CAPITOLO 7
JAYDEN
«Ho sentito che stai male, hai preso un brutto raffreddore».
Sbuffai non appena la vidi entrare nella mia stanza.
«Perché sei qui? Ti avevo detto di non entrare più nella mia stanza».
Sorrise. E la luce del giorno che filtrava dalla mia finestra, mostrava tutta la sua purezza.
«Bè, ho scoperto di avere la tendenza a non seguire molto le regole».
Prese posto sul bordo del letto. Se ne stava seduta all’angolino per non sfiorare neanche le mie gambe.
Mi stava guardando dispiaciuta, come se la febbre che mi stava martellando la testa, fosse colpa sua.
«Mi sono addormentato in terrazza, dopo che te ne sei andata».
«Oh».
Provai ad alzarmi sulla schiena, volevo guardarla meglio e non sembrare un malato grave per qualche alterazione.
«Kyla, ieri sera avevo bevuto davvero molto».
I suoi occhi si spensero dopo le mie parole e in realtà pensavo che lei fosse adirata con me per come l’avevo trattata la sera prima. Per come l’avevo mandata via.
«Questa è la tua giustificazione per il secondo bacio. Mi hai dato il primo per farmi del male, mi hai dato il secondo perché avevi bevuto».
Sorrisi, poi scossi la testa. «In realtà il secondo bacio me lo hai dato tu».
Si toccò di nuovo le labbra con lo stesso gesto che aveva fatto poche ore prima. Poi mi guardò, con più calma.
«Non passerò più se mi vuoi lontana, volevo solo vedere come stavi dato che Willy è corso giù per le scale gridando che gli serviva aiuto per portarti in camera».
Annuii. «Dovrei riposare…».
«Bene, allora ci vediamo quando sarai guarito».
Volevo davvero che lei non tornasse? Volevo davvero restare solo quando davanti a me avevo una ragazza alla quale interessavo davvero?
Sì, lei non poteva starmi vicino, lei non doveva farsi del male, anche se io volevo che lei se ne andasse, anche se sapevo che non l’avrei mai sposata.
Passavano i giorni, le stavo accanto, succedeva sempre qualcosa che ci faceva avvicinare troppo, e la mia testa aveva cominciato a dare di matto. Non sapevo più se avercela con lei, se dovevo comportarmi in maniera diversa, se forse l’idea di sposarla e finalmente fare qualcosa per cui rendere fiero mio padre, fosse la cosa giusta.
Mentre apriva la porta, mentre tornava sempre da me anche quando la cacciavo via, con la sua solita gentilezza che tanto mi dava fastidio, capii, sul mio letto, che non potevo fare a lei quello che era stato fatto a me.
Le avrei portato via molto più dei soldi che avevano portato via a me, le avrei solo spezzato il cuore senza ritegno. Le avrei procurato i miei stessi incubi e sapevo benissimo che lei ne aveva fin troppi anche senza di me.
«Cazzo amico, una notte fuori e la febbre ti stende a letto».
Austin era entrato senza che io lo avessi sentito.
Scoppiai a ridere.
«Ho visto Kyla uscire da qui, mi ha detto che voleva vedere come stavi».
Annuii.
«Le cose stanno migliorando tra voi?».
Scossi la testa. «Non lo so Austin, probabilmente i suoi modi di fare mi stanno facendo capire che non serve odiarla. In ogni caso, non ho cambiato idea, lei non potrà mai essere mia moglie».
«Lo so, per questo sono venuto a dirti che oggi le farò vedere il mare, da vicino. Fa caldo e vorrei che lei si divertisse un po'».
Non risposi. In quel momento capii cosa dovesse significare per Kyla avere sempre la pelle ustionante. Strinsi i pugni sotto le coperte ma non volevo che Austin pensasse che io avessi problemi a farli stare insieme.
«Tu non lavori mai vero?».
A ridere fu lui. «Il locale è attivo solo di notte, lo sai». Si alzò dal letto dove aveva preso posto appena entrato. «Bene, ora che ho visto che non stai morendo, posso prendere Kyla in prestito».
Buttai la mia schiena all’indietro, guardai la finestra e, non appena rimasi solo, i miei incubi tornarono a farmi visita.
***
KYLA
«Non posso venire con te Austin, non so nuotare». Stavo provando a declinare il suo invito per andare al mare, con la massima gentilezza. Non volevo che ci rimanesse male e anche se l’idea non mi dispiaceva affatto, ancora non ero pronta a far vedere il mio corpo a qualcuno che neanche conoscevo.
Jayden aveva toccato una di quelle cicatrici ed io avevo sentito di nuovo tutto il dolore possibile che mi facevano quei ricordi, se Austin mi avesse vista, avrebbe guardato quei segni e avrebbe provato compassione per me. Lui era fatto così, ed io non volevo.
Jayden non aveva battuto ciglio, aveva solo provato a chiedere e poi non ne aveva più parlato. Probabilmente perché non gli interessava affatto saperlo, Austin avrebbe chiesto, avrebbe chiesto fin quando non avesse saputo la verità.
Mi spaventava quel suo modo di fare, perché, nonostante mi facesse piacere il suo interesse nei miei confronti, non era il suo quello che volevo.
«Dai, ti divertirai un sacco».
Stava provando a convincermi.
«Per favore Austin, io…non me la sento».
Lui annuì. Speravo che la smettesse di insistere, non mi piaceva mentire, in realtà non avevo mai dovuto farlo o comunque, quando ci avevo provato, soprattutto da bambina, esausta delle pulizie da fare, ricevevo sempre qualche sberla dalla matrigna, quindi non volevo farlo di nuovo.
«Vuoi comunque uscire? È una giornata calda e Jay ci ha dato il suo permesso».
Mi fece l’occhiolino ma io scossi la testa. Non volevo uscire, non volevo fare nulla se non aspettare che lui si rimettesse in piedi. Non vederlo in giro per casa, anche se non perdeva mai occasione per farmi saltare i nervi, mi disturbava. Ero nervosa senza di lui, ero nervosa perché per vederlo dovevo entrare nella sua stanza, trovare una scusa che non sembrasse così banale da fargli rendere conto che stavo iniziando a provare qualcosa per lui.
Qualcosa…direi più di qualcosa.
Aspettai che Austin uscisse di casa, un po' amareggiato, e poi corsi da Leyla. Lei gli avrebbe portato il pranzo e volevo sapere come stava, se non potevo entrare avrei fatto in modo di ricevere comunque sue notizie.
«Principessa, allora quel ragazzo ti interessa davvero».
Mi feci rossa e lei se ne accorse. Ormai anche Leyla si stava abituando al fatto che se si trattava di Jay, il mio cuore scoppiava e il mio corpo ardeva.
«Non preoccuparti, anche lui sta cambiando nei tuoi confronti».
Sul mio viso comparve un sorriso. Non lo avevo scelto, era venuto e basta, ma sapevo dentro di me di doverla smettere di fantasticare su cose che non sarebbero mai accadute.
Sì, a volte era diverso con me, ma quando ci provava, nell’istante dopo tutto tornava come sempre. Anche quella sera, quando, dopo essersi reso conto di avermi di nuovo baciata, mi aveva cacciato via come se io fossi stata un tristo mietitore.
Con quegli occhi ghiaccio, pieni di ira verso di me, che lo avevo costretto di nuovo ad avvicinarsi.
Lo avevo baciato io…ero stata io che gli avevo dato il secondo bacio presa dall’intraprendenza che non sapevo neanche di avere. Eppure lui aveva continuato, lui mi aveva presa come non avrei potuto immaginare e tutto quello che era successo, mi aveva dato linfa di vita.
Aspettai Leyla fuori dalla porta della sua stanza, e lei scoppiò a ridere di buon gusto quando mi vide.
«Kyla, sta bene. Ha solo preso un po' di febbre».
Annuii. «Oh, è che mi innervosisce saperlo a letto solo per un po' di febbre».
«Jayden non ha mai avuto la febbre in realtà. Certo, quando era bambino ne faceva di tutti i colori. Si è rotto un braccio, una gamba, ha rischiato anche di perdere l’udito, ma la febbre, la febbre mai».
La seguii giù per le scale. La storia mi incuriosiva.
«C’è stato un periodo in cui stava davvero male, ma queste sono cose private e non ci è permesso parlarne. Non aveva febbre, non aveva un grave raffreddore. Il suo cuore era malato».
Capii che c’entrava una donna. Anche il mio cuore era malato da quando lo avevo visto, mi faceva male quando lui non si trovava in giro e scoppiava di gioia? Forse…quando lui mi stava vicino.
«Quindi questa nuova situazione lo ha messo K.O.».
La guardai un po' distratta dai miei soliti pensieri.
«Quindi anche lui ha sofferto tanto?».
Leyla mi sorrise, sembrava essere sua madre quando ne parlava. Conosceva ogni dettaglio, e dubitavo del fatto che la sua vera madre ne sapesse quanto lei.
«Sì, credo che quella ferita non si sia mai chiusa del tutto».
Sospirò, forse ripensando a quei momenti.
«In ogni caso, non chiederglielo. Va su tutte le furie quando qualcuno prova a ricordargli il passato».
Annuii e continuai a seguirla per tutta la casa. Lei poteva farmi capire Jayden meglio di chiunque altro, anche se non mi avrebbe mai raccontato cosa celasse quel suo caratteraccio.
«Io non sono la donna per lui, questo è chiaro. Penso che magari, se non avesse sofferto prima…».
Mi toccò una spalla lasciando a terra gli asciugamani sporchi trovati nella stanza del signor Daniel.
«Tesoro, lui non è tipo da matrimonio. Il suo passato rimarrà tale e non possiamo cambiare il presente a causa di quello che ha vissuto. So che il vostro matrimonio è stato organizzato da suo padre ma lui, lui non è tipo da seguire gli ordini». Si fermò per rassicurarmi con un sorriso. «In ogni caso, se la tua gentilezza, la tua sincerità e la tua particolare bellezza, riuscissero in un qualche modo a fargli dimenticare i brutti ricordi, ne sarei davvero felice, per entrambi».
Mi aveva detto con onestà quello che in realtà già sapevo. Sarebbe stata dura, se non impossibile, fare in modo che lui mi vedesse per la prima volta come una sua possibilità, che mi guardasse e capisse che forse potevo davvero rappresentare la fine dei suoi dolori.
Pensarci però mi dava ancora più forza nel provarci, pensare di riuscire a fare qualcosa, non era di certo nella mia natura, ma lui mi confondeva, i suoi baci mi avevano confusa ed io non volevo che lui smettesse di punzecchiarmi, di portarmi in un luogo isolato, che fosse il terrazzo o una delle nostre camere, e che mi prendesse, che mi baciasse come se ne avesse davvero bisogno.
Pensai che non mi importava se dopo tornava ad essere lo stronzo di prima, e sapevo che tutti quei pensieri mi avrebbero portata alla distruzione.
Non avevo mai vissuto nulla del genere, così fu quello il mio ultimo pensiero della giornata. Avevo vissuto rinchiusa come una serva, picchiata e derisa dalla mia stessa famiglia per tutti quegli anni e quindi mi dovevo un po' di speranza, la stessa che mi aveva dato il signor Daniel entrando in casa mia.
Non riuscii a dormire, quindi andai a prendere un po' di acqua prima di risalire. Fu in quel momento che lo sentii gridare.
Nessuno apparve fuori dalla sua stanza ed io, preoccupata che stesse male o che fosse entrato qualcuno, feci irruzione nella sua stanza.
Lo trovai sudato, in preda a convulsioni date dalla febbre altissima. Lo bagnai con degli asciugamani che avevo messo nel ghiaccio per renderli più freddi. Lo scoprii dalle lenzuola e tolsi la sua maglietta.
Quella vista mi rese inerme per qualche secondo, dopo il quale mi resi conto che dovevo continuare ad aiutarlo e non fare pensieri osceni su quello che avevo già visto.
Aspettai che la febbre passasse, e, appena lo vidi stare meglio, decisi che fosse ora di andarmene.
Provai ad alzarmi ma lui tenne la mia mano stretta e sussurrò, come se fosse stato in punto di morte: «Rimani qui».
Feci esattamente quello che mi aveva detto. All’inizio restai seduta al suo fianco, aspettando che magari mi lasciasse la mano, ma quando sentivo che stava allentando la presa, e provavo a sgattaiolare fuori prima che aprisse gli occhi e tornasse quello odioso di sempre, lui la stringeva di nuovo.
«Olive, non andartene».
Scossa dal fatto che mi avesse scambiata per un’altra donna, ero troppo stanca per provarci o per restare seduta. Mi appoggiai sul letto, accanto a lui e poi cascai nei miei sogni, che quella sera mi parvero incubi.
Olive…la donna che lo aveva fatto soffrire, la persona per cui lui non riusciva più ad amare…eppure lui la pensava ancora, lui la voleva ancora e fu chiaro in quel momento che io non avevo alcuna speranza di vincere contro un fantasma.
Sognai lei, sognai che fosse bella, alta, formosa, intelligente…bionda. Sognai che fosse la donna più desiderata del mondo, una che si prende quello che vuole senza chiedere. Sognai lei in quella casa, la sognai mentre faceva il suo ingresso teatrale e che correva incontro a Jay.
Lui la prendeva in braccio sorridente come non mai.
Sognai che entrambi ridevano di me mentre pulivo gli schizzi di champagne aperto da Daniel, che festeggiava con loro. Sognai di nuovo di essere una domestica, sognai di essere picchiata ancora.
Immersa quindi nei miei incubi, mi svegliai di scatto e notai che forse doveva essere già troppo tardi per andarmene prima che qualcuno si accorgesse che fossi lì. O meglio, non mi importava che altre persone mi vedessero insieme a lui, l’unico che non doveva sapere che ero stata al suo fianco per tutta la notte, era proprio Jay.
«Kyla, cosa ci fai sveglia?». Guardai Daniel mentre, rimettendosi a posto la cravatta, fece un sorrisetto malizioso, notando che la porta che avevo appena chiuso era quella della stanza di suo figlio.
«Non è come credi, davvero». Presi fiato per non sembrare un’idiota. «Stanotte ho sentito che urlava».
Si incupì ed io continuai. «Aveva la febbre altissima e quindi ho pensato di rimanere con lui fino a quando non fosse passato tutto, ma poi mi sono addormentata».
Il sorriso malizioso scomparve per far posto al sorriso dolce che mi rivolgeva da quando lo avevo conosciuto.
«Grazie, so che deve essere dura trattare con lui, ma apprezzerà quello che hai fatto stanotte per lui».
Scossi la testa agitando le mani. «Ecco, non credo che lui mi abbia riconosciuta in preda al delirio della febbre. Non voglio che lo sappia, abbiamo già così tanti attriti che probabilmente potrebbe infuriarsi con me».
Daniel annuì, ed io non dissi altro. Non gli avrei di certo raccontato che lui pensasse fossi Olive. Se Jay aveva davvero sofferto così tanto, dire al padre che continuava a farlo non mi sembrò davvero un’ottima idea.
Corsi nella mia stanza notando dall’orologio a parete che erano le sei del mattino. Trovavo sempre il signor Daniel a fare colazione quando scendevo, verso le 9.00, ma non sapevo che lui si svegliasse a quell’ora. Dormii.
