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Capitolo 5. La calma che conquista

Era ancora il primo giorno di master, ma per Maria sembrava già trascorsa una vita.

Dopo la lezione del mattino, durante la quale aveva attirato inaspettatamente l’attenzione di tutta l’aula, la giornata continuava a scorrere tra sguardi striscianti, bisbigli trattenuti e una tensione sotterranea che sembrava impregnare l’aria stessa.

Ogni corridoio dell’università pullulava di studenti, un brulicare incessante di corpi e voci sovrapposte, mentre le pareti grigie, illuminate da luci al neon fredde e impersonali, sembravano stringersi intorno a chi vi passava, amplificando ogni sussurro, ogni occhiata curiosa.

Maria camminava veloce, ma senza fretta apparente.

I suoi passi risuonavano appena sul pavimento lucido.

Aveva lo sguardo basso, i libri stretti al petto come uno scudo, e ignorava deliberatamente il brusio che sembrava accendersi non appena lei attraversava un gruppo di studenti.

Come una fiamma in mezzo alla polvere da sparo, la sua sola presenza generava scintille di commenti sottovoce, occhiate, risatine soffocate.

Lin Mei e le sue amiche erano appostate vicino all’ingresso della sala conferenze.

Le loro divise impeccabili, le pettinature studiate, i sorrisi finti incollati ai volti, le facevano sembrare statue di porcellana pronte a incrinarsi al primo tocco.

Come falchi in attesa, osservarono Maria avvicinarsi.

Appena lei fu a portata d'orecchio, partirono i mormorii velenosi.

«Guarda la reginetta della miseria,» sibilò Lin Mei, il tono carico di velenosa soddisfazione.

«Pensi che basti avere due occhioni tristi per ottenere tutto? Chissà con chi ha dormito per avere quella borsa di studio...» disse qualcuno che non aveva ancora assistito alle sue risposte superbe durante le lezioni.

Risate soffocate seguirono il commento, taglienti come schegge.

Sguardi maligni si incrociarono, come lame invisibili pronte a colpire.

Maria sentì ogni parola, ogni risata.

Ognuna di quelle frecce invisibili si conficcò sotto la pelle come una spina gelida.

Ma il suo volto non tradì nulla.

Non abbassò la testa.

Non accelerò il passo.

Camminò oltre con la stessa calma gelida di chi ha imparato, troppo presto, che l'unico modo per sopravvivere era diventare impenetrabile.

Non avrebbe ceduto.

Non avrebbe sprecato fiato, energia o dignità per chi non meritava nulla.

Ogni parola cattiva scivolava via da lei come la pioggia su un impermeabile logoro ma resistente.

Più in là, appoggiato con noncuranza a una colonna di marmo, Adam Carter osservava la scena.

Aveva visto tutto.

Aveva sentito tutto.

Vide Maria passare tra i mormorii velenosi senza nemmeno cambiare espressione, senza un tremito nelle spalle dritte, senza abbassare lo sguardo.

Una compostezza glaciale che lo incuriosì.

Adam era abituato a un altro tipo di mondo.

Dove i sorrisi si accendevano al suo passaggio, dove le parole si modulavano più dolci, dove gli sguardi lo seguivano anche senza che lui li cercasse.

Eppure, mentre osservava Maria camminare oltre, si rese conto che lei non l’aveva nemmeno visto.

Non un’occhiata, non un cenno, non un gesto distratto.

Era come se, per lei, lui non esistesse affatto.

Non era stato snobbato.

Non era stato respinto.

Semplicemente, era stato ignorato, come un’ombra tra tante.

Eppure persino alcuni professori — quelli più deboli, quelli più ambiziosi — si sforzavano di guadagnarsi il favore di un Carter, figlio di una delle multinazionali più potenti al mondo.

Ma Maria...

Maria era diversa.

Completamente diversa.

E questo, stranamente, lo colpì più di qualsiasi attenzione ricevuta fino ad allora.

Era una novità.

Una novità che lo incuriosiva, che si insinuava in lui come una goccia d’acqua lenta ma inesorabile su una pietra.

Quel pomeriggio, durante una lezione di casi clinici, Adam si trovò seduto qualche fila dietro di lei.

Non era una coincidenza.

O forse sì, si disse, cercando di convincersi che era stato il caso a portarlo lì.

La sala era immersa in una penombra ovattata.

La luce del pomeriggio filtrava dalle alte finestre, creando fasci dorati nell'aria impolverata.

Il professore, un uomo robusto dalla voce cavernosa, stava discutendo una diagnosi complessa di politrauma.

Maria era lì, seduta composta, concentrata.

Il suo quaderno era aperto sulle ginocchia, e la sua mano destra scivolava rapida e precisa sulla pagina, annotando concetti, schemi, punti chiave.

Adam, pur continuando a fingere di seguire la lezione, non poteva fare a meno di notare la sua dedizione, la naturalezza con cui sembrava assorbire ogni informazione, ogni sfumatura.

Lei non era solo brava.

Era qualcosa di più: una persona che conosceva il peso dei suoi sogni e combatteva in silenzio per realizzarli.

Quando la lezione finì, un brusio crescente avvolse la sala.

Sedie che strisciavano, zaini che si chiudevano di fretta, voci che riprendevano con forza repressa.

Adam si alzò lentamente.

Guardò Maria mentre riponeva i suoi libri con gesti metodici e precisi.

Per un momento esitò — lui, Adam Carter, che non esitava mai — poi, spinto da un impulso che nemmeno comprendeva del tutto, la raggiunse nel corridoio.

Lei camminava giù per il lungo corridoio dai muri spenti, le scarpe che producevano un suono ritmico e misurato.

«Maria, giusto?» disse lui, raggiungendola.

Lei si voltò appena, sorpresa.

I suoi occhi neri, profondi e limpidi come laghi ghiacciati, si posarono su di lui.

«Sì,» rispose semplicemente.

La sua voce era priva di esitazione, priva di compiacimento.

«Volevo chiederti...» Adam si passò una mano tra i capelli in un gesto inconsapevole, «durante la lezione, hai menzionato l'approccio prioritario ai traumi toraco-addominali.

Mi chiedevo... tu partiresti sempre dalla stabilizzazione respiratoria, o valuteresti anche un'ecografia rapida prima?»

La sua voce era calma, neutra, come se si trattasse davvero solo di una questione accademica.

Eppure dentro, il cuore gli batteva piú veloce del solito.

Maria lo fissò per un momento, senza tremore, senza fretta.

Il suo sguardo era analitico, lucido.

«Dipende dal quadro clinico,» rispose.

La sua voce era chiara, ferma.

«In linea generale, la stabilizzazione delle vie aeree è prioritaria. L'ecografia può attendere pochi minuti, se necessario.»

Nessun sorriso.

Nessuna esitazione.

Nessun tentativo di piacere.

Solo professionalità, distacco, sicurezza.

Poi abbassò lo sguardo sui suoi libri e riprese a camminare, lasciandolo lì, in mezzo al corridoio, con una strana sensazione di vuoto.

Adam rimase fermo, osservandola allontanarsi.

Il suo passo era deciso, costante, come quello di chi ha scelto una strada e non intende lasciarla per nessun motivo.

Nessun sorriso.

Nessun tentativo di trattenerlo.

Solo una risposta chiara, impeccabile, professionale.

Come se lui fosse davvero, semplicemente, un altro studente.

E fu proprio quel distacco, quella calma, quell’indifferenza a colpire Adam più di qualsiasi gesto studiato o sorriso forzato che avesse ricevuto nella sua vita dorata.

Per la prima volta, si trovò a pensare a una donna non per il modo in cui cercava di avvicinarsi a lui, ma per il modo in cui lo ignorava.

E così, senza nemmeno rendersene conto, il suo cuore aveva già iniziato a camminare verso di lei.

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