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Capitolo 4: Hide & Seek

«Diventerò invisibile, signore»

Le parole di Leo riecheggiano nella testa di Dante, ancora poggiato contro il muro.

«Diventerò invisibile, signore»

‘Mi prendi in giro?’ si domanda, scuotendo la testa ‘Tu, invisibile? Ma se spicchi come un papavero rosso in un campo di anemoni!’.

Non appena formula questo pensiero, gli si ferma il fiato in gola.

«Diventerò invisibile, signore»

Di nuovo quelle parole gli rimbombano in testa.

È stato il tono in cui lo ha detto, oppure la parola ‘signore’ a fargli sentire lo stomaco accartocciarsi?

Perché sta così? Perché ha odiato vederlo sorridere con un altro? Perché è stato contento di saperlo ancora single? Perché non ha potuto fare a meno di trascinarlo via… due volte, non una?

«Lo voglio»

dice improvvisamente.

«Lo voglio»

ripete, quasi la prima volta non fosse stato certo di quanto detto.

Non ci sono altre ragioni. Ha vissuto gli ultimi due anni senza toccare e senza farsi toccare da nessuno. Non ha concesso nemmeno alle proprie mani di darsi piacere. Si è imposto una castità assoluta, come punizione.

Ed ora è arrivato questo ragazzo, così fresco, così dolce, così gustoso. Ha risvegliato tutti gli istinti che lui si era premurato di sotterrare sotto chili di dolore e risentimento. Tutto qui. È solo lussuria.

Ha fatto bene a dirgli di sparire dal suo radar. Non gli serve questa distrazione. Non ne uscirebbe fuori nulla di buono, solo altro rimorso.

Si porta le dita vicino alle labbra, sulle quali risiede ancora traccia del sapore caldo dell’altro. Quelle dita ne hanno anche stretto l’erezione.

‘Era così delizioso’ pensa, e un brivido gli risale la schiena ‘Era così pronto ’

Qualcosa si muove sotto la cintola dei pantaloni. Batte piano la testa al muro e sospira. Prova a distrarsi, ma sul corpo è rimasta l’ombra dell’altro, ancora gli pare di sentirlo muovere sotto il suo tocco, nelle orecchie riecheggia il suono flebile dei loro gemiti, la bocca è intrisa dei baci umidi che si sono scambiati.

«Mi arrendo»

sussurra, prima di dirigersi verso il bagno all’angolo della stanza.

Nello stesso momento, Leo raggiunge il piano dove si trova il suo ufficio. Non sa cosa dirà ai nuovi colleghi, o come giustificherà quanto accaduto nemmeno mezz’ora prima. La sua bocca brucia ancora di quel bacio, la sua pelle formicola ancora nei punti in cui è stato toccato da quelle dita esperte e più in basso…

‘Merda!’ esclama mentalmente. Realizza solo ora che ha ancora un’erezione galoppante che si spinge contro il tessuto scuro dei pantaloni. Si blocca e si guarda intorno, per fortuna non c’è nessuno in giro. I suoi occhi scrutano il corridoio, non ha ancora molta familiarità con il posto, ma individua in fretta i bagni. Ci si dirige a passo spedito e si avvicina ad uno dei lavelli. Mette le mani sotto l’acqua fredda e spera questo lo possa aiutare a calmarsi, si guarda allo specchio e quello che vede lo sconvolge: ha le labbra rosse e gonfie, i capelli scomposti, gli occhi lucidi e la camicia è tutta stropicciata. Prova a riordinarsi meglio che può, ma il suo amico, in basso, sembra non avere intenzione di tornarsene a dormire. Lancia un’occhiata al riflesso della porta di uno dei gabinetti alle sue spalle.

‘Non posso masturbarmi sul posto di lavoro ’ pensa. Fa un gran respiro e cerca di concentrarsi, ma il sapore dell’altro gli permea ancora la bocca ed il ricordo di quella presa salda, lo sta facendo impazzire. Si gira verso la porta con aria sconfitta, muove un passo, ma un’altra immagine dell’uomo all’ultimo piano gli esplode davanti. Rivede gli occhi tristi e in lacrime della prima volta che si sono incontrati, rivede le spalle curve e lo sguardo spento di poco prima, ripensa a quelle parole «voglio tu sparisca dal mio radar».

Proprio così. Gli ha detto di non farsi vedere, addirittura gli ha intimato di cambiare strada dovesse incontrarlo. Leo non sa spiegarsi perché gli fanno così male queste parole. Quello che sa, è che darebbe qualsiasi cosa per vedere quell’uomo sorridere, almeno una volta.

Ma contemporaneamente a questo desiderio, realizza anche che lui non sarà mai in grado di farlo ridere, può solo renderlo più triste. Non ha idea del perché, ma ha la certezza di fargli male.

Questa nuova consapevolezza si unisce ai macigni che gli si sono piantati nello stomaco da quando lo ha baciato per la prima volta.

China la testa e constata con un sorriso amaro che non c’è più traccia di eccitazione. Quello che prova adesso, è solo tanta tristezza. Scrolla le spalle, si dà un’ultima sistemata e torna nel suo ufficio.

Viene accolto da una serie di sguardi curiosi e lui non ha preparato nessuna giustificazione, ma non gli importa. La morsa che gli stringe lo stomaco non lascia spazio a nessun altro tipo di sentimento.

La capo-leader gli va incontro, anche lei con occhi ingordi di informazioni, ma stranamente la sola cosa che chiede è

«Tutto bene?»

Leo annuisce e risponde

«A quanto pare le persone importanti non sanno portare le proprie valigette»

Fa un sorriso posticcio e si siede al proprio posto, pronto a lavorare. Lavorare e basta. Nient’altro.

Rik cammina in silenzio accanto al suo amico.

Era pronto a chiacchierare del primo giorno di lavoro, di spettegolare sui nuovi colleghi, di stuzzicarlo, e riempire il tragitto verso casa di risate. Ma appena lo ha visto uscire, ha subito capito che qualcosa non andava. Ha provato a chiedere cosa fosse successo, ma l’amico di una vita aveva semplicemente scrollato le spalle e iniziato a camminare senza dire una parola, con lo sguardo perso nel vuoto.

Dalla notte in cui ha incontrato un tipo con il quale ha condiviso un bacio passionale, il ragazzino dall’andatura dinoccolata, ed il sorriso sempre a fior di labbra, è cambiato.

Rik lo ha osservato bene nell’ultimo mese. Lo ha visto lasciare la fidanzata e lo ha accompagnato a spiegare la situazione ai genitori, lo ha visto mentre si perdeva nei suoi pensieri facendo finta di leggere un libro, ma, più di tutto, lo ha visto trasformarsi in qualcuno di nuovo.

L’aspetto più frustrante di essergli stato amico tutta la vita, è sempre stato dover subire l’apatia con cui si limitava ad esistere. Più di una volta lo aveva beccato ad osservarlo con occhi avidi, ogni volta che magari raccontava di un nuovo amore o di una nuova amicizia, o anche solo di una nuova opportunità lavorativa, ogni volta era come se l’altro sperasse di riuscire a provare qualcosa attraverso le sue esperienze. Nel corso degli anni lo ha spronato ad osare, a cambiare direzione, a fare qualcosa di inaspettato. Gli ha spiegato che vivere per interposta persona, non era vivere. Ma l’amico di infanzia, il bravo ragazzo di campagna, non ha mai messo piede fuori dal tracciato, non ha mai colorato fuori dai bordi, non ha mai guidato un’auto senza avere una meta. Si è sempre limitato ad esistere e fare quello che ci si aspettava da lui. È stato così con gli studi, con le fidanzate, con i lavori. E lui lo ha visto crescere senza fare rumore.

Scherzando, Leo, gli diceva sempre che bastava il casino che faceva lui, per entrambi, e forse era vero, ma qualcosa era cambiato all’improvviso.

La mattina in cui l’amico compiva 30 anni, gli si era seduto di fronte, con occhi nuovi

«Rik. È successa una cosa»

Il ragazzo dalla testa riccioluta era pronto ad ascoltarlo, aspettandosi un aneddoto anonimo, invece il racconto dell’amico quasi lo aveva fatto cadere dalla sedia. Non solo il bravo ragazzo era uscito dal tracciato, ma aveva colorato fuori dai bordi, viaggiato senza meta e osato. Tutto insieme.

Lo aveva ascoltato mentre gli raccontava di come, nel cuore della notte, si era precipitato in uno dei locali gay più popolari della città, e non pago, se ne era anche tornato a casa con l’esperienza di un bacio che, a suo dire, era stato come un giro sulle montagne russe, finito poi in tragedia.

Era rimasto a sentire i dettagli di quel surreale incontro, e lo osservava mentre risorgeva a nuova vita.

«Che hai intenzione di fare, ora? Lo andrai a cercare?»

gli aveva chiesto, eccitato.

Ma gli occhi accesi dell’amico si erano subito adombrati e la sua espressione gioiosa si era trasformata in una maschera confusa e dispiaciuta.

Gli aveva detto che non sarebbe mai tornato in quel posto, senza fornire altre spiegazioni. Tutto quello che voleva, aveva aggiunto, era dare una svolta alla propria esistenza.

E non erano solo parole. Il cambiamento era stato visibile, non solo nell’espressione, ma anche nelle azioni.

Ma in questo momento, la persona accanto a lui, sembra essere tornata ad essere il vecchio Leo, spento e passivo. Rik sta cercando dentro di sé qualcosa da dire, anche solo una parola per riuscire a scalfire la bolla che l’altro si è creato intorno, ma è l’amico ad anticiparlo

«Che faresti se incontrassi la persona giusta, sapendo che tu per lui non lo sei?»

Queste parole restano nell’aria per un po’. Osserva il ragazzo che continua a camminare con lo sguardo basso, non è certo la domanda fosse sul serio rivolta a lui, e non è nemmeno sicuro di avere una risposta.

‘La persona giusta? Sta ancora parlando di quel tizio?’ si chiede ‘No. Non è possibile. È passato un mese, e lui non ne ha fatto più parola. Perché tirarlo fuori proprio ora?’

«Rik?»

si sente chiamare. Due occhi rotondi lo fissano interrogativi.

‘Cazzo. Vuole una risposta’ pensa. Si schiarisce la gola

«Non sono sicuro di aver capito cosa tu voglia dire»

ammette con un sorriso nervoso.

L’altro annuisce, torna a fissarsi i piedi e sospira. Dopo un po’ riformula la domanda

«Quello che voglio sapere è come ti comporteresti tu se, incontrando l’uomo della tua vita, capissi che ogni tua azione lo ferisce e lo rende triste. Cosa faresti se la persona che ti fa provare delle belle emozioni, soffre a causa tua ed arriva a supplicarti di sparire?»

Rik ascolta questa domanda non essendo sicuro da dove derivi. È solo un’ipotesi o davvero il suo amico si trova in una situazione del genere? E quando avrebbe avuto il tempo di cacciarsi in un dramma simile?

L’altro, intuendone i pensieri si affretta ad aggiungere

«È solo una domanda. Non ricamarci troppo intorno. Rispondi e basta»

Lui si rilassa un po’, anche se non può fare a meno di pensare che l’amico gli stia nascondendo qualcosa, comunque ci pensa su, quindi dice

«Mmm… innanzitutto, perché lo faccio soffrire? Non posso semplicemente comportarmi bene?»

Leo stringe le labbra e scuote la testa.

«No. Non dipende da te. La tua sola esistenza lo rende triste… non c’è una ragione. È così e basta»

Rik torna ad insospettirsi, ma non vuole che l’amico si chiuda a riccio

«Beh, è una situazione un po’ del cazzo quella che mi stai prospettando. Comunque… non so. Se la persona di cui parli fosse davvero quella giusta, credo che un modo per risolvere la cosa la troveremmo»

L’altro scuote ancora più forte la testa

«No. No. No. Non c’è soluzione. È semplicemente così: lui è giusto per te, tu non sei giusto per lui»

«Allora credo non ci sia nulla da fare. Ed in virtù del fatto che lui per me è quello giusto, credo farei di tutto per renderlo felice, e se questo significa essere infelice io, così sia»

La testa di Leo scatta così veloce a guardare l’amico, che questo teme gli si stacchi dal collo. Negli occhi, la disperazione

«Quindi è così? Devo semplicemente arrendermi al fatto che non siamo fatti l’uno per l’altro?»

‘Lo sapevo. Questo cretino sta parlando di se stesso’ pensa. L’altro, capendo il proprio passo falso prova a rimediare balbettando parole a caso, quindi lui gli mette una mano sulla spalla, per calmarlo

«Leo, ascoltami attentamente. Quando sarai pronto a dirmi tutto, ti ascolterò. Quindi, fai ordine in quella testa complicata che ti ritrovi e poi vieni da me, con domande più sensate… soprattutto, con domande di cui vuoi una risposta»

L’amico lo guarda confuso, così lui spiega

«Mi hai fatto una domanda la cui unica e possibile risposta è quella che ti ho dato, e sono sicuro che la stessa risposta te la sia dato da solo, ma avevi bisogno di sentirla dire da qualcun altro. O sbaglio?»

Leo non dice nulla, ma è chiaro che Rik abbia ragione.

«Poi mi dirai anche quando e dove hai avuto il tempo di incontrare questa persona giusta, eh?»

Non appena pronuncia queste parole, sente l’altro irrigidirsi, così ride ed aggiunge

«Tranquillo, non insisterò. Aspetterò tu sia pronto a dirmi tutto di tua sponte. Solo, promettimi una cosa»

Leo lo guarda e lui prosegue

«Non aspettare di essere completamente disperato prima di aprirti con me, ok? Non venire da me quando il tuo cuore sarà completamente schiantato. Vieni un po’ prima. Non costringermi a raccogliere i cocci, promesso?»

E così dicendo, allunga un mignolo verso l’amico. Quello lo guarda un po’, finalmente si scioglie in un sorriso e stringe il dito all’amico. Ha ancora il cuore pesante, ma si sente meno solo.

«Dai! Sbrighiamoci ad andare a casa, ho una fame mostruosa! Stasera, cucini tu!»

«Io? E perché?»

«Per farti perdonare di questo ritorno, sotto tono! Mi hai fatto preoccupare, cretino!»

E con uno spirito più sollevato i due continuano verso casa, spintonandosi e ridendo.

Nessuno dei due conscio di chi li sta osservando all’interno di un’auto.

Il piccolo sfogo con Rik è stato utile a Leo per farsi coraggio. Sa che l’amico sarà lì quando e se mai sarà pronto a parlargli, ma in cuor suo sa anche che questo non avverrà mai. Le ragioni dietro a questa certezza sono due: la prima è che mai e poi mai potrà rivelare che l’uomo dei suoi tormenti è il loro capo; l’altra è che adesso sa che non c’è futuro per loro due.

È infatti intenzionato a fare quanto detto quel giorno, prima di scappare da quella stanza: diventare invisibile.

Così, tutto quello che fa da due settimana, oramai, è lavorare senza sosta. Non socializza con i colleghi d’ufficio, non va a pranzo nella mensa e non si unisce agli altri che si danno appuntamenti per un drink, dopo il lavoro.

Non vaga per il palazzo, non vaga intorno al palazzo, non fa nulla che lo possa mettere sul percorso di quell’uomo. Arriva presto e va via tardi. Si carica anche del lavoro degli altri, tutto pur di tenersi impegnato.

Rik ha provato a convincerlo un paio di volte a pranzare insieme, a fare amicizia, ma lui è stato ferreo.

Il ragazzo ha un solo obiettivo e non si metterà nella condizione di abbassare la guardia e trovarsi dove non dovrebbe, e incontrare chi non deve. No. Leo lavora e basta.

È un treno, nessuno riesce a distrarlo o a stargli dietro. In breve si è guadagnato la nomea di stakanovista, attirando l’attenzione della capo-leader che prevedere per lui ottimi upgrade lavorativi.

Quindi gli affida più compiti e lo sobbarca di responsabilità che sarebbero impensabili per una persona che lavora da così poco, per una società così grande. Ma lui non se ne preoccupa, fa quello che gli viene chiesto senza distrazioni di sorta. Più lavora, meno pensa. Meno pensa, più sopravvive.

I giorni passano tutti uguali e quando la sera si sdraia nel letto, ha il cervello così stanco che finisce per addormentarsi senza avere il tempo di pensare a niente, a nessuno.

Nel fine settimana si tiene impegnato andando a correre e portandosi avanti col lavoro per la settimana entrante. E per fortuna quello non manca mai. Avvicinandosi la data in cui la società dovrà lanciare il progetto sul mercato, i vari uffici sono in costante fermento. Tutti stanno dando il 100%, ma lui di più.

Ad osservarlo dall’esterno, potrebbe sembrare solo una persona ambiziosa, pronta a scalare le vette della società, un giovane appassionato ed entusiasta. Ma solo chi lo conosce bene si accorgerebbe che è come un criceto che corre senza sosta su una ruota che non lo porterà da nessuna parte. Per fortuna, però, la sola persona in grado di smascherare la sua farsa, lavora in un altro ufficio, due piani sopra il suo, ed anche se abitano nello stesso appartamento, la mole di lavoro impedisce ad entrambi di avere le energie necessarie per affrontare qualsivoglia discorso, quando la sera si trovano seduti a tavola, con le teste chine sui propri piatti. Leo è una trottola, e se solo rallentasse un po’, si accorgerebbe che ci sono due occhi tristi che di tanto in tanto trovano il modo di spiarlo, di rubarne piccoli scorci mentre con la sua espressione concentrata, controlla e ricontrolla il proprio lavoro. Quegli occhi lo seguono quasi ogni sera, quando è uno degli ultimi a lasciare il palazzo di vetro. Lo guardano camminare con la testa bassa e l’andatura dinoccolata. Lo vedono saltare i pasti e riempirsi lo stomaco solo di caffè o tisane.

Ma lui non rallenta, mai. Non rallenta nemmeno il giorno in cui la capo-leader cerca qualcuno che porti nel più breve tempo possibile i conteggi della società al reparto marketing, per il comunicato stampa.

I conteggi, del resto, li ha fatti lui, è quindi una sua responsabilità portarli a destinazione. Ed anche se li ha controllati e ricontrollati milioni di volte, non può fare a meno di seppellire la faccia nel faldone e leggere ancora una volta i numeri. Lo fa mentre cammina automaticamente verso l’ascensore, legge e rilegge in maniera ossessiva, e quando sente il tintinnio delle porte dell’ascensore che si aprono, entra senza sollevare la testa. Si concede un microsecondo per individuare il numero 6 sul led e schiacciarlo frettolosamente, subito torna a far scorrere il dito sul foglio. Muove le labbra leggendo in silenzio i report, gira i fogli e nemmeno si accorge che oramai va a memoria. Qualcuno alle sue spalle si schiarisce la gola, si rende conto di non essere solo e per cortesia fa un cenno con la testa alla presenza che sta in piedi alle sue spalle, mormorando un saluto a mezza bocca, gli occhi, però, restano incollati ai fogli.

Ma l’uomo alle sue spalle ripete il suono gutturale, più forte.

È solo in questo momento che il naso del ragazzo coglie un profumo che subito gli causa un senso di vuoto allo stomaco. Ha la pelle d’oca.

‘Non può essere’ pensa. Ogni muscolo nel suo corpo si irrigidisce, la bocca gli si secca ed il cuore accelera i battiti. La presenza alle sue spalle muove un passo in avanti, poi un altro, fino a quasi toccare il corpo pietrificato del giovane. Il calore del respiro di quello dietro, sfiora l’orecchio arrossato di Leo

«Non ti avevo detto di non finire più sotto i miei occhi?»

La spina dorsale del giovane viene attraversata da una scossa elettrica, il cuore gli si spinge così forte contro il petto che teme salteranno via i bottoni della camicia. Sente una goccia di sudore scivolargli dalla tempia, accarezzargli la guancia e sparire sotto il colletto della camicia.

Deglutisce a vuoto, le dita si stringono sul faldone, si rende conto solo ora di essere nell’ascensore dirigenziale, solleva lo sguardo sul led e vede che manca solo un piano alla sua destinazione

«Mi… mi dispiace. Io, non mi sono reso conto, signore»

Una mano dalla presa marmorea gli cinge il braccio e lo costringe a girarsi. Quando si trova il volto dell’altro a pochi centimetri dal proprio, si sente morire. Un sentimento di assoluta gioia si scontra con un senso di dolore profondo. Vorrebbe sorridere e piangere contemporaneamente, ma riesce solo a stare fermo, respirando il profumo dell’altro, assorbendone il calore, guardando nel profondo di quegli occhi che sono diventati il suo dolce tormento.

Se fosse in grado di leggerli, saprebbe che, oltre alla solita tristezza, ciò che dardeggia in quei pozzi neri, è il desiderio di punirlo per averlo chiamato di nuovo ‘signore’, la voglia di marchiarlo affinché tutti sappiano a chi appartiene, ma più di tutto, leggerebbero il profondo senso di mancanza che hanno provato in tutti questi giorni in cui gli è stato lontano, pur avendolo a portata di mano.

Ma Leo sa leggere solo i numeri, quegli occhi, ora, sono un enigma. Prova ad indietreggiare, ma le gambe non collaborano.

«Ora scendo… mi perdoni di nuovo»

dice con voce flebile. La stretta intorno al suo braccio si fa più salda, l’uomo più alto scuote la testa e fuori dal campo visivo del giovane muove un braccio, inserendo una chiavetta nella fessura del led

«Troppo tardi, agnellino»

La trottola che ha continuato a girare in maniera ossessiva per più di due settimane, ferma la sua corsa.

Tutto quello che resta è il senso di vertigine.

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