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Capitolo 3: Ancora tu.

È arrivato il giorno del trasferimento alla succursale.

Mentre Dante si annoda la cravatta blu, non può far a meno di pensare a quel dannato ragazzo.

Non può aver immaginato tutto. Non può essere davvero il solo ad essere rimasto colpito da quell’incontro.

Quel ragazzo lo ha seguito, lo ha baciato, si è acceso sotto le sue mani… allora come è possibile che sia semplicemente sparito senza tornare sui suoi passi? Che sia stato l’unico a provare qualcosa?

I suoi occhi si muovono verso il cassetto accanto al letto. Lì dentro c’è una fotografia che non tira fuori da due anni. È una foto che ritrae due fantasmi, due persone che non esistono più. Non ha mai pensato di rimetterla al suo posto, su un mobile, ma non è mai riuscito nemmeno a liberarsene.

«Di cosa mi meraviglio. Nessuno torna mai indietro per me»

Dice queste parole ad alta voce, i suoi occhi tristi diventano ancora più spenti e lui finisce di prepararsi.

Vuole solo andare nel suo nuovo ufficio e seppellirsi nel lavoro. Vuole stancarsi fisicamente e mentalmente, fino a che non sarà nemmeno in grado di pensare.

Esce di casa in largo anticipo e quando arriva nel parcheggio di fronte all’edificio, decide di restare seduto in auto, aspettando sia l’ora giusta per farsi accogliere dal nuovo personale.

La sua mente inizia a ribollire di pensieri e ricordi che rotolano alla rinfusa, senza logica, e lui decide di non opporsi. Si lascia andare contro lo schienale ed osserva distrattamente le persone che si affrettano a raggiungere l’entrata del grande edificio. Donne e uomini di diversa età e stazza, in completi tristi, che si preparano a far parte di qualcosa che non è sicuro avrà successo.

Li guarda stamparsi in faccia sorrisi tirati, salutarsi con cortesia o presentarsi a nuove persone.

Tra poco meno di un’ora li accoglierà con un discorso che suo padre ha fatto scrivere da qualcuno. Dovrebbe sorridere e incoraggiarli, ma sa già che non farà nulla di tutto ciò. Men che meno sorridere.

Sospira e tira fuori dalla cartellina i cartoncini con sopra stampato il discorso, li legge e li rilegge.

No. Non sorriderà di certo. Sospira. Solleva nuovamente lo sguardo verso lo stabile ed il suo petto implode.

Leo è fermo di fronte al grande palazzo di vetro. Indossa un completo scuro, con una camicia bianca, sfrutta il riflesso di una delle grandi vetrate dell’edificio, per sistemarsi la cravatta.

Di tutti i cambiamenti che ha subìto la sua vita nell’ultimo mese, questo lavoro è quello che probabilmente gli mette più ansia. La sola cosa che gli dà tranquillità è il tizio con i capelli ricci, che arriva a passo spedito verso di lui, lo cinge con un braccio e gli sorride.

«Allora! Sei pronto a spaccare culi?»

«Rik, falla finita!»

dice, dopo aver fatto roteare gli occhi.

Da quando gli ha raccontato del bacio con lo sconosciuto, non fa altro che fare battute con un chiaro doppio senso. Il suo amico ride di gusto e lo gira verso di sé

«Ah! 30 anni e ancora non sai annodare una cravatta… ma non è colpa tua, capisco che i lavoretti di mano ancora non ti riescano bene»

Leo lo spinge via, ringhiandogli un ‘fottiti’. Ma non è arrabbiato. Sa che il suo amico sta cercando di farlo rilassare. Dopo aver vissuto un po’ di drammi per via delle ultime decisioni prese, compresa quella di dover comunicare alla propria famiglia che non avrebbero avuto una nuora, non a breve, comunque, l’inizio di un nuovo lavoro, lo ha reso una pila elettrica. Il suo solito spirito gioviale è stato sostituito da uno più suscettibile, quasi sempre nervoso. E chi ha sofferto di più per questo cambiamento è proprio l’amico, nonché coinquilino. Inoltre hanno passato le ultime settimane a formarsi insieme per questa nuova società. Sa, quindi, che non fosse per l’amico, non avrebbe avuto il coraggio di presentarsi stamattina.

Non è mai stato timido e si è sempre adattato ai nuovi ambienti di lavoro, ma sente che qualcosa in lui è cambiato da quella notte.

Adesso ha la certezza di non essere difettoso, che è in grado di provare determinate emozioni, che anche lui può eccitarsi e farsi venire le vertigini allo stomaco.

Quindi, mentre il vecchio Leo si sarebbe fatto andare bene tutto, quello nuovo ha iniziato a desiderare una vita più eccitante, più soddisfacente, più tumultuosa. E se il nuovo lavoro non dovesse alimentare questa bramosia, sarebbe dura per lui, che oramai è diventato dipendente da quella scarica elettrica.

Sono innumerevoli le volte in cui si è immerso nel ricordo di quella notte, tagliandone fuori l’epilogo.

Se solo ripensa alle lacrime del suo sconosciuto, sente delle lame affilate pungergli lo stomaco.

«Dai! Andiamo! Magari incontrerai un nuovo sconosciuto tra i colleghi, e potrai dimenticare quel cane!»

Lo trascina Rik, percependo le sue esitazioni. E mentre cammina chino, con la testa stretta nella morsa dell’amico, non si accorge dell’uomo che lo fissa con uno sguardo glaciale, all’angolo della strada.

Per Dante è stato doloroso restarsene fermo lì, a guardare il ragazzo regalare sorrisi al tizio coi capelli ricci.

‘Quindi è lui la tua nuova preda, agnellino?’ si dice, sentendo la rabbia montare.

«Oh! Ben arrivato, Signore! Prego, mi segua, la sala per l’accoglienza è quasi al completo!»

A parlare è una donna bassa, corpulenta, con un sorriso cordiale. È la signorina Park. Ha quasi 50 anni, ma non si è mai sposata, ha dedicato la sua vita al lavoro, ed è, si può dire, il braccio destro del padre di Dante.

Sarà lei a coadiuvare il lavoro, almeno nella fase iniziale. A lui non dispiace, ha sempre trovato gradevole la signorina Park. Con le mani ancora serrate, la segue, sente il cuore aumentare il ritmo, sa che a breve salirà sul piccolo palco in fondo alla sala ricevimenti. Sa che le luci saranno puntate tutte su di lui. Sa che chiunque lì dentro lo guarderà. Sa che ‘lui’ lo guarderà.

‘Come reagirà?’ si domanda ‘spero scelga un posto in prima fila. Voglio vederlo in faccia. Voglio proprio parlare guardandolo in faccia’. L’idea gli dà uno strano senso di rivalsa. Ma quando sale sul piccolo palco e si posiziona dietro al leggio, si rende conto che, anche se Leo fosse proprio sotto i suoi occhi, non riuscirebbe a vederlo. I fari puntati addosso annullano tutto ciò che riempie la sala. Deve quindi desistere e tenere gli occhi solo sui cartoncini del discorso. È deluso, arrabbiato ed anche agitato. Sa che il ragazzo è lì, ma non sa che faccia stia indossando. Se solo le luci cambiassero angolazione, potrebbe vedere che, al terzo tavolo a destra rispetto al palco sul quale lui sta parlando, c’è un ragazzo il cui volto è diventato di pietra.

Stava portando un bicchiere alla bocca quando è stato annunciato dalla donna bassa e corpulenta, l’ingresso del leader della società. Nel cono di luce si è fatto avanti un uomo alto, i capelli neri, lisci, tirati all’indietro.

Un viso affilato, labbra rosse, occhi scuri e tristi, nascosti dietro degli occhiali con la montatura trasparente.

Indossa un completo doppiopetto, blu scuro. Una camicia rosa chiaro e una cravatta blu annodata con nodo windsor doppio. È di una bellezza disarmante, così perfetto in ogni particolare, che sembra irreale.

Anche se quella notte i suoi capelli erano disordinati e gli coprivano la fronte, anche se quella notte indossava una camicia larga, sganciata sul petto, anche se quella notte non portava gli occhiali, Leo non ha avuto dubbio alcuno su chi fosse l’uomo in piedi sul palco.

Il cuore inizia ad accelerare i battiti e lo stomaco si stringe, si accorge di essere in apnea.

Ha dimenticato come si respira, come si parla, come ci si muove. Lo guarda col cuore che diventa sempre più rumoroso, nella sala è calato il silenzio, tutto ciò che la riempie è il tono basso e monotono dell’uomo sul palco, il ragazzo, però, può sentire solo il Tum. Tum. Tum del proprio cuore impazzito.

Prova a deglutire, ma si è trasformato in cemento. Non può fare nulla, nemmeno ascoltare le parole che escono da quelle labbra, il cui ricordo è ancora così vivido.

‘Chissà se ha un altro sapore, oltre a quello di whiskey’ riesce a chiedersi.

Un applauso fragoroso seguito dalla luce che torna ad accendersi nella sala, lo ridesta da qualsiasi tipo di trance lo avesse portato via. Si gira a guardare il suo amico Rik che si porta una mano alla bocca per sussurrargli

«Santo cielo! Mai visto uomo più bello… ma secondo me è un po’ rigidino. Chissà se posso aiutarlo»

Ed ammicca scioccamente, senza sapere che le sue parole stanno facendo risvegliare il piccolo demone della gelosia, nascosto in Leo, sotto anni di apatia sentimentale.

Una voce squillante annuncia alle persone in sala di seguire i propri capo-leader nei rispettivi uffici.

Lui è alla contabilità, Rik nel reparto marketing. Le loro strade si separano qui, per ora.

Non può fare a meno di pensare sia meglio così. Non avrebbe tollerato di ascoltare per tutto il giorno battute sulla bellezza dell’uomo sul palco. E in questo preciso istante realizza anche che il suo migliore amico, quello che ha sempre saputo tutto di lui, mai e poi mai dovrà scoprire che lo sconosciuto di quella notte è proprio la persona mira di quelle battute.

Si alza sorprendendosi di essere ancora in grado di camminare, ma sente le gambe pesanti.

«Tutto bene, Leo?»

gli chiede l’altro, toccandogli una spalla. Lui annuisce e si incammina.

Nel frattempo, l’uomo sul palco, con la sala ben illuminata, ha individuato subito il suo obiettivo. E di nuovo quell’altro tizio con i capelli ricci, lo sta toccando.

Sente un velo scendergli davanti agli occhi, chiama la signorina Park e le dice di voler fare un giro in ogni reparto. Lei lo guarda confusa, non si aspettava nessun tipo di interesse, soprattutto dopo aver fatto quel discorso in tono monotono e asettico. Era sicura si sarebbe rintanato nel suo ufficio e che non lo avrebbe visto più se non per il rapporto settimanale.

«Allora, signorina Park?»

incalza lui, vedendo lo stato di shock in cui riversa la donna. Lei scuote velocemente la testa e indossa di nuovo il solito sorriso cortese

«Ma certo! Da dove vuole iniziare?»

‘Da qualunque sia il reparto di quel maledetto ragazzino!’ pensa. Ma lo pensa soltanto. Scrolla le spalle

«Decida lei, signorina Park. Quando sarò soddisfatto, glielo farò presente»

La donna, quindi, gli fa cenno di seguirla e lo porta in giro per i vari uffici, presentando i capi-leader e descrivendo gli obiettivi di ogni sezione.

Dante finge di ascoltare, ma i suoi occhi corrono febbrili a scrutare ogni scrivania o cubicolo.

Finalmente arrivano al reparto contabilità. Una donna alta, con i capelli neri raccolti in una coda di cavallo e la bocca prominente, sta facendo un discorso di incoraggiamento ad una cerchia di persone, circa 20, che la guardano attenti, annuendo e sorridendo.

La signorina Park si avvicina e le tocca una spalla

«Ehm, capo-leader Green, scusi il disturbo»

La donna con la coda di cavallo si gira, sorridente. Appena i suoi occhi vedono i due ospiti, si illuminano

«Oh! Signorina Park! Signor Wild! Quale onore! Prego, venite, stavo giusto conoscendo la mia squadra!»

così dicendo, stende un braccio verso le persone dietro di lei.

Ma gli occhi di Dante sono fissi su un solo volto.

Quando Leo ha visto arrivare la donna bassa e corpulenta insieme all’uomo alto e bello, ha creduto di morire.

Si era detto che, benché fosse inevitabile lavorando nello stesso edificio, avrebbe fatto di tutto per non incontrarlo di nuovo. Aveva anche provato a tranquillizzarsi dicendosi che probabilmente quel tizio non lo avrebbe nemmeno ricordato, ma quegli occhi subito fissi su di lui, gli avevano fatto capire che l’altro lo ricordava anche troppo bene.

Quegli occhi neri si sono agganciati ai suoi senza mai spostarsi, anche ora, mentre la sua capo-leader sciorina convenevoli.

Il ragazzo inizia a sentire caldo, non ha uno specchio davanti, ma sa di avere le orecchie in fiamme, mentre l’altro pare quasi esangue, con la pelle bianca ed il volto inespressivo.

La capo-leader chiacchiera con la signorina Park e alcuni dei ragazzi della sua squadra, nessuno sembra fare caso alla strana atmosfera intorno a quei due.

Dante fa un passo in avanti, interrompendo il ciarlare di sottofondo. Cala il silenzio.

«Sì, signor Wild?»

chiede la capo-leader Green, credendo voglia fare qualche domanda. Ma lui stende il braccio con la ventiquattro ore, porgendola a Leo.

«Tu, portami questa»

Il ragazzo deglutisce a vuoto, sente le proprie gambe muoversi ed osserva le proprie mani prendere la valigetta. È come se fosse stato catapultato fuori dal proprio corpo e relegato al ruolo di spettatore.

L’uomo che gli ha dato l’ordine si gira e comincia a camminare. Come arpionato al corpo dell’altro da una forza magnetica, il giovane lo segue. Mentre muove le gambe nell’ombra di quello di fronte, non può fare a meno di ripensare a quella notte, quando lo ha seguito meccanicamente, quasi fosse la cosa più naturale del mondo. Ma l’animo con cui gli sta dietro adesso, è ben diverso.

Pensa a tante cose, tutte confuse. La sola di cui è certo, è che la sua esperienza lavorativa, potrebbe terminare prima ancora di essere iniziata.

Vorrebbe aprire la bocca e dirgli che non farà parola ad anima viva su quella notte, vorrebbe rassicurarlo che non creerà problemi a lui o alla società, vorrebbe anche fingere di non ricordare nulla. Ma la sola cosa che riesce a fare, è seguirlo in silenzio, respirandone l’odore di sandalo che più di una volta ha ricercato, invano, nelle profumerie.

I due entrano nell’ascensore dirigenziale, il tizio più alto estrae una chiavetta dalla tasca della giacca e la inserisce in una fessura sul led, sopra tutti i numeri. Le porte si chiudono, la musica in filodiffusione riempie la cabina che per fortuna non ha specchi. Il cuore di Leo torna a fare rumore, si stringe più forte la valigetta sul petto, sperando di attutire quel rimbombo che gli viene da dentro.

Le spalle larghe dell’uomo di fronte a lui sono immobili, nessuno parla, fino a che l’infinita corsa dell’ascensore termina, aprendo le porte su una stanza ampia con finestre enormi che mostrano la città nella sua interezza. C’è odore di nuovo e tutto sembra lustro.

‘Siamo arrivati in paradiso?’ si chiede Leo per un secondo, prima di ricordarsi che probabilmente è all’inferno che sta andando.

I due uomini escono dalla cabina. Quello più alto arriva fino alla grande scrivania di mogano, quello che stringe la ventiquattro ore tra le braccia, quasi fosse un cuscino, si ferma a metà della stanza.

Resta in silenzio, in attesa della sua sentenza.

Dante finalmente si gira, si poggia col sedere al tavolo della scrivania, e allarga le mani sui bordi.

I loro occhi si agganciano e restano così per un tempo che potrebbe essere brevissimo o infinito. Nessuno dei due lo sa.

«Non sei mai venuto a cercarmi»

dice l’uomo più grande, frantumando quel silenzio imbarazzante.

Il cuore di Leo fa la tanto agognata capriola. Sente il terreno sotto i piedi iniziare a farsi instabile. Deglutisce rumorosamente e annuisce.

«Perché?»

chiede l’altro, nello stesso tono senza calore.

«Se fossi venuto, ti avrei trovato?»

La domanda è fuggita dalla bocca di Leo. Non si è nemmeno reso conto di averla formulata, peggio ancora, non si è nemmeno reso conto di aver parlato in maniera informale.

Se solo non avesse ancora la valigetta stretta addosso, probabilmente si sarebbe colpito le labbra.

Dante lo osserva e scuote la testa in segno di diniego.

Cala di nuovo il silenzio. Dopo qualche interminabile minuto, il ragazzo si schiarisce la gola e trova il coraggio di dire

«Bene. Se è tutto…»

Fa per lasciare la ventiquattro ore ed inizia ad indietreggiare

«Lo decido io, quando puoi andare»

Il tono è fermo, la voce è gelida. Leo non può fare a meno di pietrificarsi sul posto.

Ancora silenzio.

«Hai già trovato qualcuno?»

La domanda coglie il ragazzo alla sprovvista. Lo guarda confuso, incapace di rispondere.

«Allora?»

Il ragazzo scuote solo la testa, ma non sa cosa pensare.

Dante sente la rabbia che lo stava divorando, placarsi un po’. Quel semplice cenno di negazione, ha un effetto balsamico su tutto il dolore che continua a torturarlo.

Ma allora perché non è andato a cercarlo, nemmeno una volta? Deve saperlo, deve chiederglielo.

«Dimmi perché non mi sei venuto a cercare»

La richiesta, questa volta, non coglie impreparato il ragazzo. Sa esattamente la ragione che lo ha tenuto alla larga da quel locale, quindi risponde con semplicità

«Ho avuto l’impressione tu non volessi che ti cercassi»

Un sorriso naturale allarga le labbra del giovane che inizia a rientrare lentamente nel proprio corpo.

Tuck! Qualcosa dentro l’uomo seduto alla scrivania si spacca e riversa qualcosa di liquido, che cade giù, fluisce dalla gola fino allo stomaco, poi continua verso le gambe ed infine risale verso il petto. Ora è il suo turno di deglutire.

Perché si sente così attratto da quel ragazzo? Perché quel sorriso lo sta uccidendo dolcemente?

Scuote la testa e si alza. Muove un passo, poi un altro, un altro ancora… fino a trovarsi a pochi centimetri dall’altro. Solo il calore del loro fiato li separa.

«Chi è quel ragazzo con i capelli ricci? Quello che ti tocca come se gli appartenessi?»

La domanda colpisce Leo come un dardo scagliato proprio al centro della sua testa.

Pensa a Rik e a come lo ha abbracciato e toccato tutta la mattina.

‘Da quanto tempo mi stava guardando?’ pensa, prima di rispondere con leggerezza

«Rik… lui è il mio miglmph»

Non finisce la frase che la sua bocca viene coperta da quella dell’altro. Un calore familiare gli fa formicolare lo stomaco e prima di realizzare esattamente cosa stia succedendo, sente il suono sordo della ventiquattro ore che cade sul pavimento, porta le braccia intorno al collo dell’uomo ed apre la bocca, accogliendone la lingua che aveva chiesto il permesso, strisciando sulle labbra chiuse.

Dante cinge la vita di Leo, e lo avvicina ancora di più, ma sente che non è abbastanza.

Ogni tocco che riceve dalla sua lingua, getta altra benzina sul fuoco che gli si è acceso dentro.

Lo spinge di lato, verso il muro. I loro corpi si stringono sempre di più, le dita corrono veloci sul petto, sul collo, tra i capelli. Il suono di due bocche che si assaporano riecheggia nella grande stanza, accompagnato da gemiti di piacere.

Leo sente le gambe cedere e si aggrappa più forte alle spalle larghe dell’altro e si lascia sfuggire l’ennesimo lamento. È un suono gutturale, profondo, sexy.

Dante è sempre più affamato, ha la bocca piena e le orecchie sature, ma non è abbastanza.

Fa scendere una mano verso il basso ventre del giovane, vuole toccare quel rigonfiamento che sente sfregarsi sulla gamba, appena lo afferra l’altro si lascia sfuggire un ulteriore gemito ed è in quel momento che si sente pronto a stappargli via i vestiti per farselo lì, contro quel muro.

Ma dal retro della mente risale un volto diverso rispetto a quello che sta baciando. Il volto viene seguito dal ricordo del suono di una risata, e prima che possa venire a galla qualcosa di peggio, Dante si stacca.

Separarsi da quelle labbra fa male quanto uno strappo, e vedere la faccia arrossata, le labbra gonfie e gli occhi languidi dell’altro, è peggio di un pugno allo stomaco.

Stringe ancora tra le mani la sua erezione, e mentre trova il coraggio di lasciar andare anche quella, le dita dell’altro diminuiscono la pressione sulle spalle. Si rende conto ora che probabilmente gli resteranno i segni.

Lentamente porta le mani tremanti sul muro, ai lati del ragazzo che ora pare ritrovare lucidità ed equilibrio.

I loro respiri affannati stanno tornando normali. I loro cuori… beh, quella è un’altra storia.

Dante aggancia lo sguardo di Leo

«Tu» ansima «assicurati di non trovarti mai più sotto ai miei occhi. Se mi vedi, cambia strada»

Una spada di ghiaccio si conficca nel petto del ragazzo che dice

«Posso licenziarmi oggi stesso»

«Non è quello che voglio. Voglio solo tu sparisca dal mio radar»

Gli occhi dell’uomo, di solito tristi e vuoti, dardeggiano adesso di un sentimento nuovo, che spaventa e al contempo eccita l’altro. Leo annuisce lentamente.

«Diventerò invisibile, signore»

dice in un sussurro. Sguscia fuori da quella posizione, si muove a passi incerti verso l’ascensore, e l’ultima immagine dell’uomo che gli ha appena fatto sbirciare cosa nasconde il paradiso, è quella di lui, ancora poggiato al muro, lo sguardo fisso nel vuoto. Poi le porte si chiudono ed il ragazzo schiaccia il pulsante per tornare sulla terra, tra i comuni mortali.

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