Capitolo 7
Mi accompagnarono in una stanza dotata di bagno e doccia, e mi fu dato un cambio d’abito.
Quando tirai la linguetta di quella custodia nera ebbi un fremito. Un completo Armani in total black mi abbagliò con la sua classe, la sua eleganza.
Avevo chiesto se fosse in prestito e la signorina era scoppiata a ridere.
“Se vince se lo può tenere” aveva replicato, chiudendo la porta.
Mi scaraventai nella doccia, avevo solo un quarto d’ora di tempo, poi avrei incontrato Jade Forrester.
Il suo fascino era noto a tutti nell’ambiente dello Show Business, si raccontava che le sue sfilate fossero dei veri e propri spettacoli e che il pezzo forte fosse la sua entrata in scena durante gli stessi.
Era il suo carisma a farla da padrona, rapiva tutti quanti; si diceva che Jade Forrester, solo con la sua presenza, fosse in grado di ammaliare chiunque, e io lo avrei incontrato tra meno di un quarto d’ora!
Indossai l’Armani e quasi non mi riconobbi riflesso allo specchio.
Avevo frizionato i capelli con l’asciugamano cercando di asciugarli, senza accorgermi che accanto allo specchio era alloggiato un phon.
Imprecai come un idiota e il risultato fu che nei due minuti che mi mancavano lo utilizzai per asciugarli meglio che potevo.
Uscii dal bagno, la signorina che mi stava attendendo mi squadrò da capo a piedi, “Niente male” sussurrò “Grazie” replicai intimidito.
Mi accompagnò di fronte ad una massiccia porta in legno chiaro, bussò, si rivolse a me “Buona fortuna” disse, quindi se ne andò.
La porta si aprì guidata da un telecomando a distanza, restai basito per un attimo poi varcai la soglia.
Mi trovai in un ambiente ampio completamente in penombra a causa della luce bassa e fioca; gli splendidi arazzi catturarono irrimediabilmente la mia attenzione, così come i tappeti di prestigio, che sembrarono attutire i miei passi quasi mi trovassi in un campo a diciotto buche.
Mi costrinsi a schiarire la voce, forse fu un modo per allontanare l’ansia che mi stava attanagliando, o magari desiderai solo attirare l’attenzione perché proprio in quell’istante una sagoma china sull’enorme scrivania alzò il viso.
Un viso duro, maschio, strabiliante.
Lo strano sorriso che fece al momento mi parve di più una smorfia, poi due occhi inquietanti s’incollarono al mio corpo, erano terribili ma dannatamente disarmanti.
Trasudai intimorito, mi guardai intorno mascherando una tensione che sembrava schiacciarmi, eppure non riuscii a distogliere lo sguardo da quel volto affascinante; aveva labbra dischiuse in un sorriso crudele.
Ad un tratto si dirizzò come un cobra pronto a colpire, “Siediti” ordinò con una voce profonda, dalla tonalità bassa.
Lo feci prendendo posto di fronte a quell’immensa scrivania e l’occhio scivolò inesorabilmente sul raffinato modello che portava al polso; un Rolex raro e completamente d’oro, a conti fatti un valore inestimabile.
Guardai oltre notando le mani curate e gestite probabilmente da un professionista della manicure e infine ammirai la camicia pennellata su misura per quel torace scolpito e tonico.
Sarà stato pure eccentrico, ricco e famoso, avrebbe potuto permettersi qualsiasi cosa, ma l’idea che mi aveva dato del tu, mi aveva un po’indisposto.
“Bouer non è un cognome inglese” dichiarò, la sua non era una domanda, era un’affermazione, “È tedesco. I miei si sono trasferiti prima che nascessi” risposi.
Lo vidi corrugare la fronte, quindi mi scrutò attentamente e fu come se il mio corpo si sciogliesse.
“Ti farò solo poche domande, non mentire e sii semplicemente te stesso, sono stato abbastanza chiaro?”
Deglutii, ero nella merda più completa.
“Sì, Mister Forrester” mi costrinsi a dire, sperando che non mi chiedesse delle mie tendenze sessuali, perché agitato com’ero, avrei anche potuto confessare, come un idiota, che la sua presenza mi faceva rizzare il cazzo come da tempo non mi succedeva.
“Perché ti sei candidato? E non dirmi le solite stronzate del tipo ‘desidero il successo per uscire dalla mia merdosa vita’ oppure ‘nessuno mi hai mai dato una chance ma io valgo molto di più degli altri’ perché non voglio sprecare il mio tempo.”
Cazzo! E adesso che aveva elencato esattamente le mie motivazioni cosa mi restava?
Niente, non mi restava niente!
Eppure, un’idea semplice ma efficace mi raggiunse proprio in quell’istante.
“Perché ho un dubbio” risposi semplicemente.
Lui restò in silenzio, iniziai a sudare ma dalla sua espressione capii che non gli era dispiaciuta.
“Quale dubbio” chiese curioso, “Quello di capire se ce la posso fare.”
“E’ un bene che sia un dubbio, motiva l’azione per trasformarsi in certezza” affermò con voce ferma “e tu credi di farcela?” proseguì, alzandosi in piedi, mostrando una linea perfetta disegnata da fianchi stretti, i cui pantaloni Armani morbidi sui fianchi, ne esaltavano la figura.
“Sono qui per scoprirlo Mr. Forrester.”
“Vieni” disse, indicandomi il divanetto in tinta panna nel centro del salone.
Mi invitò a sedere, lui si accomodò di fronte e si accese un cubano.
Il profumo di quel tabacco pregiato mi avvolse immediatamente, tirò un paio di boccate senza mai staccarmi gli occhi di dosso.
Sentii il pene gonfiarsi e per un attimo temetti che si accorgesse che stavo avendo un’erezione incontenibile.
“Sai perché si chiama Seven Days?” mi chiese con un tono più pacato, “In realtà no, ma posso immaginare che si riferisca ad un lasso di tempo che ha un significato.”
“E tu lo conosci questo significato, Luke?” ogniqualvolta scandiva il mio nome, sentivo le campane nei timpani, lo pronunciava così bene che mi piaceva da morire.
“No, signore” risposi, cercando di ricompormi.
“Sette giorni per scoprire se hai la stoffa per sostituirmi, è semplice. Se ti sceglierò lo scoprirai presto” annunciò, poi allargò le braccia sullo schienale del divano, mostrando i pettorali sodi sotto quella camicia che lo vestiva come una seconda pelle, infine le sue labbra si aprirono in un sorriso disarmante.
Quei gesti mi colpirono come una sferzata nelle palle!
Il mio cazzo divenne un’asta ingovernabile, mi mossi accavallando le gambe, dovevo darmi una calmata, poi presi fiato e attesi che il mio cuore riprendesse a battere con ritmo regolare.
“Ho ancora una domanda” continuò.
La saliva scese troppo velocemente, lui se ne accorse ma si crogiolò in quel potere che aveva, che manifestava; la mia vita era nelle sue mani e lui, il bastardo ricco e bello come un dio, lo sapeva benissimo!
“Hai qualcosa da confessare che non diresti mai a nessuno?”
Eccola la domanda a trabocchetto, quella in grado di scaraventarmi fuori dalla porta in un battito di ciglia, ma io non volevo cedere, non più.
Era stupido, non conveniente rivelargli la mia natura gay, per una volta seguii il mio istinto di sopravvivenza che urlava a squarciagola di mentire, mentire spudoratamente.
E anche se le sue parole di poco prima risuonarono nella mia mente ‘ non mentire e sii semplicemente te stesso’ decisi di non ascoltarle, preferendo la mia incontrollabile idiozia
“No”, lo dissi con un tono secco, convinto, vero.
“Puoi andare. C’è una camera d’albergo prenotata a tuo nome all’Hilton, ci vediamo domani in tarda mattinata” ordinò.
All’Hilton? L’albergo più lussuoso di New York? Cazzo era un sogno e per una notte lo avrei assaggiato.
“Grazie Mr. Forrester” gli porsi la mano e lui ricambiò il gesto stringendomela vigorosamente.
Quel contatto palmo a palmo mi scatenò dentro un’emozione incontenibile, cercai di abbassare lo sguardo, ma i suoi occhi mi catturarono inesorabili.
Vidi un’ombra attraversare le sue iridi, ma fu solo per un istante, non seppi interpretare cosa provai dentro, perché mi sembrò così assurdo, impossibile da spiegare, ma lo sentii, lo sentii nel profondo.
Si staccò e mi voltò le spalle “A domani” disse, poi aprì la porta col telecomando invitandomi ad uscire.
