Davvero! È fantastico.”
Lui mi sorrise e poi si voltò nuovamente verso il luogo in cui ci stavamo dirigendo.
“Io pensavo che i draghi fossero le vostre cavalcature.”
“No, noi dobbiamo farli nascere, educarli e addestrarli, ma loro sono le cavalcature dei Tecar, i nostri guardiani e signori. I draghi bianchi sono destinati alla sovrana e alle sue figlie, quelli neri al sovrano e ai suoi figli.”
“Capito.”
