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Brucia Per Me

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Rebecca Vans
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Riepilogo

...Tu bruci, tu bruci per me dal primo giorno e lo stai facendo anche adesso... Jayden nascondeva i suoi sentimenti, Jayden li nascondeva non solo agli altri, ma anche a sé stesso. Lo faceva per dimenticare i demoni del suo passato, lo faceva per punire suo padre, che lo stava costringendo a fare qualcosa che non accettava, solo per affari. Nessuno poteva sapere che lei era così diversa da cambiare le carte in tavola, che lei e la sua presenza, avrebbe determinato la vita di tutta la famiglia Murray. L'odio spariva mentre la passione cresceva. La tristezza faceva spazio alla felicità. Kyla aveva demoni ben più grandi dei suoi, eppure i suoi occhi non cedevano alla rabbia, eppure i suoi occhi avrebbero cambiato i suoi per sempre.

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PROLOGO

Mia madre mi ripeteva sempre che il mio nome significava “vittoria”. Mi diceva che io rappresentavo la sua rinascita come donna, che niente avrebbe potuto toglierle la felicità di avermi avuta e che mi aveva dato proprio quel nome perché le avevano detto che non avrebbe mai potuto avere figli.

Fino ai miei 5 anni, la nostra sembrava davvero una famiglia perfetta.

Poi la malattia portò via mia madre ed ogni cosa era cambiata in fretta.

La depressione, la bancarotta, il trasferimento in America…la nuova moglie di papà, il suo nuovo figlio ed io. Io rappresentavo mia madre in tutto e per tutto.

Crescevo come lei, avevo il suo stesso carattere e mio padre mi odiava, odiava il fatto che fossi esattamente come lei. Mi odiava anche la sua nuova moglie, e così anche il mio fratellastro.

All’età di 10 anni, decisero di non pagarmi più gli studi, un cugino di quella donna mi faceva lezioni private. Dovevo occuparmi della casa e di tutti loro. Non potevano più permettersi delle donne delle pulizie come un tempo e avevano usato me.

Quando mio padre tornava ubriaco, usava la cinta o qualsiasi altra cosa e mi colpiva, mi colpiva con rabbia e a volte pensavo che forse se io non fossi nata non sarebbe successo nulla.

La mia non era stata una bella vita e ormai ogni speranza che qualcosa potesse cambiare era svanita.

Fu solo quando un uomo, dagli occhi chiari e dell’età di mio padre, entrò in casa per parlare con lui, che il mio cuore riprese finalmente a battere.

La matrigna era uscita con Lucas, ed io stavo pulendo la cucina.

Il suo studio era proprio lì vicino e non mi fu difficile ascoltare ogni conversazione.

«Youssef, se tua figlia sposerà mio figlio, cancellerò ogni tuo debito e potrai riprendere l’attività di famiglia».

Fu quella la frase che mi bloccò. Restai davanti quella porta a fissare il vuoto.

Non potevo sapere a cosa andassi incontro, ma sapevo che nulla sarebbe stato peggio di restare in quella casa.

Avevo 20 anni. Probabilmente avevo visto la strada della città e la città stessa solo dal balcone di casa.

Non avevo mai avuto amici, non avevo mai avuto un fidanzato, non avevo avuto nulla.

Quell’uomo però era arrivato per darmi speranza, quell’uomo probabilmente mi stava per salvare la vita.

Feci finta di pulire quando uscirono.

Quell’uomo rimase sorpreso di vedermi con uno straccio in mano e mio padre lo rassicurò dicendogli che amavo aiutare in casa. Stava mentendo e qualcosa mi disse che lo capì anche quel signore.

Lo guardai ed anche se mi restava davvero difficile sorridere, provai a farlo.

Volevo che mi vedesse e che capisse che non poteva lasciarmi lì dentro.

Quella sera mio padre mi aveva picchiato perché avevo osato farmi vedere da quell’uomo mentre pulivo per terra. Una ragazza con il mio cognome, ambita da chiunque nel mio Paese, non avrebbe mai dovuto rovinarsi le mani, eppure lui mi aveva vessata da sempre.

Gli servivo, gli servivo da dare in sposa a quell’uomo perché almeno lui avrebbe riacquistato il suo potere e la sua nuova famiglia sarebbe stata di nuovo felice.

Avevo superato il dolore di aver perso totalmente mio padre e di aver visto morire mia madre, l’unica cosa che volevo era una scappatoia da quella tortura e quindi avrei fatto di tutto per far sì che mio padre ottenesse quei soldi.

«Mettiti il vestito di tua madre».

Avevano buttato qualsiasi cosa. Fotografie, oggetti vari, gioielli…nulla di lei era rimasto. Avevano usato la scusa del trasferimento, non potevamo portare cose inutili e le sue cose vennero catalogate proprio così.

Ma quel vestito, quel vestito lo avevano tenuto. A lei piaceva molto, anche se fortunatamente non aveva mai avuto occasione di metterlo. O meglio, non le entrava. Mia madre era molto bella, aveva un fisico da far invidia e anche con la gravidanza non aveva preso un chilo.

Lei invece ne aveva presi un bel po' e quindi, dopo aver incastrato mio padre, dopo averlo sposato perché incinta, non aveva avuto più nessuna opportunità per metterlo.

A me stava largo, si vedeva che non era della mia taglia. La mia magrezza era dovuta dal fatto che non mangiavo mai bene, che a volte non potevo o a volte crollavo nel sonno piuttosto che masticare qualcosa.

Non avevo mai avuto problemi di salute, solo un po' di febbre nei periodi difficili, e speravo sempre che le cose si aggravassero, per poter andare in ospedale, scappare o chiedere aiuto lì.

Ma nulla.

Quel giorno, con quel vestito, ricordai come fosse vivere felice. Con genitori felici in una casa bellissima, in un posto che mi rendeva piena di gioia.

«Non dire nulla, entriamo, conoscerai quell’uomo e se accetterà di sposarti, andrai con lui».

Annuii.

Da piccola, prima che lui diventasse così manesco con me, provavo sempre a rispondere, a ribellarmi, ma poi, dopo i graffi e le cicatrici, avevo smesso. Cercavo di farlo arrabbiare il meno possibile, di non farmi vedere, di cucinare proprio come volevano, di andarmene in camera prima che potessero incolparmi di qualcosa.

E così, anche quando mi disse che c’era qualcuno che vedendomi doveva accettare di sposarmi, non risposi.

Chi avrebbe accettato di sposare una come me? Pensavo che le cose fossero già state organizzate e invece, lui doveva approvare.

In effetti quel giorno non andò come sperava mio padre, o come speravo io, perché quell’uomo, che mi fissava dall’alto in basso vicino al signore che era venuto in casa nostra, sembrò quasi schifato alla mia vista.

«Io e mio figlio dobbiamo parlare, non andate via».

Non volevo restare da sola con mio padre proprio in quel momento, perché lo schiaffo che sentii cinque secondi dopo che fossero usciti, mi lasciò un nuovo livido. Mi prese un nuovo pezzo di cuore.

Aspettammo che lui tornasse e solo una settimana dopo, quando ormai io avevo abbandonato l’idea che un giorno avrei trovato la salvezza, tornò a casa.

«Mio figlio è stato frettoloso nella sua decisione, mi scuso. Youssef, siamo ancora interessati a tua figlia e l’offerta è ancora valida. Se sei d’accordo, la ragazza viene con me oggi».

L’inizio di una nuova vita, la mia liberazione.