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CAPITOLO 3

KYLA

La sera della festa era arrivata, ma quello che era successo nei giorni in cui mi trovavo in quella villa, avevano spento ogni tipo di entusiasmo che avevo al solo pensiero di dover indossare quell’abito.

Lui mi odiava, non mi voleva, gli facevo schifo.

Avevo capito questo da ogni sua parola. Eppure io, quella notte, non riuscivo a prendere sonno a causa di quei suoi occhi, a causa della sua bellezza, della sua mascella serrata mentre mi fissava.

Quella notte avevo pensato che se lui non fosse arrivato in tempo, avrei dovuto sopportare un dolore che non conoscevo, un altro ancora, uno di quelli che sicuramente mi avrebbero fatta affossare del tutto.

Lui non mi trattava con pietà, con tenerezza. Non lo aveva mai fatto nessuno d’altronde. Ma a me andava bene così, non volevo che sapesse cosa avessi dovuto subire, non volevo che accettasse la mia persona solo perché avevo vissuto in quel modo.

Se non avesse voluto sposarmi lo avrei capito, ma non avrei mai accettato di sposarlo se lui avesse deciso di farlo solo per pietà.

Quando scesi per fare colazione, con me portai tutti i vestiti sporchi che avevo lasciato nella cesta del bagno.

Non vedevo assolutamente nulla mentre scendevo le scale e le mie gambe mi abbandonarono quasi alla fine.

I panni caddero sul pavimento, ma lui mi aveva presa in tempo per non farmi fare la stessa fine.

«Non è possibile, combini solo guai».

Sbuffai e mi abbassai per raccogliere le mie cose.

«Signorina Kyla? Ma cosa stai facendo?».

Guardai Leyla e Jayden mentre riprendevo ogni cosa da terra.

«Leyla, vuole lavorare con voi, mi sembra un ottimo compromesso. Potrei non doverla più sposare».

Ci lasciò sole dopo aver detto l’ennesima cavolata.

«Signorina non devi fare queste cose, ci sono io per questo».

Mi aiutò a riprendere qualche calzino arrivato più lontano.

«Non so, mi sento inutile».

Mi toccò la spalla e non la ritrassi. Mi fidavo di lei e questo mi permetteva di avere meno paura del suo tocco.

«Sì ma presto diventerai la signora Murray, non importa cosa facessi prima, adesso dovresti solo goderti questa casa e tutti i lussi».

Scossi la testa. Non ce l’avrei mai fatta.

«Il signor Daniel è in sala da pranzo, mi ha chiesto di dirti di raggiungerlo, ha delle cose che devi dirti e credo che sia meglio che ascolti mentre c’è anche Jay».

Annuii, alzandomi e raggiungendoli.

Stavano già discutendo, ma non avevo voglia di ascoltarli, avevo solo bisogno di un caffè.

«Kyla, ti sei riposata bene? Stasera sarà davvero lunga e…».

Annuii sedendomi il più lontano possibile da loro. Avevo anche mal di testa. Non dormivo bene neanche su quel meraviglioso letto e tutto per colpa di quel dannato Jay.

«Sì signor Daniel, Leyla mi aiuterà». Sorrisi prendendo dalle mani di uno dei camerieri, la mia tazza di caffè.

«Cerca di non cadere dalle scale, dovremo fare l’ingresso insieme e vorrei evitare le brutte figure».

Sorrisi anche a lui, cosa che lo sorprese.

Non sorridevo veramente, avevo solo imparato a farlo guardandomi allo specchio tutte le volte che non riuscivo a dormire. Non avevo più lasciato la mia stanza dopo averli sentiti parlare, non volevo trovarmi di nuovo in quella situazione e non volevo più ascoltare le parole offensive di Jay.

Sapevo di averne ricevute di peggiori, ero cosciente che forse ce l’aveva con me anche per via di suo padre, ma ogni suo gesto nei miei confronti, ogni sua parola, ogni suo sguardo, mi trafiggevano come neanche mio padre era riuscito a fare per tutti quegli anni.

Il modo migliore di sopravvivere era sorridere, era stare zitta e vedere se le cose sarebbero mai cambiate. Sapevo solo una cosa, non sarei mai più tornata in quella che un tempo era casa mia.

La giornata però, mi avrebbe riservato ancora una sorpresa.

«Signor Daniel, il signor Youssef è qui, lo faccio entrare?».

Entrambi mi guardarono, io posai la tazza sul tavolo e feci per alzarmi ma mio padre entrò in quella stanza come se la casa fosse la sua.

«Buongiorno a tutti, Daniel, che piacere rivedere te e tuo figlio».

Prese posto su una sedia, non mi aveva neanche salutato.

«Ho saputo della festa, sarebbe bello potervi partecipare insieme alla mia famiglia, dato che Kyla è ancora mia figlia».

Non lo avevano invitato, lo sapevo perché lo avevo chiesto a Leyla mentre era intenta a rifare il letto una di quelle mettine.

Ora però le cose potevano cambiare ed io non avrei sopportato la loro vista neanche volendo.

«Oh, penso che questa debba essere una scelta di tua figlia, non credi?».

Si girarono tutti a guardarmi, ma non potevano aspettarsi una mia risposta. Se avessi detto di sì, avrei rovinato la mia serata, se avessi detto di no, mio padre mi avrebbe presa a calci in quell’istante o, se non ci fosse riuscito, lo avrebbe fatto quando mi avrebbero rispedito a casa senza un anello al dito.

«Incredibile. Non rispondi neanche adesso!». Jayden parlava sempre a sproposito, ma non provai rabbia in quel momento, perché lui non poteva sapere che uomo fosse mio padre.

«Cara, ti ricordo che sono tuo padre, guardami». Il suo tono stava crescendo, si stava alterando e se fossimo stati soli, non mi avrebbe dato più di un secondo oltre per rispondere.

«Non credo che dobbiate venire». Sputai in fretta, abbassando lo sguardo.

«Come ti permetti piccola stronzetta…».

Lo sentii avvicinarsi a passo svelto, ma poi un’ombra coprì i miei occhi e io alzai lo sguardo.

«La decisione è stata presa signor Youssef. Ci saranno altre serate come questa ma credo che stasera sia abbastanza difficile da gestire per Kyla, con la vostra presenza le cose non si metterebbero affatto bene per noi».

Mio padre non avrebbe mai pensato che Jayden potesse difendermi in un qualche modo, ma io sapevo che non lo aveva fatto per me. Se mi fossi presentata quella sera con un occhio nero, lui avrebbe fatto una brutta figura e questo non poteva permetterlo.

«Youssef, esci da casa mia adesso. Non tollero questi gesti, da oggi in poi, se vorrai chiedere qualcosa o vedere tua figlia, dovrai passare dal mio ufficio. Sai dove si trova».

Daniel accompagnò mio padre fuori ed io rimasi sola con Jay. Non avevo avuto il coraggio di dirgli nulla neanche in quell’occasione, eppure avrei davvero dovuto ringraziarlo. Un altro passo e mio padre mi avrebbe schiaffeggiato come pochi giorni prima di entrare in quella villa.

«Ragazzina, è già la seconda volta che ti salvo il culo».

Annuii sentendo il suo sguardo su di me.

«Grazie».

Con un filo di voce riuscii almeno a dire quella parola, sapendo ciò che mi avrebbe risposto.

«Sai che…».

Mi alzai di scatto. «Sì, non lo hai fatto per me. Lo so».

Uscii dalla sala da pranzo per correre in camera, non mi aveva seguito e ne fui contenta. Non volevo avere nessuno intorno, tantomeno Jayden con le sue parole di disgusto per me.

Daniel però aveva deciso di vedermi, di vedere come stavo e in quel momento avrei cacciato fuori tutti, tranne lui.

«Lo faceva spesso non è così?».

I suoi occhi erano identici a quelli del figlio, ma più gentili, meno arrabbiati, anche se più stanchi.

«Sì bè ecco, non voglio che lui…che Jayden lo sappia, sembra non essersi reso conto di nulla».

Scosse la testa. «Mi dispiace per Jay e per tuo padre, ma avevo visto come ti trattavano quando sono venuto in casa tua».

Prese le mie mani e continuò a parlare. «Ho davvero in ballo un grosso affare, e per questo affare mi servi tu. So che l’altra sera hai sentito la conversazione tra me e Jay e volevo chiarire questo punto con te prima che pensi che non puoi fidarti neanche di me».

Due lacrime scesero sul mio viso. Lo facevano sempre in momenti complicati, era il mio unico metodo di sfogo. Piangere significava liberarmi di pesi inutili.

«Non mi interessa per quale motivo hai scelto me, so solo che scegliendomi mi hai salvato la vita ed io non ti ripagherò mai abbastanza».

Sorrise. «Sei una brava ragazza e anche se mio figlio decidesse di non sposarsi, bè, non ti lascerei tornare in quella casa. Non devi più avere paura Kyla».

Quelle parole riempirono il mio cuore proprio come quando a parlarmi era mia madre. Non ricordavo poi molto di lei, visto che era morta quando ero troppo piccola, ma ricordavo a tratti la sua voce e la sensazione che mi lasciava.

Le parole di Daniel avevano avuto lo stesso effetto. Il sorriso che mi uscì in quel momento, fu il primo vero dopo 15 anni.

«Grazie per tutto Daniel, ti devo molto».

Mi asciugò le lacrime e mi lasciò sola.

Passai il pomeriggio a dormire, o almeno a provarci. Le immagini degli schiaffi di mio padre, le cinghiate sulla schiena, le parole cattive di mio fratello e di sua madre…tutto era ancora così vivido nella mia testa.

Erano giorni che non dormivo a causa di Jayden, ma rivedere mio padre aveva riacceso quei ricordi.

Mi svegliai sudata e di soprassalto, mentre Leyla, cercando di non farsi notare, aveva portato il vestito della festa nella mia camera.

Non avevo pranzato, avevano deciso di farmi riposare però avevo visto il vassoio con il cibo sopra la toeletta.

«Kyla, ti ho portato da mangiare. Salirò tra un paio d’ore per aiutarti. Il signor Daniel ha chiamato una truccatrice per te, e sarà qui a breve. Dovresti farti una doccia e mangiare qualcosa».

Annuii, ringraziandola prima che uscisse dalla stanza.

Sospirai quando, alzandomi, andai incontro al vestito. Mi guardai allo specchio. Troppo magra, troppo pallida. Mi facevo schifo anche da sola. Alzai un po' la maglietta, toccando quelle cicatrici che davanti all’enorme specchio mi facevano ancora più paura.

Nessuno mi avrebbe mai amata.

***

Bussai alla sua porta qualche minuto dopo aver sentito le porte di casa aprirsi. Si sentiva il mormorare di troppe persone, ed io non avevo alcuna idea di come potesse andare quella dannata festa che serviva a presentare Kyla come mia fidanzata nonché come mia futura moglie.

Stavo accettando ogni cosa, anche il più piccolo dettaglio, solo per mantenere in buone, mio padre, che altrimenti mi avrebbe diseredato seduta stante. Non avrei mai immaginato quello che vidi non appena la sua porta si aprì alle mie spalle.

«Signorino, Kyla è pronta. Non è bellissima?».

Leyla sembrava la donna più felice del mondo ed io, guardando Kyla uscire a fatica dalla sua camera, per la prima volta non sentii alcun disgusto. Non avevo mai notato il verde dei suoi occhi, non avevo mai notato le sue labbra carnose e a forma di cuore. Non avevo mai notato che nonostante la sua magrezza, il suo viso aveva delle proporzioni perfette.

Le sue mani tenevano il vestito un po' più alto, era ancora lungo ma le scarpe che avevano comprato le facevano troppo male. Era questo quello che mi era stato detto da Leyla qualche minuto prima che uscissero.

Così le avevano prestato delle scarpe di mia madre che avrebbero attenuato il dolore per la serata ma il vestito ovviamente, fatto su misura, le scendeva troppo per lasciarlo libero.

«Inciamperai se lo lasci vero?».

Lei annuì, senza guardarmi.

Mi abbassai di scatto. Presi delle spille che Leyla aveva impigliate nella sua gonna. C’aveva provato anche lei, ma io avevo avuto un insegnante migliore. Mia madre era una stilista, e viaggiava da quando ero piccolo. All’inizio non era famosa e la vedevo creare i suoi abiti nello studio mentre mio padre telefonava e lavorava.

In estate la seguivo sempre, e lei mi aveva insegnato a risolvere quei piccoli problemi. O meglio, io avevo imparato a farlo guardandola.

«Così dovrebbe andare».

Quando mi alzai, dritto di fronte a lei, notai ancora una volta che il fuoco aveva raggiunto il suo volto. Anche se truccata, le sue emozioni non potevano nascondersi.

Allungai la mano verso di lei e lei la prese.

Prima di scendere le scale, con già tutti gli occhi addosso, la guardai un istante sospirare.

Tirai un sospiro di sollievo quando fummo al piano terra, lei non era caduta e non mi aveva trascinato a terra.

Nessuna brutta figura.

Ogni persona presente, mi conosceva. Io conoscevo ogni persona presente.

C’erano amiche di mia madre, c’erano soci dell’azienda, c’erano clienti e c’erano anche tutte le persone dell’alta società che potevamo invitare.

Presentai Kyla a chiunque incontrassi, lei sorrideva e si limitava a stringere mani. Sapevo che stava morendo dentro, ogni persona che incontravamo, le faceva incupire gli occhi. Non amava quei contatti e l’unica cosa che riusciva a fare, era stringere con forza la mia mano mentre la guidavo tra la sala piena di persone.

«Vuoi fare una pausa?». Dopo due ore di presentazioni varie, la portai in un’ala della casa off limits per quelle persone. Sapevo che aveva bisogno di respirare un po' ed io non volevo davvero che le cose prendessero un’altra piega.

Stava andando tutto bene.

«Tra poco mio padre farà un discorso sul palco, insieme a me. Ti lascerò sola qualche minuto, riesci a farcela?».

Non riuscivo a comportarmi come al solito quella sera. La guardavo e tutto in me cambiava. Era bella, sì, dovevo ammetterlo.

L’avevo vista struccata, l’avevo presa in giro, eppure quella sera non avrei trovato un difetto neanche se lo avessi cercato.

«Sì, ce la faccio».

Annuii e poi rientrammo in sala.

«Che bei piccioncini, come vi siete conosciuti?». Non si aspettava domande del genere e quella donna, una di quelle che avevo visto nuda sotto di me, aveva avuto un attacco di gelosia improvvisa.

La invidiava, invidiava il fatto che io avessi scelto Kyla piuttosto che lei.

«I nostri padri sono amici, Kate, adesso per favore spostati».

Mio padre mi chiamò sul palco in quel momento. Lasciai la sua mano anche se lei continuava a stringerla.

La seguii con la coda dell’occhio fin quando non fui salito sul palco.

Se ne stava lì, sola, a fissare ogni nostro movimento. Non si era spostata neanche di un centimetro, e anche se tutti continuavano a guardarla, lei non rivolgeva la parola a nessuno. Non le piacevano le persone, non le piacevano perché aveva avuto una vita difficile.

Ci stavo arrivando. Stavo arrivando alla conclusione che non stava affatto recitando una parte, lei era davvero fatta così.

Parlai per qualche minuto, rispondendo a qualche domanda o battuta di alcuni invitati. Quando scesi dal palco per raggiungerla, lei non c’era più.

La cercai dappertutto ma senza alcun risultato.

Non poteva essere andata lontano così chiesi alle persone che le stavano intorno se l’avessero vista allontanarsi.

Dopo un po' fu uno dei miei clienti a dirmi di averla vista uscire in giardino.

«Pensi davvero di fottere una famiglia come quella Murray?». Mi nascosi dietro una delle statue di mio padre per ascoltare cosa dicesse Kate.

«Io non voglio…io».

Sbuffò. «Ma smettila. Deve essere per forza qualcosa di combinato altrimenti lui non ti avrebbe mai scelta. Tesoro, guardami».

Kyla abbassò lo sguardo. Non avrebbe mai risposto a tono, piuttosto si sarebbe fatta prendere a calci, ed era una delle cose che non capivo e che odiavo di lei.

«Non rispondi? È stata tutta una farsa stasera non è così?». Rise. «Lo sapevo già, volevo solo venire a controllare chi fossi. Ricordati che uno come Jay, non starà mai insieme ad una come te».

Prima di andarsene lanciò l’ultima freccia. «Ricordati che mentre tu stai parlando con me, lui ne avrà già scelte tre con cui passare la notte».

Lasciai che Kate rientrasse senza farmi vedere, volevo guardare cosa Kyla avrebbe fatto dopo quella discussione.

Si appoggiò alla fontana, con quel vestito nero che esprimeva ancora di più le emozioni che stava provando. Un baglio di luce le illuminava il viso, che vedevo tranquillo, senza nessuna espressione di dolore.

I suoi occhi si rivolsero al cielo e un grande sorriso riempì le sue guance scarne.

Sospirò, stirò il vestito ai lati per rimetterlo in ordine e poi decise di rientrare.

Mi avvicinai a lei solo dopo averla vista cercarmi in salone tra la folla. Le posai una mano sui fianchi e il suo cuore esplose. Potevo sentirlo anche con tutte quelle voci.

«Dove sei andata?». Volevo sapere se mi avrebbe detto la verità, se avrebbe sputato fuori che quella donna l’aveva messa in un angolo solo per ricordarle che lei non era niente in confronto.

«Ho preso un po' d’aria in giardino». Mi stava guardando, stava mentendo. Stava tremando.

Mentire, tremare.

Imbarazzo, fuoco sul viso.

Rabbia, bruciore alle mani.

«Jay». Una voce maschile mi fece riprendere dai miei pensieri.

«Sei davvero splendida Kyla, come stai?». Austin la stava guardando come l’aveva guardata il primo giorno. Pensai per un secondo che fosse lui l’uomo perfetto per lei.

«Sto bene, grazie». Gli rivolse un sorriso, si sentiva tranquilla. Aveva smesso di tremare ed io ancora non le avevo tolto le mani dai fianchi.

«Scusami Jay, ho fatto tardi perché c’è stata una rissa al locale». In realtà non avevo pensato a lui neanche per un secondo, ero stato troppo impegnato a seguire i movimenti di Kyla e a dare manforte a mio padre.

«Non preoccuparti, beviamo qualcosa?».

Annuì. Tutti e tre andammo al banco allestito per gli alcolici.

Kyla provò ad assaggiare un bicchierino di amaro, io presi del whisky insieme ad Austin.

Le era piaciuto a tal punto da prenderne un altro.

Cambiò in un istante, non aveva mai bevuto prima di allora.

Uscimmo fuori perché non volevo che la vedessero in quello stato e pensassero male di lei, la serata era andata fin troppo bene fino a quel momento e non avrei rischiato di farle rovinare tutto. Molti dei clienti quella sera avrebbero parlato di Kyla, e di chi fosse e da dove venisse. Le voci sarebbero sicuramente arrivate dove mio padre voleva che arrivassero, e non potevo certo permettere che le voci su di lei parlassero di una ragazza giovane e ubriaca.

«Siete davvero così amici voi due?». Probabilmente avevo sentito la voce così poche volte che se avessi saputo che l’alcool l’avrebbe resa loquace, l’avrei fatta bere per tutto il tempo.

Rise, all’improvviso, quando io ed Austin ci guardammo prima di risponderle.

«Da anni e anni, direi». Austin sembrava divertito da quel comportamento.

«Bene, allora perché non vi sposate voi? Tuo zio ha quel locale, Jayden ha l’azienda più imponente dello Stato». Ci fece l’occhiolino. «Sareste perfetti».

Austin rise ed io volevo solo sotterrarmi.

«Kyla, che ne dici di andare a riposare? Saluterò tutti da parte tua, entriamo dal retro».

Scosse la testa. «Fammi divertire Jay, questa è una bella serata no? Lasciami qui, prometto che non mi farò vedere da nessuno».

Mi aveva appena chiamato Jay, e il mio nomignolo uscito dalla sua bocca prese un altro valore. Non sapevo cosa mi stesse accadendo, ma pensai di dover risolvere la questione prima che nella mia testa balenassero idee strane.

«Dai, andiamo». La presi in spalla e salutai Austin.

Entrai dal retro con l’aiuto di Leyla, che nel frattempo aveva deciso di fumarsi una sigaretta lontana da sguardi indiscreti.

Le tappai la bocca perché stava ridendo a squarciagola e non si stava rendendo conto del casino che stava facendo.

Entrai nella sua stanza e con calma la posai sul letto.

La mia mano però restò impigliata nel suo vestito. L’anello che mi aveva regalato mio padre aveva appena deciso di annodarsi alla cintura dell’abito, sulla schiena.

Così, quando provai ad andarmene, la spinta all’indietro mi fece cadere proprio su di lei.

«Oh, Jayden. Cosa credi di fare?».

Rise ancora.

«Ho il mio anello incastrato nel tuo vestito. Dovresti girarti un po', così lo tolgo».

Non avrei mai potuto farcela senza tirare un po' giù la zip.

E quello che vidi mi lasciò a bocca aperta.

Delle cicatrici si trovavano proprio lì. Nascoste bene, quasi invisibili senza la luce della lampada, ma percettibili al tocco. D’istinto una mano si posò sulla schiena, su uno di quei segni.

Neanche l’alcool avrebbe potuto distoglierla da quel tocco.

Si girò alla velocità della luce costringendomi a fermarmi. «Jayden, no».

Scosse la testa ed io ritirai la mia mano. «Cosa…cosa ti è successo?».

I suoi occhi diventarono neri. Le sue orecchie rosso come il fuoco. «Nulla. Ora vorrei risposare».

Le feci notare che ancora non avevo tolto l’anello dal vestito.

«Te lo porterò domani ok? Lascialo qui».

Non avevo tolto l’anello da quando mio padre me lo aveva regalato. Eppure fui costretto a farlo quella sera.

Prima di andarmene, sulla porta, mi girai a guardarla per l’ultima volta.

«Ti faccio così schifo?».

Se ne stava seduta sul letto come una bambina a cui avevano appena tolto qualcosa. Stava per piangere, effetto dell’alcool. Avevo appena toccato qualcosa che non dovevo toccare e così come aveva fatto il suo cuore poco prima, a quella domanda, fu il mio ad esplodere.

«Buonanotte ragazzina».

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