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Capitolo 1: Sogno e realtà.

L’incubo è sempre lo stesso, da due anni ormai.

Un campo di anemoni, una giornata mite di primavera, l’ampia schiena dell’uomo che gli cammina di fronte con passo leggero, l’incapacità di stargli dietro, l’uomo che si fa sempre più distante, la disperazione di non riuscire a raggiungerlo, afferrarlo, di potergli stringere la mano o rivederne il volto, una volta, una sola ed ultima volta.

L’uomo è orami un punto lontano, confuso in quel campo di fiori, sterminato. Il cielo terso diventa grigio non appena l’uomo svanisce, tutto il tepore della primavera si sostituisce al freddo umido dell’inverno più sterile. L’uomo che si agita nel letto, viene avviluppato dal senso di solitudine, nell’incubo tenta un’ultima volta di correre per riavere indietro la sua primavera, ma non c’è più niente da fare. La pioggia inizia a scendere copiosa e tutto viene inghiottito nella tristezza più profonda.

L’uomo nel letto si sveglia, tendendo ancora la mano nel vuoto, tentando di afferrare l’inafferrabile.

Resta qualche secondo a boccheggiare nel buio della sua stanza, dunque si solleva adagio sul materasso.

Il tessuto liscio del pigiama è appiccicato al suo corpo sudato, il volto è rigato di lacrime, negli occhi ancora l’ultimo lampo di quella schiena così dolorosamente inafferrabile.

Si porta una mano alla fronte ed inspira profondamente. Rivolge lo sguardo alla sveglia luminosa sul comodino, è mezzanotte.

Scuote la testa e sbuffa. Si alza dal letto e si dirige verso il bagno. Lascia cadere il pigiama umido sul pavimento, insieme alla biancheria, entra nel box doccia ed accende l’acqua, si mette sotto il getto gelido e si lascia lavare via di dosso i residui del suo incubo. Poggia le mani alle piastrelle nere e spera che l’acqua porti via anche il dolore. Ma non lo fa. Non lo fa mai.

Quando ha finito non è trascorsa nemmeno mezz’ora e si sente più sveglio che mai, nonostante non stia dormendo bene da oltre una settimana.

Guarda il letto ancora sconvolto dall’incubo e decide di vestirsi.

Quando sceglie la camicia di raso nera e i jeans scuri, non sa che nello stesso momento, in quella grande città, c’è un’altra persona incapace di prendere sonno, per ragioni del tutto diverse dalle sue.

Quando arriva all’ingresso del grande palazzo moderno al centro della città, la guardia notturna non è sorpreso di vedere il bel giovane con gli occhi più tristi del mondo.

Lo saluta con un gesto del capo, ma non si aspetta una risposta. Oramai sono due anni che lavora lì e non lo ha mai visto né sorridere, né salutare.

È una specie di fantasma che cambia dal giorno alla notte. Ma la sola cosa che resta uguale è quel dannato sguardo triste. La guardia è sicura di non aver mai visto tanto dolore imprigionato in un solo individuo.

Il bell’uomo muove le sue lunghe gambe verso la propria auto. Il passo è lento ma deciso, ogni suo movimento sembra automatico, infatti, se lo si guarda in faccia, si può notare che ha lo sguardo spento e l’espressione vuota. Sale in macchina, accende il motore e si avvia.

La città, di notte, è comunque in fermento. C’è meno traffico, ma è un cuore che batte al ritmo delle musica che esce dai locali illuminati.

Lui guida ignorando tutto, fino al parcheggio del solito posto. La luce di un lampione singhiozza poco più giù. Sospira, spegne il motore e si dirige verso lo stretto vicolo che porta alla sua meta, l’entrata è sorvegliata da due grandi uomini, con le braccia possenti incrociate sugli ampi pettorali.

I due omoni si lanciano uno sguardo che sembra dire ‘eccolo di nuovo qui’, quindi uno dei due apre la porta del locale facendo esplodere la musica contenuta al suo interno, lasciandolo passare, senza chiedergli nulla.

L’uomo li supera senza rallentare il passo, cammina come se stesse percorrendo un percorso prestabilito, ogni suo movimento è già impresso nel momento successivo.

Scivola attraverso la folla che riempie il locale, evita ogni sguardo ammiccante, resta sordo ad ogni commento lascivo e alla musica che eccita le persone lì dentro. Cammina spedito fino al bancone in fondo al locale, sale i tre gradini e si ferma di fronte al ragazzo con la testa china, concentrato nella preparazione di un cocktail.

«Perché ti ostini a preparare cocktail che nessuno assaggerà? »

urla sopra alla musica.

Un viso luminoso, con un sorriso solare, solleva lo sguardo sull’uomo che ha appena parlato. Dà una rapida occhiata all’orologio che ha sul polso e sospira, poggiando le mani sul bancone.

«Ah! Ed io che speravo stanotte avresti dormito»

L’altro fa un sospiro ma non risponde.

«Il solito sogno?»

L’uomo di fronte al bancone annuisce senza espressione, quello dietro scuote la testa e gli indica il privé

«Vai! Oramai è il tuo personale. Tanto vale metterci una targhetta col nome»

«No, grazie. Mi basta quella che ho sulla porta dell’ufficio»

e senza aggiungere altro si dirige verso la piccola stanzetta al lato del bancone, scosta la tendina di perline e si siede sul divanetto nero di pelle, dalla forma circolare, poggia la testa sullo schienale alto, e inspira l’aria talcata del piccolo ambiente. L’unica illuminazione proviene da piccoli faretti che emettono una debole luce viola, posti nel pavimento.

Lo scopo della stanza, originariamente, era quello di garantire un po’ di privacy ai clienti più facoltosi del locale, ma essendo i bagni dello stesso, ottime alternative, nessuno si premura di usarla mai.

Tranne lui. Quello è oramai diventato il rifugio delle sue notti insonni.

La tendina di perline si scosta ed il bel giovane dal viso luminoso si affaccia con un bicchiere pieno di ghiaccio ed un liquido ambrato in una mano, ed una bottiglia piena nell’altra.

«Che serata è? Un solo bicchiere o tutta la bottiglia?»

L’uomo seduto nella semi oscurità ci pensa, dopodiché indica il bicchiere. Quello in piedi si lascia scappare un piccolo sospiro di sollievo e poggia il bicchiere sul tavolino basso

«Se ti serve altro, anche solo fare due chiacchiere, chiamami» si volta verso il bancone alle sue spalle «torno ad esercitarmi, che tu ci creda o no sto divent… ma che diavolo…»

Si blocca guardando qualcosa, l’altro non può fare a meno di incuriosirsi.

«Problemi?»

chiede.

«No… non credo. Solo… un agnellino si è smarrito nella tana dei lupi»

e senza aggiungere altro sparisce, lasciando la tendina, che si richiude ondeggiando.

In piedi, all’entrata del locale, c’è un ragazzo alto, la sua figura è snella, ha due occhi rotondi e scuri, sgranati e terrorizzati. Le sue labbra carnose sono strette in un’espressione tesa e si stringe le mani sul petto. Tutto di lui urla terrore. Resta fermo, col fiato corto, osservando le scene di lussuria e libertà che si sviluppano intorno a lui. Deglutisce e pondera di andare via, ma i suoi piedi sembrano incollati al pavimento.

‘Hai trovato il coraggio di entrare, se vai via adesso, avrai fallito’ si dice, e cerca in questi suoi pensieri la forza per proseguire, ma le sue gambe proprio non vogliono collaborare.

Inizia a realizzare quanto sia fuori luogo con la sua polo azzurra, i suoi jeans chiari, le sue sneakers bianche e la sua pettinatura ordinata, da bravo ragazzo di chiesa.

Tutte le persone dentro quel locale urlano glamour ed eccentricità. Alcuni eccedono con tessuti sgargianti e colorati, altri sembrano aver lesinato sulla stoffa, mostrando porzioni di carne di solito nascoste. Tutti sono belli e luminosi, accesi da una fiamma che al bel ragazzo di campagna, manca.

La musica risuona e accompagna scene di divertimento e passione. Ovunque gente che ride, balla, si bacia e si tocca in modo lascivo. Osserva tutto senza sapere come agire.

‘Se solo Rik fosse qui’ pensa.

Ma è solo. Ha deciso da solo di venire in questo locale di cui ha tanto sentito parlare, ha deciso da solo di vestirsi come un chierichetto, ha deciso da solo di dare retta al suo migliore amico durante questa notte insonne. Resta fermo, impalato, terrorizzato.

È talmente avviluppato nelle sue ansie, che non si rende conto di aver attirato più di un occhio addosso. Sebbene si senta fuori posto e poco glamour, proprio il suo aspetto da bravo bambino ha colto l’attenzione di più di un cattivo bambino, tutti nascosti negli angoli più bui del locale.

Il primo ad avvicinarsi è un uomo poco più basso di lui, con le braccia grandi e il viso famelico.

«Ti sei perso, bel bambino?»

«Ehm.. no… io…»

balbetta, ma prima che possa formulare una frase di senso compiuto, un secondo uomo lo approccia

«Mmm... che abbiamo qui?» gli fa scorrere due dita grassocce sul braccio e poi lo annusa «sento odore di carne fresca»

gli sorride languidamente e si lecca le labbra sottili.

Il giovane sente il cuore accelerare e vorrebbe trovare la forza di muoversi, ma non ci riesce.

Un terzo uomo si avvicina. Sembra il più pericoloso, con i suoi occhi neri, la sua barba da lupo e le sue mani enormi.

«Hey… vogliamo giocare un po’?»

gli sussurra all’orecchio.

La voce dell’uomo è bassa e fredda. Il giovane si sente morire. Prova ad aprire la bocca per rifiutare tutti quegli approcci, ma le labbra gli si sono incollate. Sente le mandibole serrarsi nervosamente ed anche l’aria inizia a mancargli. Nonostante sia più alto di tutti e tre i lupi, si sente piccolo.

I tre si avvicinano di un passo e lui vorrebbe essere in grado di muoversi, ma le gambe hanno smesso di essere attaccate al suo corpo, o così gli pare.

Il primo lupo, quello con le braccia grosse, allunga una mano verso il viso del piccolo agnellino, ma prima di riuscire a sfiorarlo, interviene qualcuno.

La forza di una mano che gli si stringe sulla spalla, il calore di un braccio che lo cinge saldamente, un profumo delicato, diverso dall’odore acre dei tre uomini che ha di fronte. Il giovane, istintivamente, si sente al sicuro. Volta lentamente la testa verso il suo salvatore.

Accanto a lui è apparso un uomo poco più alto di lui, con un bel profilo greco, ne intravede il sorriso, che anche se è solo a metà, sembra illuminare tutto intorno a sé.

Non è razionale, non è logico, ma il senso di sicurezza aumenta.

«Scusate, ragazze, ma il mio amico è qui per me! Deve solo raccontarmi della sua giornata e poi lo rimando a casa dalla mamma! Ora andate a giocare da un’altra parte»

Il misterioso salvatore, parla con una voce calda e con tono amichevole. Agita una mano per allontanarli. I tre fanno una faccia delusa ma non provano ad insistere, si girano e si disperdono nel locale, in direzioni diverse. Il misterioso salvatore stringe ancora più a sé il piccolo agnellino, e gli sussurra all’orecchio

«Ce la fai a camminare o ti devo prendere in braccio?»

Il giovane, come risvegliatosi da quel torpore terrificante, annuisce con vigore e si muove, seguendo l’uomo che lo direziona verso il fondo del locale. Salgono insieme i tre gradini che portano al bancone e lo fa sedere su uno degli sgabelli. Quando lo lascia andare, l’agnellino non può fare a meno di sentirsi nudo.

Si rende conto solo in quel momento che la stretta intorno alle spalle, lo ha nascosto da quel nuovo mondo nel quale si era addentrato pochi minuti prima.

Il misterioso salvatore fa il giro del bancone e gli si piazza di fronte. Il giovane lo guarda, l’altro allarga le braccia e gli indica la parete alle sue spalle

«Posso darti qualcosa? Magari un bourbon invecchiato? Oppure, per ringraziarmi dell’aiuto, potresti assaggiare questo»

Così dicendo poggia sotto al muso del ragazzo un calice dal gambo sottile, pieno di un liquido arancione con delle sfumature verdi e rosse, con una ciliegia poggiata sul bordo e due foglie di menta a decorare il tutto.

L’agnellino guarda lui e poi il bicchiere più volte, fino a che l’altro non scoppia a ridere

«Tranquillo, non ti avvelenerò. Ma sto cercando di inventare il cocktail per eccellenza. Vorrei dargli il mio nome e renderlo famoso in tutta la città… anzi no, in tutto il mondo!»

«E come vorresti chiamarlo?»

Il giovane sorprende persino se stesso nel porre la domanda. Aveva quasi dimenticato di essere capace di parlare. L’uomo dietro il bancone, sorride luminosamente e gli porge una mano

«Sun, mi chiamo Sun»

‘Sun. Sole. Non potrebbe avere nome migliore. Questo tizio splende’ pensa.

«Molto piacere, Sun. Io sono Leo»

Il barista non può fare a meno di scoppiare a ridere lasciando l’altro interdetto.

«Scusa! Scusa! Ma sapere che ti chiami Leo ed hai questo aspetto da agnellino sacrificale, è troppo!»

Ride ancora, ma cerca di contenersi. Il giovane, però, non pare prenderla a male, anzi ride insieme a lui. Non è la prima volta che qualcuno fa un’osservazione del genere. Il suo aspetto ha poco a che fare con un leone. Ma come ha sempre detto sua madre ‘il tuo valore è dentro, non fuori. Puoi non sembrare un leone, ma hai un coraggio che nemmeno la più feroce delle facce là fuori può sognare’.

«Sì… me lo dicono spesso. Ma la mia mamma dice che sono coraggioso»

Sun ride di nuovo, in maniera meno sfacciata. Inizia a sentire un moto di tenerezza verso il ragazzo.

«Se devo basarmi su quanto visto fino ad ora, non direi»

gli fa notare. Leo arrossisce e abbassa la testa.

«Allora… agnellino. Mi vuoi dire perché ti sei addentrato nella tana dei lupi?»

La domanda costringe il ragazzo a sollevare lo sguardo. Torna a tormentarsi le mani e si morde le labbra.

«Hey. Questa è la tua safe-zone. Qui nessuno ci disturberà, dimmi tutto»

lo incita l’altro.

Ed in effetti si sente al sicuro. Tanto al sicuro che la vergogna di raccontare la sua storia e le sue ragioni, sbiadisce man mano che il sorriso di Sun si fa più caldo. Fa un gran respiro e parla

«Domani compirò 30 anni»

Il barista solleva un sopracciglio ma non dice nulla. Aspetta semplicemente il resto della storia, che arriva

«Domani dovrei chiedere alla mia ragazza di sposarmi, stiamo insieme da quasi 3 anni» l’espressione sul viso del barista si fa ancora più confusa ma continua ad ascoltare «ma è una cosa che farei solo perché è quanto ci si aspetta da me. Non è che non le voglia bene, ma… io non credo di amarla»

Il ragazzo a questo punto si gratta la testa nervoso, scompigliando la sua pettinatura laccata. Prosegue

«Dannazione. Non credo di aver mai amato nessuno, ad essere onesto. Sono stato con diverse ragazze, ma mai nessuna mi ha davvero fatto battere il cuore» si stringe il petto con un’espressione dolorosa «Sai che vuol dire vivere 30 anni e non aver mai sentito il cuore sussultare? Non aver mai avuto le morse allo stomaco al pensiero di baciare quella persona speciale? È terribile! Terribile davvero!»

Leo fa una pausa e riordina i pensieri. Poi riprende a parlare

«Rik, il mio migliore amico, lui… ecco, lui è gay»

Fa questa affermazione come se fosse il punto focale di tutta la sua storia. Il barista resta ancora in silenzio e l’altro continua

«Io e Rik siamo cresciuti insieme. Lui è davvero l’amico più caro che ho. Lui sa tutto di me ed io so tutto di lui. Io sono stato il primo a cui ha detto che gli piacevano i ragazzi, e sono stato il primo a cui ha raccontato della sua prima delusione d’amore. Quando io ho fatto l’amore per la prima volta, è stato il primo a saperne ogni minimo dettaglio ed io ho ascoltato della sua prima volta… beh, in realtà di tutte e due le sue prime volte… come… sai, top e bottom… lui fa tutto» si schiarisce la gola e prosegue «comunque, non c’è un ricordo della mia vita in cui Rik non sia presente. Eppure non ho mai provato niente per lui. Abbiamo condiviso il letto dall’infanzia fino alla fine degli studi, ora per fortuna abbiamo una casa con due camere da letto, ed ognuno ha la sua… ma quello che voglio dire è che, se il problema per cui non ho mai amato una donna fosse che sono gay, lo avrei saputo, no? Avrei amato Rik, no?»

La supplica nascosta nell’ultima domanda di Leo, fa sorridere Sun.

«Non è proprio così»

gli fa notare. Il ragazzo annuisce.

«Sì. Me lo ha detto anche Rik. Mi ha detto ‘quindi potresti anche amare Stella’, ed io ‘ma è assurdo!’» notando l’espressione smarrita del barista si affretta a specificare «Stella è la mia sorellina»

Sun fa cenno di capire e Leo prosegue

«Comunque, io gli dico ‘ma è assurdo!’ e lui mi fa ‘ma è una ragazza!’ ed io ‘ma è mia sorella!’ allora lui mi dà un colpo in testa e dice ‘ecco! Cretino! Ed io sono tuo fratello!’ e lì per lì non ho capito tanto, ma poi ho realizzato cosa volesse dire»

Il barista sorride ed annuisce. Non può fare a meno di sentire il sentimento di tenerezza crescere e riempirgli il cuore.

«Hai un amico molto acuto»

commenta.

«Oh. Mi guardo bene dal dirglielo, o sarebbe la mia fine. Comunque, quello continua ‘il fatto che il tuo cuore non abbia mai battuto per me, è solo perché io sono come un fratello… se davvero vuoi sapere se là fuori c’è un uomo per te, lo devi cercare’. Inizialmente non ho pensato di dargli retta, ma il tempo passa ed io sto con questa dolce ragazza che mi guarda come se fossi il suo mondo ma io so che lei non è il mio. Non riesco proprio guardarla come lei guarda me. Quando facciamo l’amore, è una cosa meccanica, non sento niente. Non la desidero, non ho urgenze. Ho pensato che il problema fosse il mio, ma Rik mi ha detto che per esserne sicuro dovrei provare tutto. Di nuovo, ho accantonato l’idea, ma domani faccio 30 anni… e i miei si aspettano che io faccia qualche passo avanti con la mia vita, con la mia ragazza. Sai, dovrei anche iniziare un nuovo lavoro… insomma… la mia vita deve cambiare, ma io non voglio farlo solo perché è così che dovrebbe essere. Io voglio farlo perché è quello che sento… e 30 anni con un cuore che non batte, è davvero troppo. Sto vivendo davvero? Io continuo a chiedermelo, ma la risposta mi fa paura. Non ho mai nemmeno viaggiato, tutto quello che so del mondo, l’ho imparato dai libri. 30 anni, capisci?»

Sun gli si avvicina e gli accarezza la testa. Compirà 30 anni, ma a vederlo così, sembra solo un bambino.

«Quindi hai deciso di venire qui e provare a fare cosa, di preciso?»

chiede il barista incuriosito. Leo si stringe nelle spalle

«Non lo so. Rik mi ha parlato spesso di questo posto e di quanto lui ci si diverta. Un paio di volte ha anche giurato di aver trovato l’amore della sua vita… ma ovviamente è durata molto meno della sua vita»

«Succede più spesso di quanto immagini»

Ridacchia Sun

«Non a me, però» il tono è cupo «mi starebbe bene innamorarmi anche solo cinque minuti, come fa Rik. Almeno saprei che non ho niente di rotto o difettoso. Almeno saprei di essere vivo. Quindi sono venuto qui, sperando di potermi innamorare, anche se per poco, come fa Rik»

Il cuore di Sun non ce la fa più. Questo piccolo agnellino di fronte a lui è quanto di più tenero abbia mai visto. Vorrebbe stringerlo forte e assicurargli che va tutto bene, vorrebbe proteggerlo anche sa se stesso, ma sa che non è quello che gli serve. Quindi poggia entrambe le mani sul bancone e si avvicina al viso intristito del suo nuovo amico

«Hai la minima idea di quanto terrorizzato fossi, mentre te ne stavi lì, in piedi, a torturarti le mani?»

L’altro annuisce e basta

«E dimmi, agnellino, hai mai visto o sentito di qualcuno in grado di provare amore, con un cuore ricolmo di paura?»

La domanda gela il ragazzo, che inizia a far ribollire la testa con nuove domande. Si sente stupido. Non riesce proprio a capire perché in questo campo, non sia proprio in grado di far funzionare il cervello. Il barista, percependo la frustrazione di Leo, si affretta a parlargli con voce carezzevole

«Ascolta, da quanto ho capito, quello che stai cercando, è un brivido, un segnale che sei vivo, che sei capace di sentire quello che, a tuo dire, hai solo vissuto attraverso gli altri o le storie raccontare nei libri» Leo annuisce «quindi, quello che davvero vuoi, è un segnale che ti dica che devi solo impegnarti nella ricerca» un altro cenno di assenso «e sei venuto qui sperando di provare quel qualcosa, in modo tale da estendere le tue possibilità nella ricerca di quella persona»

Per la terza volta, il ragazzo muove la testa su e giù, con vigore. È come se Sun avesse capito a fondo il senso del suo discorso. Non si tratta di scoprire di essere gay o meno, ma piuttosto scoprire se la ragione dietro alla sua incapacità di amare risieda nel fatto che la persona giusta, magari, è nata in un corpo più simile al suo, e lui non ha mai volto lo sguardo in quella direzione per via di dogmi sociali oramai obsoleti.

Sun sorride in maniera luminosa ed il piccolo agnellino si sente finalmente rilassato.

«Dimmi, hai paura di me?»

Leo scuote la testa confuso

«No, anzi. Da quando sei apparso mi sembra di essere finalmente al sicuro»

Il barista sorride con calore, questa affermazione gli fa traboccare il cuore. Un lampo di malizia riluce nei suoi occhi ambrati.

«Allora… vuoi provare con me?»

Il senso della domanda ci mette un po’ a trovare il suo posto nelle sinapsi del ragazzo che, per un istante, si irrigidisce. I suoi occhi corrono veloci verso le labbra rosse, tese in un bel sorriso, sul volto brillante di Sun. Deglutisce sentendo la bocca inumidirsi.

«Lo faresti per me?»

gli chiede tornando a torturarsi le mani, l’uomo dietro il bancone fa cenno di sì con la testa.

«Non ti garantisco brividi o battiti di cuore, ma se già riesci a capire che la cosa potrebbe piacerti, sarò ben lieto di darti una mano»

Leo sorride. È un sorriso luminoso quasi quanto quello di Sun. In questo momento si sente un po’ nervoso, ma soprattutto è eccitato. Sente che il bel barista è la risposta a tutte le preghiere fatte nella sua vita. Si sporge un po’ in avanti e posa gli occhi scuri in quelli dell’uomo di fronte a lui. Sì. È pronto.

I due si avvicinano, Leo sente il calore del fiato dell’altro sulle proprie labbra, le schiude un po’ e si prepara al contatto, ma nel giro di pochi secondi si ritrova a camminare, trascinato per il polso da qualcuno che procede dritto davanti a lui. Riesce solo a vederne le spalle, larghe, ampie. Non riesce a capire come abbia fatto a passare dal quasi baciare il bel ragazzo dietro il bancone al seguire questo sconosciuto fuori dal locale.

Fissa le lunghe dita che gli avvolgono il polso, si concentra sul calore che emanano su quella piccola porzione di pelle. Un velo di confusione inizia a calargli nella mente, solo di una cosa è sicuro, non ha paura.

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