Capitolo 5: Passione dolorosa.
Dante non ha mai avuto vizi. Nonostante la sua non sia stata proprio una vita convenzionale, è sempre stato orgoglioso di non avere debolezze che potessero condizionarne l'esistenza.
Ha provato a fumare, ma non gli è piaciuto il sapore che resta in bocca.
Beve, quello sì, ma se deve farne a meno, non è un problema. Comunque l'ubriachezza non lo aiuta a stare meglio o dimenticare. Lo anestetizza per un po', attutendo il costante dolore che prova, quindi l'alcool non è qualcosa che vede come necessario o indispensabile.
Alla droga non ci si è mai nemmeno avvicinato, ha visto cosa può fare anche al più forte degli uomini, e quindi l'ha sempre evitata.
Quello che sta sperimentando ora, però, è quanto di più simile ad una dipendenza.
Il giorno in cui si è arreso, sfogando la propria eccitazione a causa del ragazzo che gli ha sconvolto la vita, si è sentito come gli alcolizzati o i drogati, che tornano nella spirale delle proprie dipendenze, solo per aver ceduto un solo istante, solo per un breve assaggio di ciò che li ha resi prigionieri.
Il suo corpo si è svegliato dal torpore in cui era caduto, la sua pelle ha preso a formicolare, il suo olfatto è diventato sensibile agli odori e la sua bocca non fa che inumidirsi ogni volta che il ricordo di un certo agnellino si affaccia.
Ha provato a combattere tutte quelle sensazioni interessandosi attivamente al nuovo lavoro, ma non c'è stato niente da fare. Ha anche provato ad isolarsi nel suo ufficio, nella torre in alto del castello, ma è stato inutile. La sola consapevolezze che nelle viscere dell'edificio gironzolava il ragazzo, era sufficiente a fargli venire delle fitte al basso ventre.
Poco importava che stesse discutendo di affari con i dirigenti, controllando i report con la signorina Park o presenziando alla consueta cena del sabato insieme a suo padre, quando quella sensazione iniziava a fluirgli nel corpo, sostituendosi al sangue nelle vene, tutto ciò che poteva fare, era correre in bagno e sfogarsi.
Anche il suo incubo è diventato meno frequente, lasciandogli il tempo per sognare scene assai più calde. Tutto frutto della sua immaginazione, ovviamente, perché lui è sicuro di non aver mai visto il giovane nudo.
Ne ha stretto l'erezione attraverso i vestiti, ma di certo non sa che aspetto abbia l'oggetto dei suoi lussuriosi desideri. Anche le sue visite a Sun sono state poche e rapide. Stare in un posto pieno di gente dedita alla cupidigia, non aiutava la sua causa. Quindi, tutto quello che ha fatto nelle ultime settimane, è stato lavorare, masturbarsi, spiare la causa di tutti i suoi turbamenti, masturbarsi, cenare con suo padre, masturbarsi, allenarsi, masturbarsi.
E non è mai abbastanza. Ogni volta che il suo desiderio fluisce nella carta o, quando è troppo urgente, direttamente sulle mani, gli lascia sempre un senso di incompiuto.
Prova a redimersi pensando alla ragione per la quale non può cedere. Pensa al suo unico amore, alla fine tragica che gli è stata riservata, pensa al proprio cuore che oramai è solo polvere, pensa a tutto ciò che poteva essere e che non sarà mai. Funziona fintanto che resta nella sua casa vuota, con una foto seppellita in un cassetto. Ma appena abbandona le quattro mura, ogni suo sforzo viene soppresso dal desiderio.
Ogni giorno spera che l'altro faccia un passo falso, magari in maniera inconscia, e gli si presenti sotto le grinfie, ma quel ragazzo è più accorto di ciò che il suo aspetto spensierato lascia trapelare.
L'uomo a volte perde traccia del tempo, facendosi risucchiare da una lotta intestina, in cui il Dante impigliato nella trama dei ricordi, incollato ad un passato che ne divora il presente e ne dissolve il futuro, va in contrasto con il Dante in overdose da eccitamento. I due si urlano contro le rispettive ragioni, e mentre uno elenca tutti i motivi per i quali deve attenersi al progetto di una vita in solitaria, in attesa che giunga la fine, l'altro cerca di persuaderlo, dicendogli che magari è solo fame, e che una volta saziatosi, l'appetito passerà completamente.
È uno scontro continuo in cui non si prospetta un vincitore.
È così stanco che inizia a temere farà qualche sciocchezza, come presentarsi nell'ufficio contabilità e di nuovo trascinarlo via. Oppure potrebbe caricarlo in macchina durante uno dei suoi inseguimenti segreti. Magari, invece, soccomberà alla pressione del desiderio, prendendolo di fronte a tutti, all'ingresso dell'edificio.
A questi e a tanti altri scenari stava pensando mentre entrava nell'ascensore dirigenziale. È per questo che non aveva estratto la chiavetta, schiacciando, invece, il numero 4 sul led elettronico.
'Gli do solo un'occhiata, per rinfrescarmi la memoria. Poi mi vado a chiudere in bagno, nel mio ufficio ' si era detto, leccandosi le labbra.
Quando le porte si erano aperte, aveva sentito l'aria sparire dai propri polmoni. Di fronte a lui, l'agnellino. La faccia tanto bramata, sepolta in un faldone, con l'espressione assorta e lo sguardo febbrile a scorrere qualunque cosa stesse controllando.
Si era sentito euforico e spacciato al contempo. Era rimasto immobile mentre la preda avanzava, distratta, nella trappola. Non aveva fatto nessun rumore, limitandosi ad osservarlo schiacciare il numero del piano a cui era diretto, sapeva quindi che aveva poco tempo per decidere se lasciarlo andare, o finalmente divorarlo.
Il calore che ha iniziato ad irradiarsi nella zona inguinale, però, aveva già deciso per lui.
E così che il lupo aveva iniziato a giocare con la sua cena. E quando l'altro, realizzando il pericolo in cui si era cacciato, aveva provato a sfuggirgli, non aveva potuto fare a meno di afferrarlo e intrappolarlo.
«Troppo tardi, agnellino»
gli ha detto, deglutendo e pregustando il sapore di quelle labbra carnose e tremolanti.
Gira la chiavetta nella fessura e si assicura un viaggio senza interruzioni fino al 10° piano.
Si avvicina al volto del ragazzo che lo guarda con occhi che brillano come tizzoni ardenti.
'Mi stai uccidendo' pensa, prima di passarsi la lingua sulle labbra socchiuse.
L'altro deglutisce. Si avvicina di più, le loro bocche si riconosco e si incastrano. Il calore generato dal contatto si irradia intorno a tutta la bocca, va a solleticare le orecchie e fa formicolare le gole dei due che chiudono gli occhi, lasciano che le lingue si raggiungano.
Dante libera il braccio del ragazzo e porta entrambe le mani sui suoi fianchi. Se lo spinge addosso, e sente il cartone duro del faldone schiacciarsi contro il petto.
«Liberatene»
gli ordina, staccandosi brevemente dal bacio passionale.
Un tonfo gli fa capire che l'altro ha obbedito, finalmente niente li separa. Apre di più la bocca e lo assaggia, riprende confidenza con quel sapore dolce e morbido. Le mani scendono leggermente sulle natiche e si stringono, inducendo il giovane a emettere un gemito che innesca una reazione impetuosa in Dante, il quale lo spinge contro le porte chiuse dell'ascensore. Gli morde le labbra, gli bacia la guancia, lecca il lobo dell'orecchio, porta le labbra sul collo, mordicchia delicatamente la pelle morbida che sa di dopobarba. Solleva il viso e si nutre del viso stravolto del ragazzo. Se potesse, lo inghiottirebbe in sol boccone. È così invitante.
Le dita corrono leste a sbottonare la camicia della preda, che sembra perdere l'equilibrio, e gli si aggrappa alle spalle. Man mano che la camicia scopre porzioni di pelle liscia, le labbra dell'uomo vanno in avanscoperta, baciando e leccando, prima le clavicole, poi i pettorali del giovane, ed infine...
«Ah...» sospira «eccoli»
Due capezzoli rosa, già turgidi, sbocciano come rose rosse sulla pelle chiara. Sente lo stomaco gorgogliare, la bocca cala a baciare, leccare, mordicchiare i bottoncini duri.
Le mani di Leo, intanto, risalgono il collo dell'uomo che gli sta facendo perdere la ragione, incontrano l'attaccatura dei capelli, le dita si infilano tra le ciocche scure e lisce, e quando i denti affilati dell'altro si stringono sulla carne, emette un suono soffocato, inarca la schiena e solleva la testa verso l'alto.
Sente le ginocchia liquefarsi mentre il suo sesso inizia a crescere. Si morde le labbra e sente il cuore salirgli in gola. Pensa che potrebbe morire da un momento all'altro. La bocca di Dante, intanto, scende verso l'ombelico, una mano inizia a slacciargli la cintura e l'altra resta sul petto, a strizzare un capezzolo.
Le porte dell'ascensore si aprono, i due si riversano nell'ufficio vuoto. Un piede calcia il faldone che sparge fogli sul pavimento, i due uomini, ancora avvinghiati, calpestano tutto e procedono a passi incerti verso il fondo della stanza. Una colonna frena la corsa cieca. Dante fa girare Leo e contemporaneamente si libera della camicia del ragazzo, buttandola a terra. Indietreggia di poco ed osserva la schiena sudata ed il fisico asciutto del giovane, che si tiene in piedi abbracciato alla colonna, ansimante. Gli si avvicina nuovamente.
«Apri la bocca»
Parla ancora in tono perentorio, l'altro esegue. Un lungo dito scivola nella bocca calda e accogliente del ragazzo.
«Leccalo»
Leo obbedisce, completamente ebbro di eccitazione.
L'uomo alle sue spalle estrae il dito umido e lo fa scorrere lungo la colonna vertebrale, lentamente, anello per anello. Raggiunge l'elastico dei boxer e delicatamente lo solleva, scende più giù, insinuandosi tra le natiche
«Non c'è mai stato nessuno qui, vero?»
gli chiede, la voce arrochita dal desiderio. L'altro deglutisce a vuoto e scuote la testa.
L'agnellino sta provando così tante emozioni, tutte insieme, che sente la pelle strapparsi.
I suoi pensieri si rincorrono senza dargli il tempo di realizzare cosa stia succedendo, o cosa potrebbe succedere. La domanda che gli è stata rivolta apre la strada a diversi scenari, e di tutti, lui, è inesperto. Vorrebbe trovare il coraggio di parlare, ma la gola trabocca di gemiti di piacere, che non c'è spazio per altro. L'uomo che indugia col dito in quella sua parte inesplorata, gli sta ora mordendo la spalla. Quel piccolo dolore rilascia scariche elettriche in tutto il corpo, gli manca l'aria. Istintivamente cerca la mano libera dell'altro, la afferra e se la porta sull'erezione che sfugge dai boxer, per metà calati.
Il gesto sorprende ed eccita Dante. Un lamento simile ad un ruggito si libera dalla sua gola quando le dita si stringono intorno al pene duro del ragazzo.
'Lo devo vedere' pensa. Fa voltare il giovane verso di sé ed abbassa gli occhi sulla propria mano, che ha iniziato a muoversi su e giù sulla carne turgida. Si lecca di nuovo le labbra e sente lo stomaco urlare, la sua fame sta per essere soddisfatta. Cade sulle ginocchia e pregusta il sapore del suo nuovo amico.
Il giovane osserva ipnotizzato la scena. Il suo cervello va in blackout. Il fiato caldo dell'uomo si poggia sulla punta del suo pene, inizia a tremare. Le labbra dell'altro si fanno sempre più vicine fino a che la lingua calda lo colpisce, come una frustata. Un brivido di piacere lo scuote e deve appellarsi ad ogni fibra del suo essere per non venire subito. Quando vede la carne gonfia del proprio sesso sparire nella bocca dell'altro, però, la sua coscienza inizia a perdersi nell'abisso di lussuria che lo attanaglia. Chiude le palpebre e respira a pieni polmoni. Non sa quante volte l'altro abbia fatto scorrere le labbra su e giù, sa solo che non ce la fa più, prova ad aprire la bocca per avvertirlo, ma è troppo tardi. Un fiotto caldo fluisce in quella caverna di piacere.
Spalanca gli occhi terrorizzato, pronto a scusarsi. Ma l'altro continua a succhiare, leccare ed ingoiare tutto, con un'espressione di estrema soddisfazione.
Quando finisce si solleva lentamente, porta gli occhi all'altezza di quelli di Leo e gli posa un bacio delicato sulle labbra.
«Delizioso»
dice in un sussurro.
Quindi lascia cadere la fronte sulla spalla nuda del giovane. Ne inspira l'odore muschiato e cerca di ritrovare stabilità.
Le mani tremanti del ragazzo gli scorrono delicate lungo la schiena, poi scivolano sulle braccia e scendono a raggiungere le mani, lasciate penzolanti lungo il corpo.
«E tu? Stai bene così?»
chiede timidamente, Leo.
La domanda si pianta nel petto di Dante che inizia a risvegliarsi dalla trance sessuale in cui è scivolato. Il mondo riprende a far rumore e i pensieri ricominciano a scorrere lenti, trascinandosi dietro ricordi taglienti.
Come ha potuto lasciar accadere tutto ciò? Come ha potuto abbandonare il comando del proprio corpo?
Dita affusolate si avvicinano al cavallo dei suoi pantaloni, ancora perfettamente abbottonati, ed in quel momento si sente reinserito con forza dentro alla propria pelle. È di nuovo in possesso delle proprie facoltà mentali. Afferra velocemente la mano di Leo, solleva la testa e si sente bruciare di rabbia.
Il viso sorridente di un ragazzo con la pelle bruna e le ciglia lunghe gli si compone nella retina. Il sorriso si macchia di sangue e l'immagine si riempie di crepe, fino ad esplodere in mille frammenti.
«Mi dispiace...»
sussurra, mentre gli occhi gli si riempiono di lacrime.
La rabbia aumenta e gli fa ribollire il sangue nelle vene. La mano libera si scaglia contro il cemento della colonna, a pochi centimetri dal volto del giovane che lo osserva con sgomento.
«Mi dispiace...»
ripete, ed inizia a piangere, a singhiozzare.
Leo resta immobile, pietrificato. Tutta la gioia provata fino a pochi secondi prima, si trasforma in sabbia arida, che inizia a graffiargli l'anima.
Di cosa si era illuso, esattamente? Non aveva già stabilito che loro due, insieme, non potevano stare?
Perché ha ceduto? Perché non è scappato via? Perché non si è opposto?
Davvero si aspettava un epilogo differente rispetto alle volte precedenti? Perché è stato così stupido?
La visione dell'altro in lacrime inizia a lacerargli il cuore, quindi sposta lo sguardo che ricade sul dedalo di fogli sparsi sul pavimento. Un lampo di coscienza si accende nella sua mente e gli ricorda cosa lo ha spinto a lavorare come un matto per tutto quel tempo, cosa lo ha portato a prendere il faldone e camminare distrattamente in quell'ascensore. Il suo universo stravolto si ricompone e si rimette in ordine.
I report. L'ufficio marketing. La sala stampa.
Lui non dovrebbe essere lì per tante ragioni, e le lacrime dell'altro non sono nemmeno tra le prime. Si libera dalla presa di Dante, recupera la camicia dal pavimento e si riveste in fretta, successivamente si china a raccogliere i fogli e li rimette alla rinfusa nel faldone, si fionda nell'ascensore e si costringe a non guardarsi indietro. Non gli serve un'altra pugnalata nel petto.
L'ansia per l'errore commesso si mescola a quella di aver appena causato un grande problema alla società. Mentre i numeri sul led luminoso decrescono, il cuore inizia a dare colpi lenti e forti, che gli rimbombano fin dentro alla testa. Quando arriva al piano e le porte dell'ascensore si aprono, intuisce subito l'agitazione generale e quando i primi occhi iniziano a rilevare la sua presenza, sa che è fottuto.
Entra di corsa nell'ufficio marketing, dove circa 40 persone si muovono freneticamente avanti e indietro, come formiche impazzite, tutto accompagnato da una colonna sonora strillata dai telefoni, che suonano senza sosta.
Un uomo tarchiato, con una pancia prominente e le gambe sottili, si gratta la grossa pelata, suda copiosamente. È rosso in viso, come un gamberone. Parla in maniera animata con un volto familiare, quello del suo amico Rik, che continua a fare inchini di scuse.
Quando la presenza di Leo viene registrata da tutti i presenti, tutto il caos pare fermarsi, ed il mondo viene inghiottito in una bolla di silenzio.
Gli occhi lattiginosi dell'uomo pelato, trafiggono il giovane, che stringe istintivamente a sé il faldone, quasi fosse uno scudo protettivo.
«Ma dove diavolo eri finito?!?»
tuona il pelato, con voce nasale.
Il ragazzo prova a balbettare una scusa, ma si rende conto che la sua mente è vuota. Tutto ciò che ha in testa, sono le lacrime del responsabile di questo pasticcio.
«Allora?!?» urla impaziente il pelato «Hai idea di cosa abbiamo rischiato? Non fosse stato per il tuo amico, qui» e cala la mano grassoccia sulla spalla di Rik «Saremmo fottuti!»
Quello che riesce a capire Leo è che, non trovandolo da nessuna parte - ed avendo lui la sola copia dei report ufficiali per la sala stampa - l'unica soluzione è arrivata da Rik. Il ragazzo, infatti, lo ha sentito ripetere mille volte quei numeri e, con una comparazione dei vecchi report, hanno rischiato e fatto uscire un comunicato pur non avendo sotto mano i documenti ufficiali. Il suo amico si è preso la responsabilità di azzardare, salvando così la società da un possibile intoppo che avrebbe sicuramente scatenato un effetto domino destinato al disastro. Il giovane vorrebbe dire qualcosa, ma non ci riesce. Sente solo l'estremo bisogno di piangere. E non è a causa degli occhi che lo stanno giudicando, o il pensiero che il suo amico ha messo la propria testa nella ghigliottina al posto suo, e nemmeno il fatto che sicuramente verrà trasformato in un paria non appena la voce si spargerà. No. Ciò che sta distruggendo Leo, sono le lacrime dell'uomo che ha lasciato all'ultimo piano. Ancora gli risuona nelle orecchie il rumore sordo delle nocche contro la colonna.
'Sicuramente starà sanguinando' non può fare a meno di pensare.
«È tutta colpa mia»
dice a mezza bocca.
«Certo che è colpa tua!!!» esplode l'uomo pelato «SOLO colpa tua!»
Quell'uomo non lo sa quanto queste parole stiano facendo a pezzi l'anima del giovane.
Parlano di colpe diverse, certo, ma è comunque lui la causa di entrambe. China la testa e sente gli occhi iniziare a pungere.
«Capo leader Tony» interviene Rik «Mi lasci parlare con lui... lo conosco, sicuramente c'è una spiegazione! La prego!»
Leo non è più in grado di capire cosa stia succedendo, ma sente il braccio dell'amico stringergli la spalla per trascinarlo fuori dall'ufficio. Lo segue inerme.
Camminano per un tempo indefinito, lui guarda i suoi piedi muoversi, e l'immagine diventa sempre più sfocata. Quando una sferzata di aria fresca gli accarezza il viso, realizza di essere seduto all'esterno.
Solleva la testa e le lacrime scendono copiose sulle guance. Si guarda intorno e si rende conto di essere su un terrazzo con giardini pensili e panchine di legno. È confuso.
«Se invece di lavorare come un mulo, fossi venuto con me, avresti scoperto di quest'area relax»
gli spiega l'amico, che gli siede a fianco.
Lui annuisce e basta. Continua a guardarsi intorno e a piangere in silenzio. Restano così per un po', fino a che Rik si alza dicendo
«Spero il tuo cuore non sia già in pezzi. Comunque, resta qui, riprenditi e poi torna nel tuo ufficio. Dirò che hai lavorato così tanto che mentre venivi su da noi, hai avuto un malore e che sei svenuto in bagno. Per fortuna hai l'aspetto di chi è rotolato giù per una rampa di scale, quindi non sarà difficile credermi. Per favore, usa questa scusa anche nel tuo dipartimento» si abbassa e porta i propri occhi all'altezza di quelli umidi dell'altro «Se hai capito, ti prego, fai un cenno»
«Rik... io...»
Deglutisce, ma non trova altre parole da dire. Sa che deve una spiegazione all'amico, ma non può. Non può davvero. La testa riccioluta dell'altro si scuote e le labbra si tendono in un sorriso rassicurante
«Non vado da nessuna parte. Quando sarai pronto, mi dirai. E poi sono troppo agitati perché non è sicuro questo progetto avrà successo. Ingigantiscono tutto. Sì, hai fatto una cazzata, ma io ho fornito una soluzione, non la tirassero troppo per le lunghe!» si rimette in posizione eretta e gli mostra i due pollici rivolti verso l'alto «ci penso io a coprirti le spalle!»
Finalmente il nodo alla gola del giovane seduto, si scioglie, vorrebbe alzarsi e abbracciare forte l'amico, riempirlo di parole di gratitudine e promettergli qualsiasi cosa. Ma riesce solo a fare un piccolo sorriso.
Per Rik è sufficiente. Si gira e va via, lasciandolo solo.
Leo solleva lo sguardo al cielo velato di nuvole ed espira. Le lacrime continuano a sgorgare, il dolore che gli preme nel petto si fa più acuto. Si prende il suo tempo per soffrire quanto più possibile, non ha intenzione di rientrare trascinandosi dietro questo malessere.
Ha sbagliato tutto sin dall'inizio. Ora lo capisce. Ora sa cosa deve fare, non commetterà di nuovo gli stessi errori.
Trrr. Trrr. Trrr.
Un telefono vibra sul vetro di un grande tavolo. Una mano nodosa lo prende e risponde
«Signorina Park. Mi dica tutto»
«Signore, credo sia il caso venga alla succursale. Potrebbe non essere nulla, ma dovrebbe accertarsene di persona»
L'anziano all'altro capo del telefono ascolta le parole della donna e sospira.
«Mi dica almeno se sono buone notizie o cattive»
C'è un velo di supplica nel suo tono tremante.
«Signore, non lo so davvero. Venga e constati di persona»
L'uomo china la testa e si massaggia le tempie con il pollice ed il medio della mano libera.
«Va bene» dice in modo risoluto «Prepari il terreno e crei una scusa plausibile per giustificare la mia presenza. Sa quanto Dante diventi suscettibile alla mia presenza»
La donna sorride sommessamente
«Non c'è bisogno di inventare nessuna scusa. Oggi c'è stato un piccolo incidente, è suo figlio ne è il principale responsabile... ma, non voglio scendere nei dettagli per telefono»
L'anziano non può fare a meno di sentirsi allarmato
«Signorina Park, ci vediamo al solito posto tra un'ora»
Chiude la chiamata senza salutare o attendere risposta. Sa che l'altra si farà trovare, puntuale, come sempre.
«Che hai combinato stavolta, Dante?»
La domanda aleggia nella grande stanza buia. Il cuore dell'uomo ha una nuova fitta di dolore.
Se solo riuscisse a trovare la chiave giusta per riaprire le porte che il figlio ha posto tra di loro, forse potrebbe spiegare le sue ragioni ed espiare i propri peccati.
