Capitolo 2: Luce e ombra.
Capitolo 2
Un dito scorreva lento lungo il bordo del bicchiere. L’uomo, seduto nella stanzetta appartata, aveva bevuto solo un sorso del liquido ambrato e subito aveva capito che non sarebbe bastato.
Quando il suo amico era scappato ad occuparsi di qualcosa nel locale, lui era tornato ad adagiarsi sul divanetto, pronto a trascorrere lì l’ennesima notte insonne. Inizialmente aveva optato per un solo bicchiere, perché poi il giorno dopo avrebbe comunque dovuto mostrare la sua faccia al lavoro, e quel fine settimana ci sarebbe stata la consueta cena col padre. Non gli andava di doversi subire l’ennesima ramanzina per non essere stato professionale. Si stava però pentendo. Sapeva che un bicchiere non lo avrebbe aiutato. Nemmeno l’intera bottiglia lo avrebbe aiutato, ma almeno lo avrebbe intorpidito abbastanza da fargli superare più velocemente quella lunga notte. Aveva quindi deciso di alzarsi per chiedere all’amico di portargli la bottiglia.
Le sue lunghe dite avevano appena sfiorato la tendina di perle quando vide Sun fare ritorno, tenendo stretto tra le braccia un ragazzo.
Aveva osservato il giovane, con un singolare senso di curiosità, c’era qualcosa di magnetico nel modo in cui sembrava far parte di un quadro diverso. Era così fuori posto e allo stesso tempo così perfetto. Tutto di lui stonava in quell’ambiente: i vestiti, i capelli, gli occhi, il modo di muoversi. Nonostante ciò, non riuscì a non pensare che fosse tutto ciò che mancava. Nel locale, a quella notte... nella sua vita. Aveva quindi continuato a guardarlo rilassarsi ed aprirsi al suo amico.
Era sempre stata la capacità di Sun, quella di farti dire tutto, e quel ragazzo era diventato un fiume in piena. Lo aveva ascoltato parlare della sua ricerca dell’amore, della ricerca di una scintilla che gli facesse battere il cuore, anche solo per poco.
Ascoltando quelle parole, la sua mano si era stretta sulle perline della tenda.
Il primo istinto era stato quello di andare da lui e chiedergli se volesse fare cambio col suo cuore.
Il giovane si lamentava di non aver mai provato nulla, lui soffriva per l’esatto contrario: sentiva troppo.
E mentre il ragazzo sullo sgabello parlava di una vita col cuore fermo, lui pensava al proprio di cuore, sempre agitato, sempre in tumulto, sempre più in frantumi.
Per un attimo lo aveva invidiato, anche lui avrebbe voluto non provare assolutamente nulla.
Poi successero troppe cose contemporaneamente, ed il cervello esausto dell’uomo nascosto dietro la tenda, smise di funzionare in maniera razionale.
Vide Sun avvicinarsi al ragazzo proponendogli di provare quella scintilla con lui, l’altro aveva accettato e si preparava a baciarlo nel frattempo le gambe dell’uomo si erano mosse da sole. In maniera totalmente autonoma.
E mentre l’immagine dei due si ingrandiva nel suo campo visivo, la musica tornava ad essere alta e l’aria meno pesante, tutto quello che riusciva a sentire era il senso di urgenza di uscire dal locale… e non da solo.
Ora, mentre cammina a passo spedito, trascinandosi dietro il ragazzo, non riesce a pensare lucidamente.
Sa solo che deve portarlo fuori da lì, lontano da Sun, lontano dalla musica, lontano dalle luci, all’aria aperta.
Deve camminare veloce, più in fretta dei pensieri che si rincorrono confusi nella propria mente.
Non lo sa perché lo sta facendo, non lo sa perché la sola idea che quel ragazzo baciasse il suo amico lo ha fatto tremare per un istante, non lo sa perché gli stringe forte il polso mentre lo trascina. Non sa nulla.
Cammina e l’altro lo segue, senza opporre resistenza, senza dire una parola.
Continua a camminare superando occhi spalancati che lo guardano increduli, supera i due grossi uomini all’ingresso, anche loro confusi da ciò che vedono, supera lo stretto vicolo che porta ai parcheggi, supera anche la sua auto e prosegue fino alla fine dello spiazzo, dove si trova l’unico lampione rotto dell’area, che si accende e si spegne a intermittenza, con un ritmo scostante.
Spinge il ragazzo verso la rete di delimitazione facendola tentennare, e gli si avvicina. Il corpo dell’altro è schiacciato sugli anelli metallici, con le braccia un po’ allargate.
La luce va e viene sui loro visi che si fissano per un lungo minuto.
Leo ancora fatica a capire cosa stia succedendo, l’unica cosa che riesce ad essere chiara nella sua mente è il volto dell’uomo che lo ha trascinato fino a questo parcheggio, alle spalle del locale.
Lo ha seguito senza chiedere spiegazioni, senza opporre resistenza. Lo ha seguito contro ogni logica, ma le sue gambe non hanno potuto far altro che sincronizzarsi al suo passo, e quando è stato scagliato contro la rete metallica, il suo cuore, quello fermo da una vita, ha perso un battito.
Quel cuore che a cui sperava di far fare capriole, ha rallentato il suo normale movimento nello stesso istante in cui ha visto in volto l’uomo che ha seguito senza nessuna ragione apparente.
Un viso affilato, bello, duro, due occhi che sono due pozzi neri, tristi, sofferenti.
C’è qualcosa in quell’espressione disperata che urla ad ogni cellula di Leo ‘salvami’.
La luce si accende e si spegne senza una stabile frequenza. A volte li lascia al buio per un secondo, altre per quattro secondi, altre ancora per due. Ed ogni volta Leo sente che la volta successiva, quel bel viso, potrebbe sparire. Non sa cosa lo fa sentire così, ma la sola idea che col tornare della luce, l’altro possa non essere più lì, lo fa impazzire. Per questo, con il ritorno del buio, stacca le dita strette agli anelli della rete metallica e le porta sul collo dell’altro.
Non sa se sia la mossa giusta, vuole solo assicurarsi che l’altro non sparisca all’improvviso.
Il tocco del ragazzo ha uno strano effetto sull’uomo. Lo riporta indietro foschia dei propri pensieri scomposti e lo incolla in quel momento. Lo rende improvvisamente conscio di tutto ciò che lo circonda. L’aria umida della notte, l’odore del cemento, la musica nascosta dentro i muri dei locali, il rumore delle macchine sulla strada, risate lontane di persone troppo allegre, il ticchettio delle falene che sbattono contro le luci di lampioni, il respiro corto di entrambi, il calore delle dita poggiate ai lati del suo collo, un tocco delicato ma saldo. Sente che nemmeno un uragano potrebbe sottrarlo da quella presa.
Leo lo guarda con i suoi occhi rotondi e brillanti e l’uomo, che ha appena fatto ordine su quanto accaduto, si ritrova a dire
«Non te lo ha detto la mamma che i baci non sono caramelle da dare via così?»
‘Anche la sua voce bassa trapela disperazione’ pensa.
Il giovane deglutisce ma non risponde. Se l’altro ha fatto ordine, lui comincia a sentirsi più confuso che mai. Tutta la tranquillità che ha provato fino ad ora, inizia a dissolversi, lasciando spazio ad un senso di agitazione che non è esattamente paura, ma lui non riesce a dargli un nome.
I suoi polpastrelli stanno assorbendo il calore ed i battiti di cuore dell’uomo
Tum. Tum. Tum.
Come una mano che bussa su una porta chiusa.
Tum. Tum. Tum.
Sempre più forte.
Tu-tum. Tu-tum. Tu-tum.
Adesso non è solo il cuore dell’uomo che sente. Per la prima volta in vita sua, Leo diventa cosciente del proprio battito. La sensazione a cui ancora non sa dare un nome, si fa più forte, si attorciglia intorno alle sue viscere e scende giù, verso le gambe che iniziano a tremare.
Scuote un po’ la testa, quasi volesse destarsi da un sogno ad occhi aperti. La luce va via, le sue dita si sollevano lentamente, la luce ritorna, l’altro ha una nuova espressione sul viso, come se fosse spaventato, ed è allora che succede.
L’uomo ha sentito le mani del ragazzo muoversi. Lo stesso dolore che prova ogni notte nel suo incubo, gli piomba addosso, permeando ogni centimetro del suo essere.
‘Non mi puoi lasciare anche tu’ dice una voce in un angolo remoto della propria testa.
Non è del tutto consapevole di questo pensiero, ma il corpo è più reattivo delle sue sinapsi, fa un passo avanti e la sua bocca si incolla a quella del ragazzo.
Per un attimo restano così, poi la luce va via e l’uomo schiude le labbra, l’altro lo imita.
La luce ritorna e i due si danno un’ultima occhiata prima di abbassare le palpebre e lasciarsi andare.
Le loro lingue iniziano ad invadere le rispettive cavità, toccandosi con curiosità, attorcigliandosi, assaggiandosi. L’uomo più grande si adagia completamente contro il corpo dell’altro, stringendolo forte a sé.
Leo è totalmente pervaso da questa sensazione nuova e inebriante. La bocca dell’uomo ha un leggero sapore di whiskey, le sue labbra sono morbide e calde, il corpo è sodo ed ha un odore di sapone e sandalo.
Le due rette parallele, cresciute in modo diverso, frequentando mondi diversi, vivendo in maniera totalmente opposta, si stanno ora baciando.
E se qualcuno potrebbe pensare che questo è il loro punto di incontro, non potrebbe essere più lontano della verità. Probabilmente questo è il momento in cui sono più distanti l’uno dall’altro.
Mentre uno si sente come quando ha assaggiato per la prima volta la cioccolata, l’altro sta sprofondando in un baratro nero e profondo.
Uno sente il cuore finalmente trovare un nuovo tempo, l’altro sente i cocci del proprio iniziare a polverizzarsi.
Lentamente si fermano e si allontanano.
Le mani dell’uomo scivolano via dal corpo che stavano navigando. Il giovane apre lentamente gli occhi, la luce del lampione torna ad accendersi. L’uomo più grande sta piangendo, gli occhi serrati.
L’accenno di sorriso sul volto di Leo, si frantuma, e quel cuore ballerino si ferma e cade in fondo, in un pozzo dell’anima. Cade e cade e non fa mai rumore. Le sue braccia, ancora addosso all’uomo, ricadono penzoloni lungo i fianchi. Il lampione si spegne ancora, e quando torna ad accendersi, non c’è sorpresa nel ragazzo nello scoprire che l’altro non è più lì.
Le lacrime ancora scendono lente sul viso affilato dell’uomo che sta guidando verso il proprio appartamento. Ha una lama nel petto che inizia ad ardere, facendogli mancare il respiro.
Parcheggia in fretta e prende l’ascensore che sale in alto.
‘Se solo fosse in grado di sollevare anche me’ pensa.
Entra nell’appartamento ancora inghiottito dal buio, si lascia andare contro la porta e scivola a terra. Si porta una mano sulle labbra, per un solo istante ricorda il calore rilasciato dal contatto con la bocca del giovane sconosciuto. Poi stringe forte le dita sulle labbra e comincia a singhiozzare disperato.
«Mi dispiace. Perdonami… perdonami!»
sussurra senza smettere di piangere.
Quando arriva il mattino lui è ancora lì, sul pavimento, seppellito nel suo dolore, ripetendo solo quelle scuse.
Leo è tornato a casa in uno stato di estrema confusione. Una parte di lui è ancora inebriata da ciò che ha provato baciando l’uomo bello e triste, l’altra si sente come se avesse commesso un crimine.
Non può fare a meno di pensare a quelle lacrime, all’espressione di dolore che ne deformava i tratti.
Ora è steso sul letto, due dita sono schiacciate sulla bocca, mentre una mano è stretta sul petto.
Chiude gli occhi e ripensa a come si è sentito mentre scopriva il sapore di un uomo. Quell’uomo.
Ancora riesce a richiamare la nota di whiskey sulle papille gustative, nelle sue narici è forte l’odore dell’altro. Uno strano calore inizia a pizzicargli il basso ventre ed una specie di scossa elettrica si libera vicino alla zona inguinale, ma prima di potersi riconoscere in quel momento di eccitazione, l’immagine di quelle lacrime gli si piazza in testa, spegnendo ogni tipo di emozione.
‘Se lo avessi pugnalato, credo avrebbe sofferto di meno ’ si dice.
Sospira rumorosamente, stringe un cuscino sul petto e si gira su un fianco.
«Almeno adesso so cosa fare…»
dice poco prima di scivolare in un sonno senza sogni.
Ci è voluto un bel po’ per rendersi presentabile tanto da poter mostrare la faccia gonfia, a lavoro.
Già sa che arriveranno voci a suo padre, ma a questo punto non gliene importa nulla.
Quanto accaduto la notte precedente, ha segnato in maniera irreversibile l’uomo, che si aggiusta la cravatta di fronte allo specchio. Evita di guardarsi in faccia, evita di diventare ancora più consapevole delle proprie labbra. Quelle maledette traditrici. Come ha potuto fare una cosa del genere?
Più ci pensa e meno risposte o giustificazioni è in grado di trovare. Tutto è assurdo.
Il sapore morbido di quel ragazzo riaffiora e per pochi secondi socchiude gli occhi, pronto a ricordare quegli istanti di pura perdizione. Ma dura poco. Un lampo di dolore gli spacca il petto e lui si colpisce la bocca in un gesto di rabbia.
«Torna in te! Maledetto!»
ringhia. Si schiarisce la gola, tira indietro i capelli, inforca gli occhiali con la montatura trasparente, afferra la ventiquattro ore, e si affretta ad uscire di casa.
Per tutto il tragitto verso la società in cui ha un suo ufficio, ma il cui ruolo ancora non gli è chiaro, continua a ripetersi ‘dimenticalo. Dimentica tutto’.
È così concentrato su questo mantra che ignora qualsiasi cosa lo circondi, e quando entra nel suo ufficio non realizza subito che sul divano all’angolo c’è seduto un uomo.
Se non fosse stato così immerso nei tentativi di rimuovere gli eventi di qualche ora prima, avrebbe sicuramente sentito dire alla segretaria che gli era corsa dietro, dell’ospite inatteso.
Ma adesso è troppo tardi. Prima di girarsi e vederne il viso, riconosce l’odore speziato del dopobarba.
Così, dandogli le spalle, dice soltanto
«Papà. Cosa ti porta qui?»
L’uomo brizzolato, con indosso un completo gessato, di colore grigio scuro, osserva le spalle larghe del figlio e capisce che sta di nuovo dormendo male. O non dormendo affatto.
«Fino a prova contraria, questa è la mia società. Posso venire quando mi pare»
risponde l’anziano, sospirando.
«Quindi sentivi la mancanza della moquette?»
«Dante…»
L’uomo alla scrivania china la testa ed inspira profondamente. Conosce quel tono e lo odia.
È il tono preoccupato di un padre assente, il tono colpevole di chi cerca di rimediare ad errori irrimediabili, è il tono disperato di chi le sta provando tutte per trovare un appiglio.
Ma quell’appiglio non esiste. Dante si è assicurato di radere al suolo ogni appiglio, ogni ponte, ogni porta. Lui è solo, e nessuno può raggiungerlo. Men che meno quel padre il cui ruolo nella sua infelicità è così predominante.
«Dimmi quello che devi dire e vattene. Ci vediamo sabato a cena. Come al solito»
Il tono dell’uomo è monotono, senza emozioni.
Il vecchio padre stringe le proprie mani e sente il cuore fargli male. Il figlio è a soli pochi passi da lui, ma lui lo sente così distante che se si alzasse per andargli accanto, ci potrebbe mettere anni.
Così sospira e poggia sul tavolino una cartellina, poi ci picchietta sopra con il dito nodoso
«Questo progetto. Voglio che sia tu ad occupartene»
Dante finalmente si volta, dando conferma al padre delle recenti notti insonni.
Ignora il lampo di preoccupazione che ne deforma il viso rugoso ed abbassa lo sguardo sulla cartellina, con un’espressione di totale disinteresse.
«Cosa ti sei inventato questa volta, per farmi apparire come qualcuno di utile?»
«Tu sei mio figlio, tutto questo diventerà tuo tra non molto. Se non sei utile tu, chi dovrebbe esserlo?»
L’altro solleva gli occhi al soffitto.
«Beh, questa persona utile ha poco tempo. Quindi, o mi dici in fretta che roba è, oppure ne possiamo parlare sabato»
Il vecchio si alza sulle gambe stanche.
«Ho in progetto di spostarti alla succursale, come leader del nuovo gruppo di sviluppo. Stiamo formando un nuovo team, con tanti giovani talentuosi, e non appena saremo pronti, vogliamo far partire il progetto. Vorrei fossi tu a gestire tutto e ad occupartene»
L’uomo tende le labbra in un’espressione sprezzante. Tutto ciò a cui riesce a pensare è che finalmente la maschera del vecchio è caduta. Tante parole che nascondono solo una verità: mi vergogno di te.
Spostarlo alla succursale, metterlo a capo di un nuovo progetto che probabilmente non vedrà mai la luce del giorno. Addirittura ha osato mettere in mezzo anche le nuove leve, altra parola per camuffare la realtà: una manica di incompetenti senza esperienza, appena sputati dalle università.
«Dante…»
Di nuovo quel tono. L’uomo stringe le mani in due pugni, svuota il volto da ogni possibile residuo di emozione e con voce ferma dice
«Perché non ti arrendi? Lasciami andare, liberami»
Pensa che forse colorare quelle parole con un po’ di disperazione, sarebbe più utile allo scopo. Ma ricorda ancora vividamente l’ultima volta che ha supplicato suo padre, sa che non c’è sentimento al mondo che possa mostrargli, che smuoverebbe quel vecchio bastardo. E così, ad un cuore di ghiaccio, rivolge parole algide. «Pensaci. Sabato fammi sapere la tua risposta» indica la cartellina abbandonata sul tavolino «Leggila, almeno»
China la testa ed esce dalla stanza, chiudendo la porta.
Un urlo riempie la gola dell’uomo ancora in piedi con i pugni stretti, ma resta intrappolato lì.
Si lascia cadere sulla scrivania e serra la mandibola, espirando con il naso, cercando di sfogare l’impeto di rabbia che lo sta facendo tremare come una foglia al vento. Alza la testa al soffitto e stringe gli occhi che iniziano a pungere. Una valanga di ricordi scomposti si rimestano nella sua mente.
Immagini del suo corpo nudo, stretto a quello di un altro, avvolti solo da un lenzuolo, di fronte alla finestra mentre la luce debole dell’alba illumina i volti felici dei due amanti.
Mani che si sfiorano sotto il tavolo, occhi che si guardano promettendosi passione, unghie affondate nella pelle bianca della schiena.
Una porta che si spalanca su un momento di gioia, riversando odio e rabbia in una stanza fino a poco prima piena d’amore.
Urla, pianti, suppliche, dolore.
Tutto è confuso, tranne il dolore. Quello è chiaro, quasi quanto il volto di chi ha causato tutto.
E mentre lui annega in quell’oceano di ricordi spezzati, sboccia una nuova immagine, improvvisa, fugace.
Due occhi rotondi, brillanti, su un viso innocente.
Dante si ridesta, come se qualcuno lo avesse appena schiaffeggiato.
‘Che diavolo c’entra lui, ora?’ si domanda.
Si porta una mano sul petto che fa male. Torna a ripetersi il mantra ‘dimentica tutto’, ma il sapore dell’altro fa capolino, ed allora pensa di impazzire.
Lo sguardo cade sulla cartellina lasciata dal padre e decide di distrarsi dandogli un’occhiata.
Odia doverlo ammettere, ma il progetto sembra buono.
La ragione che lo ha spinto a dire di sì a suo padre, tuttavia, non è questa. No.
Da quella dannata notte, la vita dell’uomo è diventata ancora più complicata.
Il suo incubo, adesso, ha un nuovo elemento a disturbarne il sonno. Quando arriva la pioggia, prima di svegliarsi di soprassalto, col viso coperto di lacrime, vede un papavero rosso, spiccare con prepotenza in quel quadro doloroso. Ed i suoi risvegli hanno due volti ad accoglierlo, ed entrambi lo fanno stare male per ragioni diverse.
Ha provato a dimenticare il ragazzo e quel bacio, ma non c’è stato verso. Non appena abbassa la guardia, riaffiora il ricordo.
Non è più nemmeno andato al locale di Sun, temendo di imbattersi nel giovane. Lo ha immaginato lì, ogni sera, in attesa che lui arrivasse. Ma questo non può succedere.
Quindi ha deciso di distrarsi lavorando come un matto, e durante le sue notti insonni ha studiato il nuovo progetto. Sa che dietro c’è sicuramente una fregatura, ma finché sarà troppo impegnato per pensare ad altro, gli andrà bene. Anche se questo dovesse far credere al padre di averla avuta vinta. Non gliene frega nulla. La sola cosa che conta, è riuscire a ritrovare una parvenza di normalità.
È passato così un mese esatto. Il consueto incubo con l’aggiunta del papavero rosso, torna a svegliarlo.
«Fanculo!»
ringhia a denti stretti, seduto sul materasso.
Tra due giorni inizierà il nuovo progetto, trasferendosi alla succursale. È andato a vederla, e non è male come si aspettava. Il suo nuovo ufficio è all’ultimo piano del palazzo di vetro, si accede solo tramite l’ascensore e solo se si ha la chiave. Lui ed il personale delle pulizie sono i soli ad avere quella chiave.
Si è sentito un po’ come una principessa relegata nella torre del castello, ma invece di fargli rabbia, questa cosa lo ha reso euforico.
Non vede l’ora di poter sparire in quella stanza. Non gli interessa se fa tutto parte del piano del padre per nasconderlo, a lui va bene così. Inoltre gli uffici sono nuovi, non c’è la moquette, e tutto è moderno. Non lo ammetterà mai, ma è un po’eccitato all’idea di cambiare aria.
Osserva la sveglia luminosa sul comodino che segna l’una di notte. Pensa se rimettersi a sfogliare per l’ennesima volta la documentazione che oramai conosce a memoria. Si gratta la testa e sbuffa irritato.
‘È passato un mese… dovrebbe essere sicuro andare a trovare Sun’ si dice.
E poi lui ha la sua stanza in cui rintanarsi. Decide quindi di vestirsi ed andare.
Arrivato al parcheggio, resta seduto in macchina. Prova ad ignorare con tutte le sue forze la luce intermittente del lampione ancora rotto. Prova a scacciare i ricordi di quella notte. I dubbi, intanto, salgono.
Pensa che un tipo come quel ragazzo potrebbe essere uno di quelli persistenti, che non si arrende solo dopo un mese. Scuote la testa. È stato solo un bacio e quel ragazzino voleva solo provare.
‘Avrebbe addirittura baciato Sun’ si dice con una nota di risentimento.
Ma sì, non è stato niente di speciale. O forse sì. Forse la scintilla che tanto anelava, l’ha provata grazie a lui, e magari è tornato ogni sera, per provarla con qualcuno di diverso. Probabilmente proprio mentre lui resta incollato al sedile della sua auto, il giovane è avvinghiato a qualcun altro, nel mezzo della pista da ballo.
Sta dipingendo questo quadro nella sua mente quando si rende conto di essere di fronte alla porta del locale, con i due soliti omoni che lo guardano con una nota di sorpresa.
‘Quando sono sceso dalla macchina?’ si chiede, continuando a camminare.
L’aria viziata, le luci psichedeliche e la musica sincopata lo abbracciano come una vecchia amica, dandogli il bentornato. I suoi passi non sono spediti come al solito, sono cauti, così come i suoi occhi, che scrutano ogni angolo del locale, non riconoscendo nessuno di suo interesse. Arriva così al bancone, con un senso di sollievo. Quando il suo amico alza lo sguardo su di lui, gli regala una faccia che esprime disappunto.
«Oh, no. Non dirmi che è già finita!»
Dante lo guarda confuso.
«Con in ragazzino dell’altra volta… sai, quello che hai trascinato via?»
L’uomo annuisce ma non sembra ancora capire.
«Non vedendoti tornare, ho pensato che avessi trovato finalmente un nuovo giocattolo… si è già rotto… o lo hai rotto tu?»
Dice le ultime parole accompagnate da un sorriso provocante.
«Non so di cosa tu stia parlando. Non lo vedo da quella sera»
Le sopracciglia folte di Sun scattano verso l’alto. Adesso il bel sorriso sornione, lascia il posto ad un’espressione di dubbio.
«Mi stai dicendo che siete spariti entrambi quella notte, per pura coincidenza?»
«Non lo hai più visto?»
chiede, anche lui sorpreso. Sun annuisce.
«Nemmeno di sfuggita. Ero sicuro foste insieme» fa un sospiro deluso «oh, beh… suppongo alla fine abbia chiesto alla fidanzata di sposarlo»
Le viscere di Dante si ritorcono. Non sa spiegarsi perché la sola idea gli stia facendo prudere la pelle. E non si tratta solo dell’assurda possibilità che quel ragazzino stia progettando un futuro con un’altra, ma l’idea che non sia tornato a cercarlo, è quello che lo sta facendo impazzire.
Come è possibile che sia cambiata solo la propria esistenza dopo quella notte? Come è possibile che quell’imbecille, non sia tornato sul luogo del delitto, anche solo una volta?
Si rende conto che l’amico lo sta fissando con una curiosità morbosa, rientra dalle sue elucubrazioni e si dirige verso la saletta, dicendo
«Portami tutta la bottiglia, per favore»
‘Come è possibile?’ si chiede, lasciandosi cadere sul divanetto.
