2 Capitolo
«Pronta a partire tesoro?»
Mi chiede mia zia, mentre do un' ultimo sguardo a questa casa: in passato era una casa in cui volevo stare, piena d'amore e serenità, invece adesso voglio solo scappare da qui, un posto occupato da brutti ricordi e traumi.
«Sì zia, sono pronta»
Dico voltandomi verso di lei, sorridendole un poco titubante ed insicura, mentre cerco di lasciarmi dietro la marea di sensazioni che cercano di rapirmi.
Mia zia è una donna molto dolce e gentile, mi ha accolto come una figlia, mentre mia cugina Jennifer ormai è come una sorella.
Sono identiche, tranne per il fatto che mia zia ha i capelli marrone scuro e mia cugina di un marroncino chiaro, tendente al biondo se vogliamo essere più precise.
Salgo in macchina con la donna per andare in aeroporto, consapevole che fra poco tutto sarebbe cambiato.
Una volta arrivate prenderemo un aereo diretto a New York poi ci sarà un taxi che ci porterà nella nostra nuova casa, dove ci sono tutte le nostre cose.
«Vedrai che staremo bene tesoro»
Dice cercando di rassicurarmi, con un sorriso caldo ed amorevole stampato sul volto, continuando a guardare la strada.
«Lo so zia, mi farà bene stare lontana da qui, ma non del tutto.
Non potrò più andare così spesso al cimitero a portarle dei fiori, a parlare con lei.
Vorrei solo che non fosse mai arrivato quel giorno, che lei fosse ancora qui.
Mi manca tanto»
Dico con tono nostalgico, ripensando a tutti i momenti trascorsi con lei in quella casa e al giorno della sua morte.
Il solo pensiero mi fa venire la pelle d'oca e battere il cuore all'impazzata, come se avessi preso un grande spavento.
«Manca a tutti tesoro, ma vedrai che la vita ti sorriderà di nuovo prima o poi.
So bene che eri molto affezionata ai tuoi genitori, ma stai tranquilla.
Devi essere positiva e cercare di guardare avanti»
Non le rispondo non avendo nulla da dire, semplicemente mi limito a fissare la strada, con la mente occupata da mille timori e pensieri.
In aereo metto le cuffiette e ascolto la mia canzone preferita, quella che mi cantò mia madre al mio decimo compleanno.
Questa canzone mi aiuta ad avere nuove speranze e a sentirla vicina nonostante lei sia lontana: dice che i sogni sono possibili, ma non so se crederci o meno.
All'inizio il mio sogno era di avere una bella famiglia e vivere felici, ma la vita me lo ha distrutto e dopo ciò desideravo andare via da questa città, e andare vivere a New York e si è realizzato.
Ora sogno solamente di superare questi traumi e di ricominciare una nuova vita per un nuovo futuro.
*
Prendo la mia valigia dal nastro trasportatore e mi affretto ad uscire, raggiungendo in pochi secondi mia zia che sta già salendo in macchina.
«Dove le porto signorine?»
Chiede l'autista uscendo dal parcheggio dell'aeroporto, facendo non so cosa con la radio e mettendo il cellulare a posto.
Questa musica è pessima e per salvare le mie orecchie da questa tortura metto le cuffiette, tenendo comunque un volume basso.
Non serve a tanto, ma quel che basta è sufficiente per non sentire letteralmente della spazzatura.
«Ehm... aspetti un attimo che non trovo il bigliettino»
Dice iniziando a frugare nella sua borsa strapiena di cose e se non conoscessi mia zia, direi che ha fregato la borsa a Mary Poppins.
«Ah eccolo qui!
Ci porti al quartiere "Street King" per cortesia»
Appena sente il nome del quartiere in cui siamo dirette l'autista frena di colpo e per poco il mio cellulare non finisce sul parabrezza della macchina
«Ehi ma sa guidare questo rottame?
Cerchi di stare un po' più attento con quel freno»
Dico con tono irritato e sbuffando rumorosamente, mentre mia zia si gira guardandomi male, ma poco mi importa, in fondo ho ragione.
«Se posso chiedere come mai state andando al "Street King"?»
Chiede l'autista con tono curioso e confuso, facendo ripartire l'auto molto lentamente.
«Oh beh andiamo a viverci»
Dice allegramente mia zia, rimanendo comunque confusa dalla reazione dell'autista e attirando anche la mia di attenzione.
«Voi non siete di qui vero?
Non sapete dove siete capitate»
Dice con un tono quasi disperato, stuzzicando la mia curiosità, tanto che tolgo le cuffiette per sentire quello che ha da dire.
«Quello è il quartiere peggiore di New York.
All'inizio non era così, era il miglior quartiere in tutta la città, ma un giorno ci si trasferì il capo della mafia Russa e le cose sono cambiate.
La loro discendenza, cioè i figli, hanno pieno controllo su tutta la città e ora il capo mafioso si è candidato come sindaco.
Di questo passo la città cadrà a pezzi»
Okay, ricapitolando: nel quartiere dove andremo a vivere c'è un capo mafioso con la sua famiglia, dove sono loro a dettar legge e nessuno può opporsi?
Stuzzicante ed interessante direi e per questa si può definire un'avventura in cui bisogna tenere gli occhi aperti.
«Beh, ormai l'unica cosa che possiamo fare è stare attente»
Metto di nuovo le cuffiette nelle orecchie e ascolto la stessa canzone che stavo ascoltando in aereo, mentre mia zia continua a parlare con l'autista.
Dopo mezz'ora di tragitto arriviamo davanti a casa nostra ed a prima vista non è quel granché.
E' la tipica in stile americano, nulla di più e nulla di meno, anche se conoscendo mia zia mi aspettavo qualcosa di più... particolare se proprio lo devo dire.
Inizio a scaricare i bagagli e li porto davanti alla porta, aspettando che mia zia apra per farmi entrare.
Cammino per la casa, guardandomi intorno incuriosita e noto che sulle porte ci sono dei nomi e vado in quella dove c'è scritto il mio.
Apro la porta e i miei occhi rimangono incantati, ma allo stesso tempo il mio cuore si ferma in quella stanza.
Questo è il mio posto ideale, il mio angolo di pace.
Una stile semplice e coerente, adatto per una ragazza romantica, ma non troppo perché altrimenti non sarei io.
Mamma lo sapeva e mi aveva promesso che saremo andate a comprare questa stanza come premio per i miei ottimi voti a scuola, ma purtroppo non si è potuto fare.
Sospiro di tristezza cercando di cacciare via i brutti ricordi e poso la valigia sul letto, iniziando a sistemare la mie cose nella mia nuova stanza.
«Ti piace la tua stanza tesoro?»
Chiede premurosa, posando una mano sulla spalla ed io sobbalzo dallo spavento non appena la sua mano si posa sulla mia spalla, dato che non l'ho sentita entrare.
«Tranquilla, sono io»
Mi posa un bacio sulla guancia mentre mi stringe la fra sue braccia, per poi sedersi sul letto.
«Scusa, ma ti non ti ho sentita entrare.
Comunque mi piace questa stanza, è la stessa che avevo visto con la mamma.
Guardandomi intorno la vedo ovunque e la sento vicino a me»
Frugo nella valigia alla ricerca dell'ultima foto che ci siamo fatte insieme e finalmente la trovo.
Tolgo un poco di polvere e la prendo fra le mani, guardandola con gli occhi pieni di nostalgia.
Quelli sì che erano bei tempi, belli veramente, ma non torneranno più e devo imparare a convivere con questa consapevolezza.
Mi guardo intorno attentamente e noto un comodino accanto al mio letto e senza pensarci due volte poso lì la foto della mamma, così quando mi sveglio lei è la prima persona che vedrò al mattino.
«Lo è tesoro, non ti abbandona mai.
E poi questa stanza mi sembrava l'ideale per farti sentire a casa»
«Ci sei riuscita zia»
Ridacchia e mi dà un bacio sulla fronte, iniziando ad aiutarmi a mettere un poco in ordine.
Sta per dire qualcosa, volendo iniziare una conversazione, quando suona il campanello.
«Vado a vedere chi è»
Annuisco e scende al piano di sotto, mentre svuoto del tutto la valigia e la ripongo sotto il letto.
«Alexa scendi!»
Sento urlare da mia zia al piano di sotto, mentre sento anche un brusio di voci a me totalmente sconosciute.
Possibile che non facciamo in tempo neanche ad entrare che subito arrivano i vicini a rompere le scatole?
Sbuffo rumorosamente e alzo gli occhi al cielo, alzandomi dal letto.
Chiudo la porta e scendo fino in soggiorno, dove trovo mia zia sul divano intenta a parlare con una signora e una ragazza che, probabilmente, ha la mia età.
«Tesoro eccoti.
Loro sono le nostre vicine di casa: Elena e sua figlia Kenia»
Mi avvicino e porgo la mano a entrambe, in segno di educazione, anche se vorrei cacciarle di casa a pedate.
Io volevo solo dormire, cosa ho chiesto di non fattibile?
«Sono Alexa molto piacere»
«Scusate il disordine.
Elena posso offrirvi qualcosa?
Un succo, caffè?...»
Mia zia fa per continuare a parlare, ma subito Elena la precedere e con un gesto della mano la ferma.
«No no, grazie Sabina»
«Alexa vuoi venire con me a fare un giro?
Così ti faccio vedere il quartiere e possiamo conoscerci meglio»
Mi propone Kenia con tono gentile e subito penso che potrei approfittarne per vedere se quel che ha detto il tassista è vero, anche magari per soddisfare quel poco di curiosità che avevo prima.
Lancio uno sguardo a mia zia e lei annuisce, dandomi in silenzio il permesso per uscire e senza perdere tempo afferro le chiavi e chiudo la porta alle mie spalle.
*
Ormai è da un'ora che stiamo ridendo scherzando, sedute su una panchina poco distante da casa.
Di solito non mi metto a ridere o a scherzare con una persona che conosco da poco, ma quando quella persona ha un carattere del genere, come quello che ha Kenia, è praticamente impossibile non farlo.
Non è una di quelle ragazza che se la crede o altro, anzi, è molto gentile e anche altrettanto simpatica, almeno sono queste le prime apparenze.
Penso che abbia poca autostima di se stessa perché è veramente una bella ragazza, ma se non è lei a rendersi conto di quello che possiede, io non posso fare altro se non incoraggiarla a credere in se stessa.
La vedo irrigidirsi di colpo quando guarda un gruppo di ragazzi arrivare verso di noi, mentre il suo volto si tramuta in una maschera di paura.
Si avvicinano a noi a passi lenti e uno di loro ci guarda con un ghigno a dir poco ridicolo, fino a che non circondano la nostra panchina.
Kenia si butta a terra di scatto e si inginocchia ai loro piedi, con la testa posata a terra, mentre la guardo confusa.
Mi fa segno di fare come lei, ma non le do ascolto e rimango nella mia posizione, guardando ad uno ad uno i ragazzi intorno a noi.
Un silenzio assordante cade fra di noi, condito con un continuo scambio di sguardi fra me ed i ragazzi.
«Che cosa volete?»
Chiedo con tono acido, sentendo un senso di irritazione scorrermi nelle vene e loro in risposta ghignano scuotendo il capo, fino quando uno di loro prende parola.
«Questa panchina è nostra, perciò sgomberate»
Ma chi si credono di essere questi palloni gonfiati, idioti senza cervello?
«Non c'è scritto nessun nome sopra, quindi non vedo perché dovrei andarmene.
Non rompete le scatole e andate da un'altra parte, altrimenti vi garantisco che nel giro di pochi secondi sarete tutti signorine»
Dico con tono minaccioso, rivolgendo uno sguardo di sfida al ragazzo che ha parlato poco prima.
Di scatto vedo Kenia alzarsi e mi prende per un braccio, cercando di trascinarmi via da quel posto.
«Alexa andiamocene, per favore!»
Mi supplica con tono terrorizzato, mentre il suo corpo è tempestato di brividi ed i suoi occhi si riempiono di lacrime.
«Perché?
Loro non sono nessuno per dirmi cosa fare.
Ho sempre ragionato con la mia testa e di certo non smetterò per un gruppo di bambini prepotenti, cosa che dovresti fare pure tu!»
Ignora le mie parole e cerca di strattonarmi ancora una volta, ma il ragazzo di prima la prende per un braccio, buttandola a terra in malo modo.
Adesso siamo l'uno di fronte all'altro e nessuno che ci divide.
Il mio respiro inizia ad accelerare leggermente e il mio cuore a battere forte, ma cerco di darlo a vedere il meno possibile.
«Sei nuova della città vero?»
Mi chiede accarezzandomi la guancia con uno dito, ma subito mi sottraggo al suo tocco, come se scottasse e lo guardo in malo modo.
«Non sono cose che ti riguardano»
«Ti consiglio di moderare i toni e di rispondere alla mia domanda»
Ringhia con tono minaccioso, avvicinandosi di un passo ed io istintivamente indietreggio per mantenere comunque le distanze.
Non mi piace avere troppo contatto con loro: non vorrei mai che mi attaccassero la stupidità.
«Altrimenti?»
Chiedo con tono di sfida, ghignando come so meglio fare e incrociando le braccia sotto il seno.
Mi guarda intensamente negli occhi e con una lentezza di una lumaca avvicina il suo volto al mio collo, abbassandosi alla mia altezza.
Sento il suo fiato caldo sulla mia pelle, la quale si trasforma in pelle d'oca, ma non mi sottraggo e rimango nella mia posizione, mentre ridacchia divertito.
Cerco di mantenere la calma e di respirare nel modo meno rumoroso possibile.
Di scatto afferra con forza la cute dei miei capelli e li strattona fortemente avvicinandomi al suo volto, mentre gemo istintivamente dal dolore.
Ghigna malignamente e carica una mano pronto a schiaffeggiarmi, ma il suo polso viene catturato da una presa ferrea appartenente ad una persona alle sue spalle.
Si volta tenendomi ancora per i capelli, mentre cerco di fargli allentare la presa per alleviare il dolore alla cute.
«Che cosa ci fate voi qui?
E con quale coraggio picchiate una del mio quartiere?»
Chiede una voce roca, profonda ed intensa allo stesso tempo, così tanto da far accapponare la pelle a chiunque.
«Lasciala»
Ordina con tono autoritario e lo vedo stringere la presa sul polso del ragazzo, il quale mi lascia e subito mi allontano di scatto, massaggiandomi freneticamente la cute dolorante
Alzo lo sguardo, quasi per sbaglio, e subito i miei occhi hanno un incontro galante con un paio di occhi blu scuri intensi, facendo arrestare i battiti del mio cuore.
Mi prendo qualche secondo per studiarlo meglio.
I capelli sono neri come la pece e sembrano così morbidi, poi vogliamo parlare della sua altezza smisurata?
Se ci mettiamo a confronto sembro una bambina di cinque anni.
Ad occhio e croce potrei dire che gli arrivo alla pancia e neanche con dei tacchi potrei arrivargli al viso.
«Axel, ma che piacere rivederti»
Dice con tono ironico il capo della banda, strattonando il polso dal ragazzo che ho appena scoperto chiamarsi Axel.
Perché il suo nome è così simile al mio?
Axel alza la mano e lo schiaffeggia forte senza preavviso, lasciandogli il segno della mano sulla guancia.
«Te lo ripeto.
Cosa ci fate qui e come vi permettete di picchiare una ragazza del mio quartiere?»
Chiede con voce più alta, facendo notare la intemperanza che gli ha fatto raggiungere con solo quel gesto.
«Devi insegnarle un po' di cose sul fatto di obbedire e di chiudere quella boccaccia»
Dice ammiccando a me, ignorando completamente la sua domanda, ma di certo non rimango con le mani in mano a farmi dire delle cose da una scimmia senza cervello.
A passo svelto mi avvicino a lui e con uno strattone lo prendo per il cappuccio della felpa, voltandolo verso di me.
Non gli do il tempo necessario per reagire o per pensare che faccio scontrare il mio ginocchio con il suo inguine e lo lascio cadere a terra, mentre cade in ginocchio e si copre con entrambe le mani la parte dolorante.
«Stammi bene a sentire stronzetto che non sei altro.
Se hai qualcosa da dire su di me lo dici alla sottoscritta e non ad altri, perché gli altri non sono io.
Vattene che fai più bella figura, visto che finora hai fatto solo cagare»
Non appena pronuncio quelle parole si rialza in piedi come una furia e con una mano mi afferra per il collo, stringendo forte la presa.
Rialza la mano per schiaffeggiarmi ancora una volta, ma Axel lo ferma nuovamente.
«Questo non è il tuo territorio e non sei il benvenuto Samuele, perciò ti invito ad andartene con le buone o in caso contrario sono pronto a passare alle maniere forti.
E sai bene che posso farlo»
Samuele continua a guardarmi con occhi fumanti di rabbia, ma poco dopo sogghigna lasciando la presa e mi spintona all'indietro, facendomi quasi perdere l'equilibrio.
«Non ti scaldare me ne vado, ma con te»
Alzo lo sguardo e incrocio i suoi occhi pieni di malizia, schifosa quanto bastarda.
Milioni di piccoli brividi di paura si fanno spazio sulla mia pelle, facendomi venire la pelle d'oca.
«Ci rivedremo presto zoccoletta»
Rivolge u ultimo sguardo ad Axel ed a passo lento se ne va accompagnato da quel gruppo di bufali, mentre lo sento ridere malignamente e i brividi si fanno ancora più intensi.
Le sue parole non lasciano presagire nulla di buono e l'idea di essermi già messa nei guai non mi alletta per niente.
«Stai bene?»
Mi chiede occhi blu alle mie spalle, facendomi sussultare dallo spavento.
Tenta di prendere la mia mano con la sua, ma subito tiro indietro la mano e di conseguenza faccio anch' io un passo indietro
«Sì sto bene, grazie»
Mormoro tenendo lo sguardo basso, mentre lo vedo avvicinarsi a me con le mani infilate nella tasca dei jeans.
«Hai fegato, lo sai?»
Mi chiede con tono falsamente dolce, di chi vuole solo aprire il cofano alle ragazze ed io non lo sopporto: so a malapena il suo nome e già mi sta sulle scatole, essendo una persona assai viscida e vanitosa.
«Non ho bisogno che arrivi tu e mi dici che ho fegato.
Credo di conoscere me stessa molto meglio di te bamboccio»
Nel suo volto si espande uno sguardo sorpreso, ma in pochi secondi si trasforma nello sguardo serio che aveva poco prima.
«Senti bella, quello di prima è un totale coglione, ma in parte ha ragione.
Devi imparare a tenere a freno quella lingua, soprattutto con me»
«Faccio quello che voglio se non ti è chiaro.
Vuoi per caso un disegnino?»
Gli chiedo con tono ironico e sorridendo appena, incrociando le braccia sotto il seno.
«Non sai con chi hai a che fare bambina.
Io sono il figlio del king!»
Dice guardandomi dall'alto con fare potente, ma riesce solo a sembrare più ridicolo: quindi lui è il figlio del capo mafioso che tutti temono e di cui tutti parlano.
«Adesso hai paura di me, non è vero?»
Sogghigna divertito, prendendo una mia ciocca di capelli fra le sue dita, ma subito tolgo la sua manaccia dai miei capelli.
«Mi dispiace deluderti, ma non ho paura di te.
Per me sei una persona come le altre nonostante la tua posizione sociale e ti tratterò come mi pare e piace.
E se la cosa non ti sta bene ti conviene fartene una ragione mio caro»
Mi avvicino al suo volto e gli tiro due piccoli schiaffetti sulla faccia, per poi andare via soddisfatta delle mie scoperte.
