CAPITOLO 6
KYLA
«Buongiorno, come ti senti? Il dottore ha detto che dovresti rimetterti presto».
Daniel era sempre gentile con me, quasi troppo. Pensavo sempre che avesse quel tono con me solo perché gli servivo, però poi mi ricordavo anche di come si era preoccupato per me e di come aveva aggredito il figlio per me.
«Sto bene. Non devi preoccuparti sempre per me».
Lui mi sorrise. «Mi dispiace per Jay, lo dico sempre ma è così. Non la pass…».
Lo bloccai prima che potesse finire. «Davvero Daniel, non poteva sapere che avrei reagito in quel modo. Non lo sto difendendo, sto solo dicendo la verità».
Mi guardò, per vedere se veramente doveva credermi oppure se lo stessi difendendo solo per paura.
«Lasciamo stare mio figlio. Austin verrà tra poco, mi ha detto di dirti che se ti fa piacere ti farà visitare la città oggi».
Io? Io ed Austin saremmo andati in città insieme? Io sarei uscita finalmente?
Annuii in modo incontrollato.
«Come mai tutta questa felicità stamattina?».
Jayden entrò nella stanza e tutta la mia felicità mutò in qualcosa di straordinariamente forte dentro di me. Un qualcosa a cui non sapevo dare un nome.
Fissai per un momento le sue labbra, perfette, pensando che avevano toccato le mie con una forza spaventosa e che avrei voluto toccare ancora, in ogni momento. Prima che Daniel gli rispondesse, mandai giù un bel groppone.
«Austin la porta in città oggi».
Daniel stava leggendo il suo giornale come sempre, quindi non poté vedere l’espressione di suo figlio a quelle sue parole, ma io sì, io lo stavo praticamente fissando e quando i suoi occhi si spostarono su di me, per un attimo pensai che gli avesse dato fastidio pensarmi con il suo migliore amico.
«Tornate tardi per favore, potremmo raggiungere un equilibrio se state lontani».
Il suo tono duro però eliminò dalla mia testa qualsiasi pensiero benevolo. Sbuffai e presi un caffè.
«Non sei ancora pronta?». Mi girai di scatto e salutai Austin con la mano.
«Devi sbrigarti, oggi ti farò vedere tutto quello che vuoi».
Annuii e, ancora con la tazza in mano, corsi a mettermi qualcosa che non dicesse quanto fossi frustrata, emarginata o qualsiasi altra cosa.
Leyla aveva fatto mettere dei profumi e qualche cipria sulla mia toeletta, così decisi di usarli. Quella cipria levigava ogni tipo di imperfezione, mi sembravo una bambola appena uscita dalla fabbrica.
Mi stava aspettando proprio sul portone. Prima di uscire, però, mi voltai giusto un momento per vedere se lui fosse apparso magicamente davanti ai miei occhi. Avrei potuto godermi la città nel migliore dei modi se lo avessi visto un’ultima volta.
Non c’era, lui appariva solo nei momenti peggiori.
«Come ti senti?».
«Bene, sto guarendo e poi tu mi stai portando fuori e questo rende tutto ancora più bello».
Scoppiò a ridere mentre salivamo in macchina.
«Sembra quasi che tu non abbia mai visto nulla al di fuori di casa tua».
Il mio sorriso scomparve e così anche il suo.
«Non sei mai uscita da casa?».
Scossi la testa. «Possiamo non parlarne? Ho la tendenza a non mentire, ma non voglio rovinare la giornata».
Lui annuì.
Se avessi incontrato prima lui, se i miei occhi fossero inceppati prima nei suoi, probabilmente ci sarebbe entrato lui nella mia testa, solo che alla fine io ero comunque destinata a Jay, che lui lo volesse o meno.
«Vorrei portarti nei posti più belli, non riusciremo a vedere tutto in giornata, ma penso che avremo molto tempo».
Stava sorridendo mentre parcheggiava l’auto.
«Molto tempo?».
Lui annuì e venne ad aprire la mia portiera. «La madre di Jay potrebbe star via anche un anno intero senza tornare».
Non stavo capendo e lui lo intuì.
«Non si sposerebbe mai senza sua madre».
Mi guardai intorno, le persone sembravano venirmi addosso e tutti mi sembrò così caotico. C’era troppa gente, non mi aspettavo di sentirmi soffocare.
«Hey, ho detto qualcosa di sbagliato?».
Scossi la testa. «No, non sono abituata a questo».
Indicai le macchine e le persone che nel frattempo mi stavano guardando come fossi stata una pazza.
«In ogni caso, Jayden non mi sposerebbe mai. Penserai che sono solo un’approfittatrice…».
Austin prese la mia mano e insieme provammo a camminare. «Non lo penso perché Daniel mi ha detto molte cose».
Annuii. Non volevo che ne parlasse con suo figlio, ma sapere che il suo migliore amico non gli aveva detto nulla e che si stava davvero prendendo cura di me, mi faceva sentire meglio.
«Non…non vorrei che lui…».
Strinse la mia mano per spostarmi verso destra, stavo andando contro un palo senza rendermene conto.
«Non gli dirò nulla, anche se capirebbe molte cose. Potrebbe sorprenderti se gliene parlassi tu».
Scoppiai a ridere. «Non credo. È bravo a cogliere ogni mio aspetto, ma non smette di torturarmi».
Austin mi portò sopra un ponte bellissimo, pieno di persone che facevano foto. Ne fece una anche a me.
Era altissimo, ma non mi spaventava. Tutti sembravano contenti di essere lì ed io invece, che vivevo in quella città da tutta la vita, pensavo che quella fosse solo la prima volta che vedevo ogni cosa.
«Neanche lui ha vissuto momenti bellissimi». Scosse le mani per giustificare quello che aveva detto. «Non voglio difenderlo, ma i suoi comportamenti spesso derivano da quello che gli è capitato».
«Austin…».
Lui scosse la testa. «Non posso Kyla, sarebbe come tradirlo e sono cose che neanche suo padre sa. Non voglio rischiare di perderlo…».
Aveva ragione. Mi conosceva da così poco che pensare che mi avrebbe rivelato i segreti di Jayden era stato stupido.
«Perché mi odia?».
Sgranò gli occhi, poi sorrise. «Lui non odia nessuno, è uno stronzo e basta. Tu sei solo la sua vittima, perché non può prendersela con il padre come riesce a farlo con te. A volte esagera, lo so, come l’altro giorno».
Di colpo ripensai a quel bacio, alle sue labbra e a tutto quello che avevano provocato toccando le mie.
«Oh, ho ancora due posti da farti vedere, vieni…».
***
JAYDEN
Erano le 11 di sera, non avevano ancora rimesso piede in casa. Avevano lasciato la villa di mattina, lei si era preparata felice come una bambina. L’avevo vista uscire dalle scale, l’avevo seguita in ogni suo movimento, anche quando i suoi occhi avevano cercato i miei.
Avevo bevuto, avevo bevuto tantissimo. Un bicchiere per ogni ora che contavo.
I fari della macchina di Austin non si spensero, avevo capito da quello che non sarebbe sceso. Probabilmente pensava che io stessi dormendo.
Mi sentivo arrabbiato, sentivo che saperli insieme mi aveva dato fastidio.
«Jayden».
Alzai il bicchiere verso di lei e mi avvicinai.
«Avete fatto tardi». Scoppiai a ridere. «Vi siete fermati in una piazzola mentre tornavate? Ho sentito dire che Austin è un bravo, ecco…un bravo amante».
Abbassò lo sguardo e bevvi tutto il bicchiere pensando che magari avevo proprio rivelato la verità.
«Ti sei scopata Austin?».
Mi guardò sospirando. «E anche se fosse?».
Lasciai cadere il bicchiere a terra e le presi il braccio, costringendola a salire le scale. Non la portai nella sua camera, ma sul terrazzo.
«Austin è un mio amico, e si fa abbindolare spesso dalle donne, ma non ha bisogno di te, di una ragazzina come te».
Annuì. «Sì ma credo sia abbastanza grande da prendere le sue decisioni da solo».
Si liberò dalla mia presa, ma non se ne andò come pensavo stesse per fare.
«Non te ne vai?».
Mi stava fissando, stava fissando ogni centimetro del mio viso. Mi stava studiando.
«Ragazzina…».
«Ho pensato a te tutto il tempo, ho pensato a quel bacio, ho pensato alle tue labbra. Ho pensato in continuazione a te».
Cazzo! Non volevo parlarne, non volevo rivivere quel momento, eppure lei aveva appena abbassato le sue difese per confessarmi qualcosa che, seppur chiara ai miei occhi, aveva magicamente spento la mia rabbia al pensiero che si fosse lasciata andare proprio con il mio migliore amico.
«Mi ha fatto così schifo Kyla, che non mi avvicinerei mai più a te».
Sorrise. «Volevo che tu lo sapessi. Austin ed io non siamo stati insieme, l’unico contatto che abbiamo avuto è stato tenerci per mano». Mi guardò per l’ultima volta prima di girarsi.
La rincorsi prima che tornasse al piano di sotto.
«Cosa hai provato?». Non aveva capito a cosa mi riferissi. «Le tue mani sono andate a fuoco? Tu sei andata a fuoco? Il tuo cuore è uscito fuori dal petto come quando le mie labbra hanno toccato le tue?».
Strinse i pugni, ma aveva il coraggio di guardarmi nonostante quella vicinanza le aveva provocato la sua solita reazione.
«No».
Avvicinai il mio viso a lei quel tanto che bastava per farla respirare.
Le mie mani presero i suoi fianchi, di nuovo. Salirono lungo tutto il corpo fino a posarsi intorno al collo. Sentii il suo profumo per la prima volta, mi resi conto che aveva messo quello che piaceva tanto a mia madre. Un gusto delicato e ingannevole allo stesso tempo, proprio come lei.
«Vattene».
Scosse la testa.
«Potrei farti di nuovo del male».
Scosse la testa.
«Kyla, ti farai del male».
Posò per un secondo le sue labbra sulle mie. Poi si toccò la bocca con le mani guardandomi preoccupata. Aveva semplicemente seguito il suo istinto ma si era pentita subito dopo.
«Scusami, non so perché l’ho fatto».
Mandai giù la saliva, chiusi gli occhi, feci un bel respiro.
Mi stava fissando quando li riaprii.
La mia mano era ancora sul suo collo. La strinsi, senza farle del male. Poi con forza la baciai, infilai la mia lingua nella sua bocca senza neanche chiedere il permesso.
Lei seguì il mio bacio, scottava sempre di più.
Quel calore che emanava, riempiva tutta la rabbia che avevo, e la faceva scomparire come per magia. Aprii gli occhi solo per prenderla in braccio, e poi sbatterla contro il muro della porta del terrazzo.
Emanò un gemito ed io la spinsi più forte.
Le sue gambe si attaccarono al mio corpo, così da potermi permettere di usare le mani per fare altro.
Cominciai a muovere il mio bacino contro il suo, cominciai a leccarle il collo, a darle dei morsi su ogni parte scoperta che trovavo. Lei si stava lasciando andare, anche se sapevo che appena tutto fosse finito, saremmo tornati quelli di prima.
Lasciai che lei si reggesse sulle mie spalle, lasciai che lei infilasse le sue unghie nella mia carne ogni volta che la spingevo più forte. Sembrava non sentire dolore, sembrava stare bene, sembrava eccitata e…era diversa.
Era fottutamente diversa.
La volevo fuori dal mio mondo il prima possibile, lei non era neanche il genere di donna che poteva piacermi, eppure c’era qualcosa che mi spingeva verso di lei, io la volevo, la volevo fare mia. Se fosse successo, se lei fosse venuta a letto con me, il giorno dopo si sarebbe pentita per il resto della sua vita.
Non poteva ricevere una così grande delusione, non con me. Non con l’uomo che avrebbe dovuto sposare. Non avrebbe mai superato la cosa e tutti sarebbero stati di nuovo contro di me.
Fu quello il motivo per il quale la posai a terra staccandomi quasi di scatto.
I suoi occhi sorpresi chiedevano ancora di più, ma io non potevo far sì che accadesse. Avevo pensato che un solo bacio avrebbe fatto star male lei, che quel bacio le avrebbe dimostrato che io non ero affatto l’uomo che voleva sposare e che sebbene provasse qualcosa per me, non mi avrebbe mai avuto, perché in fondo ero uno stronzo che l’aveva sfiorata solo per farle del male.
Quella sera però il bacio si era ripetuto e nessuno dei due aveva potuto farci molto.
«Vattene».
Provò ad avvicinarsi a me, ma io mi allontanai.
«Vattene!». Urlai. «Devi stare lontana da me».
Abbassò la maniglia della porta guardandomi. Il mio atteggiamento l’aveva spaventata, e poi scomparve per le scale.
L’alcool che mi era rimsato in corpo, mischiato all’eccitamento per quello che era appena successo, mi fecero quasi cascare a terra. Non sapevo più cosa dovessi fare o cosa dovessi pensare.
Se era davvero giusto continuare a farla stare male, se era veramente lei la causa dei miei problemi o se invece, potevo permettermi di stare bene, di vivere una vita normale, senza nessun pensiero, solo baciandola.
Dormii su quel terrazzo per tutta la notte, fino a quando non fu Willy a trovarmi.
«Jayden, Jayden svegliati». Mi scosse le spalle. «Jayden scotti davvero molto».
“L’avevo vista per la prima volta in quel bar al centro, quando, libero da ogni tipo di responsabilità, avevo deciso di far festa. Austin ed io avevamo bevuto così tanto da avere problemi anche a vedere le persone accanto a noi, eppure stavamo ridendo come due matti. Fino a quando andai a sbattere contro una donna che stava ordinando un cocktail al bancone. Avevo 20 anni, lei sembrava ancora minorenne. Le avevo chiesto scusa, e, toccando le sue mani, la mia vista riapparse in un lampo. Mi innamorai all’istante di quella donna, di quella ragazzina. Da quel momento in poi nulla fu più lo stesso. Ripensare a lei mi provocava ancora gli incubi, e non perché mi avesse fatto del male fisicamente, ma perché lei mi aveva tradito, lei mi aveva fatto innamorare e poi era scappata con metà del mio patrimonio di famiglia. Lei ed io eravamo stati insieme per cinque anni. Avevo provato a cercarla, avevo provato a capire cosa fosse davvero successo, ma lei aveva mandato degli uomini per farmi capire che non dovevo più provarci. Avevo passato sei mesi in coma. Ed era quello l’incubo che facevo ogni notte, pensavo a lei e ripercorrevo tutti quegli anni”
Fu questo quello che pensai prima di svegliarmi davvero dopo le scosse di Willy, che, preoccupato, stava già per allertare tutta la casa e tutto il mondo.
«Sto bene, sto bene».
