1. Un vicolo buio
La notte era senza luna, avvolgendo la città in un’oscurità spessa come velluto.
Il vicolo era stretto, silenzioso, quasi assopito, un luogo dimenticato dai più, ma familiare a chi viveva ai margini, circondato da muri di mattoni scuri coperti di graffiti. I lampioni tremolanti gettano ombre irregolari sul terreno umido, mentre il silenzio era rotto solo dal suono distante di una moto che si avvicinava.
Heda camminava con passo sicuro, il giubbotto di pelle scuro che aderiva perfettamente al suo corpo come un armatura, mentre il rumore dei suoi stivali rimbombava leggero sulle pozzanghere che riflettevano bagliori rossastri. Aveva appena lasciato una gara clandestina, l’adrenalina ancora pulsante nelle vene. Si addentrava nel vicolo per evitare le strade principali, preferendo l’ombra all’attenzione indesiderata. Ma qualcosa la fece rallentare.
Un brivido lungo la schiena.
Non era sola.
Il rumore di passi alle sue spalle era lieve, quasi impercettibile, ma il suo istinto era affilato come una lama. Fece per accelerare il passo, quando il rumore si fece più vicino.
Da dietro, emersero le figure minacciose di tre uomini, guidati da Ray Ashborne. Il leader dell’organizzazione criminale aveva uno sguardo di ghiaccio e un sorriso calcolato.
“Signorina Montclair,“ disse con una voce calma ma piena di minaccia.
Indossava un completo troppo elegante per quel posto, la sua figura snella e slanciata avvolta in un’aura di pericolosa sicurezza.
Le rivolse un sorriso che non aveva nulla di rassicurante.
“Mi chiedo se il suo prezioso cognome ti proteggerà stasera.”
Heda, nonostante il cuore che batteva forte, non mostrava paura.
“Ti conviene andartene ora, Ashborne, se non vuoi pentirtene.”
Ray ridacchiò con un’espressione quasi divertita, avanzando di un passo.
“Mi piace il tuo spirito, Heda. Ma non sei nella posizione di dare ordini.”
Proprio quando la tensione raggiunse il culmine, un altro suono ruppe il silenzio. Passi. Fermi e decisi. Il rumore di stivali sul selciato. Da un’ombra più profonda emerse una figura alta e imponente.
Aiden Silverthorn.
La luce fioca si rifletteva nei suoi occhi verde smeraldo, taglienti come lame. Indossava un giubbotto scuro, aperto sulla camicia sbottonata al collo, mentre le mani infilate nelle tasche tradivano una calma solo apparente.
“Che spettacolo interessante.” commentò con un sorrisetto sarcastico “Ma direi che Heda è mia nemica, non tua, Ashborne.”
Ray alzò un sopracciglio, studiandolo con attenzione.
“Interessante. Silverthorn che gioca all’eroe?”
Aiden inclinò la testa, il sorriso che si allargava.
“Non confondere l’eroismo con il piacere di rovinare i tuoi piani.”
Heda, confusa ma furiosa, lo fissò.
“Non ho bisogno del tuo aiuto,” ringhiò, lanciandoli un’occhiata carica di rabbia.
Aiden si girò verso di lei, gli occhi brillanti di divertimento.
“Questo lo vedremo.”
Non aspettava il suo permesso. Non lo aveva mai fatto.
Ray Ashborne osservò Aiden con il suo solito sorriso gelido, ma nei suoi occhi brillava una scintilla di irritazione.
“Silverthorn,” disse lentamente, come se stesse assaporando il nome “Non ti riguarda. Ho una questione personale con lei.”
Aiden non si lasciò intimidire, e il suo sguardo penetrante non si staccava da quello di Ray.
“Tutto ciò che riguarda i Montclair riguarda anche me. Sai, l’eterno gioco delle famiglie.”
Poi si girò verso Heda, con un sorriso sarcastico.
“Consideralo un favore non richiesto.”
Heda lo fulminò con lo sguardo, ma rimase in silenzio. Intuiva che, nonostante l’odio che provava per lui, Aiden poteva essere l’unica possibilità di uscire viva da quel vicolo.
Ray rimase in silenzio per un attimo, poi fece un cenno ai suoi uomini, tre figure imponenti che sembravano statue d’acciaio pronte a muoversi.
“Eliminate Silverthorn. La ragazza viene con me.”
Il primo uomo avanzò con una spranga di metallo.
Aiden non si mosse.
Aspettò.
L’uomo sollevò l’arma per colpirlo.
Aiden si spostò all’ultimo con un movimento fulmineo, afferrando il polso del nemico e torcendolo con forza, costringendolo a mollare la spranga che cadde con un rumore metallico.
Poi, senza esitazione, gli assestò un pugno nello stomaco e un calcio che lo mandò a sbattere contro il muro con un tonfo sordo.
Il secondo uomo si lanciò su di lui, ma Aiden si abbassò, colpendolo prima di spingerlo all’indietro con una spallata.
Nel frattempo, Heda si era già mossa, cercando di trovare un’apertura per fuggire, ma Ray le bloccò il passaggio.
“Non pensare di andartene così facilmente, piccola Montclair.” disse Ray, afferrandola per il braccio.
Heda lo fissò con odio.
“Toglimi le mani di dosso.”
Ray rise.
“Oh, ma abbiamo così tanto di cui discutere…”
Heda, però, non era una vittima passiva. Con un movimento rapido, affondò il gomito nello stomaco di Ray con una precisione brutale, facendolo vacillare per un istante.
Aiden si voltò di scatto, vedendo la scena.
I suoi occhi si strinsero.
“Sei proprio testarda,” ringhiò, mentre si liberava dell’ultimo uomo con un calcio alla gamba.
Poi, senza darle scelta, afferrò Heda per il polso e la tirò con sé.
“Lasciami. Aiden!” protestò, dimenandosi.
Ma Aiden non si fermò.
“Taci e cammina.”
La sua presa era ferma, inamovibile. La trascinò fuori dal vicolo con la sicurezza di chi era abituato a decidere per tutti.
Ray Ashborne si rialzò, toccandosi le costole con un ghigno.
“Silverthorn…” sussurrò, osservandoli scomparire nella notte.
Non era finita.
Non ancora.
Ma in quel momento, Aiden e Heda erano già lontani.
E la battaglia tra di loro era appena cominciata.
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