Il coraggio di partire
I giorni passavano e Aela continuava a ignorare i suoi sogni. Così come evitava di pensare a quella mattina in cui lo spirito dell’Ughun le era apparso. Solo l’idea di andare via dalla sua casa la metteva in agitazione.
Non era mancanza di fede, ma di forza. Era più facile fingere che tutto fosse fantasia, che restare ferma fosse la cosa giusta. Ma ogni fibra del suo essere le urlava il contrario.
Ogni mattina si alzava, rivolgeva le sue preghiere all’Ughun, poi iniziava la giornata tra studio, esercitazioni pratiche e faccende. Tutti i giorni si ripetevano uguali e monotoni, ma nella sua mente, ad illuminare quelle ore sempre uguali, arrivava sempre il ricordo di lui: i capelli scuri, gli occhi dorati. Non c’era un attimo in cui lei non pensasse a quel ragazzo.
Era come se, in qualche modo a lei sconosciuto, fossero legati da un filo sottile.
Fu una mattina particolarmente afosa. Aela era intenta a rifinire le sue posizioni di difesa nel salone d'addestramento, l'aria densa di polvere e sudore. Improvvisamente, una voce profonda e inconfondibile le fece gelare il sangue nelle vene.
— Aela. Sei richiesta nelle mie stanze. Ora. —
Taurho. Il suo tono non ammetteva discussioni.
Con un nodo allo stomaco, Aela si congedò dalla Maestra e si avviò, ogni passo un presagio di sventura. Il corridoio si fece lungo, le pareti sembravano stringerla. Raggiunse la porta imponente della camera di Taurho, adornata con i simboli del Falco e del Sole nascente, emblemi della sua potenza e del suo status. Prese un respiro tremante e spinse.
Lui era lì, in piedi al centro della stanza, la figura massiccia stagliata contro la luce fioca che filtrava dalle finestre schermate. Indossava solo una tunica di seta scura, che gli aderiva ai muscoli definiti, accentuando la sua aura di predatore. I suoi occhi, solitamente freddi, brillavano di un fuoco inequivocabile, un desiderio famelico che Aela riconosceva con orrore.
— Finalmente. Credevo avresti ritardato ulteriormente. — La sua voce era un sussurro rauco, eppure risuonava con la forza di un comando.
Aela, pur tremante, sentì montare in lei una scintilla di ribellione. Non poteva permettergli di calpestarla. — Ero impegnata con l'addestramento, Generale. Non sono a sua disposizione a ogni suo capriccio. — La sua voce, benché sottile, era ferma, un piccolo atto di sfida.
Un lampo gelido attraversò gli occhi di Taurho. Si mosse lentamente, con la grazia letale di un felino, e si avvicinò a lei. Aela fece un passo indietro, il cuore che le batteva all'impazzata.
— "Capriccio," dici? — sussurrò lui, il suo respiro caldo sul collo di lei. La sua mano, larga e potente, le afferrò il mento, costringendola a sollevare il viso. — Questa non è una richiesta, Aela. È un diritto. Io sono il tuo futuro. E tu... sei mia. Ogni tua parola, ogni tuo gesto, risponderà a me.
La stretta sul suo mento si fece più forte. Aela non riusciva a distogliere lo sguardo dai suoi occhi, in cui danzava una luce possessiva e implacabile. Sentiva l'onta salire, il desiderio di urlare, di lottare. Ma la paura le incollava le gambe al pavimento.
— La tua insolenza è... insopportabile. — La voce di Taurho si fece più dura, un ringhio sottile. — Sembra che tu abbia bisogno di un promemoria su chi comanda, piccola Ninfa. —
Con uno scatto rapido, la afferrò per un braccio e la fece girare, piegandola in avanti. Il sudack di lino si tese, la rendeva ancora più vulnerabile. Aela emise un gemito strozzato, la vergogna e il terrore che le inondavano l'anima.
Poi il primo colpo. Un impatto secco e umiliante sul suo sedere, attraverso il tessuto sottile. Aela strinse i denti per non gridare, le lacrime che le bruciavano gli occhi. Un altro colpo, più forte. E un altro. Ogni schiaffo era un'affermazione del suo potere, una punizione per la sua disubbidienza. Non c'era rabbia incontrollata nel suo gesto, ma una fredda, calcolata lezione.
— Questo è ciò che accade quando ti ribelli, Aela. — La sua voce era bassa, ma ogni parola le trapassava l'anima. — Ogni segno sulla tua pelle ti ricorderà a chi appartieni. Ogni volta che sentirai bruciare, saprai chi ti ha messa al tuo posto. Non ci sarà più spazio per la tua piccola, futile volontà. Sei mia. Ora e sempre. —
I colpi si fermarono. La sua mano le accarezzò la pelle arrossata, un tocco che era più una minaccia che una consolazione. Aela rimase piegata, tremante, le lacrime che scendevano silenziose. La sua ribellione era stata schiacciata, la sua dignità calpestata. In quel momento, sentì il suo spirito spezzarsi un po', rendendola ancora più determinata a trovare una via d'uscita.
Sempre più spesso Aela si ritrovava ad osservare la grande mappa appesa nella stanza delle Vie.
Quella mappa che raffigurava la terra di Eidorn.
“Noi siamo a Lumenora… per arrivare nelle Terre Grigie dovrei oltrepassare Valthiria, poi Elowind, e infine giungere al confine. A quel punto mi troverei accanto alle rovine delle città antiche, e da lì, oltrepassando il Bosco Fauto, dovrei giungere nelle Terre Grigie.”
Passò a osservare i contorni di quelle terre, dove vivevano gli esiliati: gente pericolosa, priva di scrupoli.
“Ci sono quattro cittadine in tutto: Norval, Morvalen, Dardhel e infine Tharnor. In quale di queste si troverà quel ragazzo?”
— Aela, piccola fiamma. — Aela si voltò di scatto. Era Ewein, la ninfa più anziana. Le si avvicinò lentamente, fino a raggiungerla davanti alla mappa.
— Ogni giorno ti vedo guardare questa mappa e scrutarne i confini. — Aela si voltò preoccupata. La fuga dalle sue terre equivaleva a un tradimento, all’esilio. — No, saggia Ewein… non è come pensate! — cercò di giustificarsi. Ma la vecchia sorrise. — No? Bambina, non devi nascondere nulla a questa vecchia signora. Giorni bui ci attendono. A volte, il sentiero che crediamo nostro si rivela solo un immenso sbaglio… e solo perdendosi ci si può ritrovare. — Aela la osservò con sguardo curioso, teso.
— Figliola, il destino ha in serbo grandi cose per te. Ma serve il coraggio di saltare. Il mondo non è tra queste mura sicure, ma fuori. Vai verso il tuo destino, Aela. — Ewein riprese il suo camminare incerto, sorretta dal bastone.
“Come può sapere?” si domandò Aela.
Tuttavia… ha ragione. Devo trovare il coraggio di andare. Con un semplice incantesimo, creò una copia della mappa.
“Perfetto. Ora… devo solo trovare il coraggio.”
Lasciare ciò che ci è caro — anche se ci va stretto — è più difficile di quanto si pensi.
Aela era sicura che lì, tra quelle mura, non avrebbe trovato il suo vivere. Ma allontanarsi da tutto ciò che reputava casa la spaventava ancora.
“Per crescere, Aela, ci vuole coraggio.”
Così le aveva sussurrato una volta suo nonno, prima di spegnersi.
— Nonno, vorrei fossi qui… — mormorò.
Lui sapeva sempre calmarla. Sapeva sempre cosa dire.
Un anno fa, l’Ughun lo aveva richiamato a sé. Da allora, si era sentita più sola che mai.
Suo padre e sua madre non l’avevano mai compresa del tutto. Solo lui era riuscito a far tacere i suoi dubbi.
Quella sera, mentre tutto intorno era vociare e allegria, Aela cercò rifugio nella solitudine.
Nel refettorio lasciò il piatto preferito quasi intatto, poi uscì da una porta laterale.
Nel giardino notturno le stelle brillavano alte. Camminò lungo la strada selciata, superò la fontana gorgogliante e arrivò al ponte in marmo, tra i rampicanti.
Lì si fermò. Quel luogo le era sempre sembrato un passaggio tra due mondi.
— Bambina mia… non sei cambiata. —
Aela si voltò. La voce era inconfondibile.
— Nonno! Sei davvero tu? —
Il vecchino dai capelli bianchi e i baffoni le sorrideva, circondato da una luce tenue.
Non era del tutto solido, ma per lei… era reale.
— Sì, sono io. —
Si avvicinò al bordo del ponte e guardò la luna.
— Per te, bocciolo di luna. —
Aela sorrise. La chiamava sempre così.
— Non so cosa devo fare, nonno… —
— Lo so. Ed è per questo che sono qui. Devi andare, bambina mia. Lui ha bisogno di te. E tu… di lui. —
Aela rimase senza fiato.
— Ma nonnino… lui è… —
— So ciò che è. Ma momenti bui stanno per arrivare. E l’unico che potrà salvarci è proprio chi abbiamo sempre disprezzato. Tu sei la sua unica possibilità. —
— E le leggi? Sono una ninfa… e non si può uscire dal villaggio. Le Terre Grigie sono proibite. —
— Le leggi vanno rispettate… finché funzionano. Quando diventano gabbie, vanno infrante. Tu non sei solo una custode, Aela. Sei una scintilla. E le scintille... bruciano i confini.
Aela trattenne le lacrime.
— Vorrei poterti abbracciare…
— Non puoi. Ma puoi ricordare. Ricordi quella foglia che tenevi sotto il cuscino da bambina? L’hai trovata sotto l’Ughun… perché lui ti aveva già scelta. Solo non eri pronta a capirlo. Ma ora lo sei. —
— Grazie, nonnino… Allora… andrò. —
Il nonno svanì con un sorriso.
E Aela, per la prima volta, non tremava più.
