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Capitolo 3. Il primo passo

Il cancello dell’università si apriva come la bocca spalancata di un gigante.

Le strutture in ferro battuto, ornate da delicate incisioni dorate, scintillavano sotto la luce intensa del sole di Shanghai, mentre una brezza tiepida accarezzava le chiome degli alberi che costeggiavano i viali principali.

Maria strinse la cartella consunta contro il petto e inspirò profondamente, cercando di imprimere in sé ogni dettaglio di quel momento.

Il suo cuore, saldo e determinato, batteva forte ma non con paura: era un battito pieno di speranza.

Era il suo primo giorno di master, il primo vero passo verso il sogno che coltivava da anni.

Nella tasca interna della sua giacca semplice e ben stirata, custodiva gelosamente una lettera ormai leggermente spiegazzata: la raccomandazione preziosa del Professor Zhang, il medico che aveva riconosciuto il suo valore quando ancora era solo una bambina del villaggio.

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Il campus si apriva davanti a lei come un piccolo mondo.

Viali ampi, pavimentati con pietre lucide, si snodavano tra edifici moderni dalle facciate di vetro e acciaio e antiche costruzioni in mattoni rossi, ricoperte da rampicanti verdi.

Al centro, fontane zampillanti diffondevano nell’aria un piacevole aroma di acqua fresca e cloro.

Gruppi di studenti chiacchieravano sotto pergolati fioriti, mentre altri correvano frettolosamente, libri in mano, tra una lezione e l’altra.

Maria avanzava a passi decisi, anche se dentro si sentiva come una goccia d'acqua persa nell’oceano.

I suoi abiti semplici, lo zaino consunto e le scarpe comode sembravano gridare la sua estraneità in mezzo a tanto lusso e sicurezza.

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Le prime occhiate curiose non tardarono ad arrivare.

Sopracciglia alzate, sguardi sussurrati dietro mani perfettamente curate, piccoli cenni di derisione.

Un gruppo di ragazze, vestite in abiti di marca, la osservò con malcelata sufficienza.

Una di loro, dai lunghi capelli lisci e occhi allungati pieni di veleno, mormorò a un’amica:

«chi è quella ?... Guarda come si veste.»

Le altre risero piano, come uccellini crudeli.

Maria percepì chiaramente ogni parola.

Ogni sguardo.

Ma non cambiò espressione.

Il suo volto restò sereno, i suoi occhi fissi davanti a sé.

Non si sentiva inferiore.

Non si era mai sentita tale.

La consapevolezza di ciò che aveva superato, di ciò che aveva costruito con fatica e determinazione, era radicata in lei come una montagna che nessuna tempesta poteva scalfire.

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Seguendo i cartelli affissi ai lampioni, Maria cercò di raggiungere la segreteria studenti per completare l’iscrizione.

Ma il campus era immenso, un dedalo di stradine, cortili interni, scalinate nascoste e edifici numerati senza un ordine apparente.

Dopo aver vagato per dieci minuti sotto il sole cocente, Maria si rese conto di essersi persa.

Si fermò all’ombra di una magnolia in fiore, osservando con calma la mappa affissa a un muro.

Il foglio era scolorito e pieno di annotazioni fatte a penna che lo rendevano quasi illeggibile.

Proprio mentre stava cercando di orientarsi, una voce gentile la raggiunse.

«Ti sei persa?»

Si voltò.

Davanti a lei c’era un ragazzo alto, dalla pelle dorata dal sole, con i capelli neri spettinati e un sorriso amichevole.

Indossava una semplice maglietta bianca e jeans scoloriti.

Ai piedi, scarpe da ginnastica consumate.

Portava con sé un carretto pieno di bottigliette d’acqua e bibite fresche.

Era uno dei tanti studenti , che erano lì.

Maria annuì con gratitudine.

«Sì... sto cercando la segreteria studenti.»

Il ragazzo rise piano, un suono sincero.

«Normale. I nuovi si perdono tutti. Seguimi, vado da quella parte.»

Maria gli sorrise appena, apprezzando la naturalezza con cui le aveva offerto aiuto, senza secondi fini, senza pregiudizi.

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Camminarono insieme lungo i vialetti ombrosi.

Il ragazzo le indicò alcuni edifici importanti: la biblioteca centrale, il dipartimento di ricerca, il teatro universitario.

«È grande qui,» disse Maria, rompendo il silenzio.

«Sì, ma dopo un po' ti sembrerà piccolo,» rispose lui con una strizzata d’occhio.

«Io sono al secondo anno di economia. Tu?»

«Master di specializzazione in chirurgia,» rispose lei con semplicità.

Lui fischiò a bassa voce, impressionato.

«Wow. Complimenti. Qui ci sono solo i migliori.»

Maria fece un mezzo sorriso, ma non disse nulla.

Non aveva bisogno di vantarsi.

Non era mai stato nel suo stile.

Arrivarono infine davanti a un edificio basso, circondato da cespugli di rose.

«Ecco la segreteria,» disse il ragazzo.

«Buona fortuna, dottoressa.»

Maria gli sorrise davvero, stavolta.

«Grazie.»

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Dentro la segreteria, l’aria era fresca, condizionata.

Il profumo di carta nuova e toner per stampanti riempiva le narici.

Dietro il bancone di vetro, tre impiegate in divisa blu smistavano pratiche con efficienza.

Maria prese il numeretto elettronico e si sedette su una sedia di plastica bianca, aspettando il suo turno.

Intorno a lei, altri studenti chiacchieravano tra loro.

Molti mostravano badge di scuole famose di provenienza, altri sfoggiavano tablet costosi e borse griffate.

Maria rimase in silenzio, la cartella stretta sulle ginocchia, lo sguardo sereno.

Non aveva nulla da ostentare.

Eppure, dentro di lei, sentiva di valere quanto — se non più — di chiunque altro.

Quando il suo numero lampeggiò sul display, si alzò con decisione.

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Il processo di iscrizione fu semplice.

Consegnò i documenti, firmò i moduli necessari e ricevette il badge ufficiale con il suo nome stampato in caratteri netti: Maria Li.

Quando lasciò la segreteria, sentì il badge pesare sul petto come una medaglia invisibile.

Aveva ufficialmente iniziato.

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All'uscita dall’edificio, il sole era ancora alto.

Maria si concesse qualche minuto per osservare meglio l’ambiente circostante.

Il campus era un luogo vivo: gli alberi frusciavano dolcemente, il vento portava il profumo dolciastro dei fiori estivi, e le risate degli studenti si intrecciavano come una melodia leggera.

In lontananza, vide un piccolo gruppo di ragazzi radunato sotto una scultura moderna.

Tra loro spiccava una figura: un giovane uomo alto, elegante, con un completo chiaro che sembrava costare quanto un mese di stipendio. Lo notò semplicemente perché tutti ronzavano intorno a lui.

Non sapeva chi fosse e non le interessava nemmeno.

Stringendo la cartella tra le mani, riprese a camminare verso l'edificio principale, dove avrebbe avuta la sua prima lezione.

Per Maria, ogni passo era una dichiarazione.

Una dichiarazione a se stessa

Una promessa da mantenere.

Era venuta dal nulla.

e ora finalmente era lì...

pronta a diventare ciò che aveva sempre sognato.

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