Capitolo 6: L'éclat sotto la cenere
Kael
Mi ha chiamato.
L'ho sentito nella mia carne, ancor prima di udirlo.
Un brivido che attraversa le ossa. Un lampo che squarcia le tenebre.
Un nome inciso nella notte: Kael.
Non è un suono. Non è una parola.
È uno shock. Un respiro. Un tremore.
Il tipo di chiamata che non si può ignorare.
Il tipo di voce che si sente anche quando il cuore non batte più.
Il tipo di legame che si pensava distrutto, spento... e che rinasce con violenza.
Sono nelle rovine del vecchio santuario.
Dove i miei antenati hanno bruciato gli ultimi patti.
Dove le fiamme hanno consumato ciò che rimaneva di fede.
La pietra è nera, carbonizzata. Il suolo scricchiola sotto i miei passi. L'aria sa di cenere e di rabbia.
Tutto qui è morto, ma nulla è davvero scomparso.
Le ombre vivono ancora, sotto la superficie.
Sussurrano. Vigilano.
E lei mi attraversa. Ancora.
Aelya.
Mi ha visto.
Ha riconosciuto qualcosa in me.
Un'eco. Una frattura. Una fessura troppo antica per essere umana.
E invece di abbattermi, ha esitato.
È vacillata.
La rivedo, gli occhi sbarrati, la mano serrata sulla sua arma.
Il sangue pulsava alle sue tempie.
Tremava.
Non per paura.
Per verità.
Quella che scatta come una frusta.
Quella che distrugge le mura erette per sopravvivere.
Quella da cui non si può fuggire, nemmeno mentendo a se stessi.
Siamo simili.
Due pezzi disgiunti di un unico ricordo.
Due ferite aperte.
Due schegge di un mondo troppo vecchio per ripararsi.
Chiudo gli occhi.
La scaglia nera brucia contro la mia pelle.
Non dovrei averla. Non mi appartiene.
È nata da un antico giuramento. Da una magia che non controllo.
Ma mi ha scelto. Mi ha tenuto in vita.
Ha riconosciuto in me un portatore. Un sopravvissuto.
Forse un traditore.
— Non era per te, Kael, dice una voce dietro di me.
Non mi giro.
Non ne ho bisogno.
Lo so già.
Seth.
Il custode. Quello che sa. Quello che giudica.
Quello che non ha mai creduto in me.
— Non avresti dovuto rispondere. Sai cosa risveglia.
Riapro gli occhi.
La mia voce è roca, troppo calma. Una calma che precede la tempesta.
— Mi ha chiamato.
— Non era te che chiamava. Era Lys, attraverso di te. Questo legame non è tuo.
Stringo i pugni.
Il gusto del metallo invade la mia bocca.
La voglia di urlare, di mordere, di rompere.
Ma rimango immobile.
Perché capisco cosa vuole dire.
E rifiuto di accettarlo.
— E se lei vedesse qualcos'altro? Qualcosa che anche tu rifiuti di vedere?
Seth ride. Una risata senza gioia, senza calore.
— Vuoi credere a questo? A una redenzione? A una seconda possibilità? Pensi che possa amarti? Che possa salvarti?
Mi giro lentamente.
I miei occhi incrociano i suoi.
Freddi. Inflessibili.
Ma c'è una paura dietro, che nemmeno lui può nascondere.
Una paura che io oltrepassi quel confine.
Una paura che quel legame rinasca.
Una paura che io cambi qualcosa.
— Non voglio che mi ami, dico.
Voglio che comprenda.
Voglio che veda ciò che ho visto.
Ciò che ho perso.
Ciò che ho dovuto diventare.
Cammino verso i resti del cerchio di ossidiana.
Ombre strisciano tra le pietre.
Le voci antiche sussurrano ancora.
Mi chiamano con altri nomi.
Nomi che ho dimenticato. Nomi che mi giudicano.
Tendo la mano.
La pietra è tiepida. Vivente, quasi.
Palpita sotto le mie dita.
E rivedo Lys.
I suoi capelli come una scia di fuoco.
Le sue mani macchiate di sangue.
I suoi occhi... chiusi.
Il momento in cui si è eretta tra me e il nulla.
Il momento in cui ha dato tutto. Per me. Per loro.
E dietro di lei, Aelya.
Stesso sguardo.
Stessa sfida nella postura.
Stessa frattura nel cuore.
Ma non è Lys.
È altro.
È viva.
E anch'io sono altro.
Non sono più l'arma.
Non sono più il figlio di sangue.
Sono colui che resta. Colui che sopporta.
Devo rivederla.
Non per proteggerla.
Non per assolvermi.
Non per rivivere.
Ma per andare fino in fondo.
Di ciò che è.
Di ciò che sono.
Di ciò che siamo stati.
E di ciò che potremmo ancora diventare.
— Andrò? chiede Seth. Stai davvero per attraversare il confine?
Annuisco. Senza una parola.
— Sai che non tornerai.
— Forse no.
Ma mi aspetta.
Lasciò le rovine.
Prendo il sentiero proibito, quello che divora la pelle e la memoria.
La via dei banditi.
Quella che nessun vampiro ha osato riprendere da generazioni.
Quella che cancella il nome, la stirpe, il ricordo.
Il vento si alza. Mi strappa un gemito.
Ma continuo.
Perché mi ha chiamato.
E io, rispondo.
Non come uomo.
Non come vampiro.
Ma come legame.
Come frammento.
Come verità.
E se ciò che risvegliamo insieme deve bruciare questo mondo fino alle sue ceneri...
Allora bruci.
Sono pronto.
Sono già fuoco.
Sono già rovina.
E nei suoi occhi, non vedo una fine.
Vedo un inizio.
