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CAPITOLO 5

Fuori dall’Accademia Ravenswood, il sole stava cominciando a calare dietro le guglie neogotiche dell’edificio, tingendo il cielo di un tenue arancione. Era la fine del primo giorno di lezioni, e le ombre del tardo pomeriggio si allungavano sui vialetti del vasto parco. Gli studenti si riversavano all’esterno per prendere l’autobus, scambiare le ultime chiacchiere o dirigersi verso le proprie attività extrascolastiche. Tra loro, quattro figure si ritrovarono intorno alla fontana principale, cercandosi con sguardi incerti e un po’ di sollievo: Zed, Isa, Evan e Clem avevano deciso di prendersi un momento tutto per loro, un breve respiro lontano dalle aule affollate.

La fontana, con un corvo in marmo al centro, emblema dell’Accademia, zampillava placida, come se ignorasse la frenesia del campus. Intorno al bordo circolare, le aiuole erano curate alla perfezione, e l’odore di erba appena tagliata si mescolava al profumo dolciastro delle magnolie. Clem fu la prima ad arrivare, con la sua borsa a tracolla e un sorriso un po’ stanco ma sempre radioso. Quando vide gli altri, si illuminò.

“Ehi, eccovi!” esclamò, facendo cenno con la mano a Zed e Isa, che avevano appena svoltato l’angolo di un vialetto “Sono contenta che ci siamo riusciti, credevo che dopo quest’inizio sareste tutti spariti a ricaricare le pile.”

Isa annuì in silenzio, stringendosi nelle spalle. Aveva ancora lo sguardo un po’ assorto, come se il cervello lavorasse a pieno regime su mille pensieri diversi. Le sue dita giocherellavano con le cinghie dello zaino, mentre con l’altra mano si sistemava gli occhiali sul naso.

“Ho finito di parlare con un’insegnante per un compito di letteratura” spiegò piano “Ma avevo proprio bisogno di... un po’ di aria fresca.”

Zed, qualche passo dietro di lei, infilò le mani nelle tasche della sua giacca mezza sbottonata. Diede un’occhiata distratta alla fontana, poi si fermò accanto a Clem, senza dire nulla nell’immediato. Il suo sguardo vagava sul viavai di studenti, come se cercasse di capire se qualcuno stesse guardando o ascoltando.

Poco dopo apparve Evan, un borsone sportivo a tracolla e l’aria lievemente affannata. Probabilmente era uscito di corsa dagli spogliatoi. Con la mano libera si scostò una ciocca di capelli biondi dalla fronte, rivolgendo agli amici il suo sorriso sicuro di sempre.

“Scusate, ma il coach mi ha trascinato in una mini-riunione sul basket” spiegò “Allora, come state? È stato un primo giorno intenso, vero?”

Un silenzio breve calò tra loro, carico di tutte le emozioni, le frustrazioni e i pensieri accumulati durante la giornata. Fu Clem a rompere la tensione, avvicinandosi alla fontana e sedendosi sul bordo di pietra.

“Vi va se ce ne andiamo in un posto più tranquillo? Magari al bar vicino alla porta ovest dell’Accademia? Almeno prendiamo qualcosa e ci raccontiamo com’è andata.”

Isa, ancora incerta, guardò Zed ed Evan in cerca di un cenno di approvazione. Evan fece spallucce e si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.

“Per me va bene, ho ancora un’oretta libera prima di tornare a casa.”

Zed invece rimase in silenzio per un istante, valutando la proposta. Alla fine, si limitò ad annuire. Non era entusiasta di frequentare posti troppo affollati, ma apprezzava l’idea di stare insieme ai suoi amici, anche se non lo avrebbe ammesso ad alta voce.

Così, i quattro si avviarono lungo un vialetto secondario che portava a un’uscita meno frequentata. Lungo il percorso, attraversarono aiuole ben curate e videro una fila di statue che raffiguravano antichi benefattori di Ravenswood. Il muretto di cinta dell’accademia, ricoperto di rampicanti, segnava la soglia fra il territorio scolastico e la strada cittadina. Poco oltre, un piccolo locale dall’aspetto sobrio e discreto li accolse con l’insegna ‘Caffetteria Andromeda’.

All’interno, le luci calde e l’aroma di caffè tostato creavano un’atmosfera invitante. I ragazzi scelsero un tavolino in un angolo, lontano dal brusio di qualche studente che aveva avuto la stessa idea. Gli arredi in legno scuro e le pareti color crema davano l’impressione di un rifugio accogliente. Si sedettero in cerchio: Clem e Isa da un lato, Zed ed Evan dall’altro.

Una cameriera sorridente venne a prendere le ordinazioni. Clem si concesse un cappuccino con una brioche alla crema, mentre Isa scelse un semplice tè caldo. Evan ordinò un caffè doppio, e Zed, dopo una pausa di esitazione, optò per una limonata ghiacciata. Quando la ragazza si allontanò, rimasero qualche secondo a osservare il vapore che iniziava a salire dalle tazze.

“Allora, chi inizia a raccontare?” propose Clem, guardandoli tutti con aria incoraggiante.

Isa si schiarì la voce. Non era abituata a parlare di sé così apertamente, ma decise di fare un tentativo.

“Il mio primo giorno è stato… pieno. Ho già una lista infinita di testi da studiare. La prof di letteratura ci ha assegnato un saggio da consegnare entro due settimane. Ho parlato con alcuni insegnanti e… beh, non ho fatto altro che cercare di programmare l’intero semestre. A volte mi chiedo se ce la farò a stare dietro a tutto.”

Le sue parole erano pacate, ma contenevano un’ansia sottile.

Evan la guardò con attenzione, come se volesse offrirle conforto con un gesto o una parola, ma si trattenne.

“Se c’è qualcuno capace di star dietro a tutto, quella sei tu” disse con un tono rassicurante “Ma… non dimenticare di respirare ogni tanto.”

Isa arrossì appena e, per un attimo, abbassò lo sguardo su un punto indefinito del tavolino. Ringraziò con un piccolo sorriso, che Evan ricambiò spontaneamente.

Clem, che faceva girare il cucchiaino nella tazza di cappuccino, si illuminò.

“A me, in realtà, è piaciuto questo primo giorno. Ho già parlato con la prof di storia dell’arte di un progetto creativo, e ho messo un annuncio per il set fotografico di cui vi parlavo. Spero che vada bene, e…” fece una pausa, guardando Zed “Spero anche di coinvolgere un po’ tutti, se volete dare una mano.”

Zed sollevò un sopracciglio, incrociando lo sguardo di Clem. Era sorpreso che lei si rivolgesse proprio a lui.

“Io di foto non me ne intendo” mugugnò, giocherellando con il bicchiere della limonata “E poi la scuola ha un sacco di club… non so se facciano per me.”

Clem sorrise, per nulla turbata.

“Lo so, ma mi piace pensare che un artista come te, anche se in un altro campo, possa arricchire il progetto. Magari potresti mettere un po’ di musica dal vivo, o… non so, dare qualche spunto di stile rock alle immagini.”

Zed emise un mezzo sorriso sarcastico, ma dietro gli occhi sembrò accendersi una scintilla di curiosità. Non rispose, preferendo cambiare discorso.

Evan, intanto, bevve un sorso del suo caffè e si schiarì la voce.

“Per me, il primo giorno è andato. Ho fatto un allenamento con la squadra di basket. Stiamo cercando nuove reclute. Il coach dice che possiamo puntare in alto quest’anno, e a me sta bene… anche se non so se riuscirò a reggere il ritmo di tutto. Sapete com’è, qualche volta penso che i miei mi vorrebbero ancora più performante, anche al di fuori dello sport. E ho la sensazione che quest’anno voleranno via come sempre, lasciandomi qui a… cavarmela da solo.”

Nel dirlo, la sua voce si era fatta più incerta, ma lui si affrettò a sorridere come a minimizzare. Clem e Isa si scambiarono uno sguardo solidale, mentre Zed diede una piccola occhiata di traverso a Evan, come se volesse dirgli che lo capiva più di quanto fosse disposto ad ammettere.

Zed, con un gesto nervoso, sollevò il bicchiere di limonata e poi lo posò di nuovo. Era strano per lui parlare liberamente, soprattutto con tutti e tre presenti. Si sentiva esposto, ma allo stesso tempo sapeva che evitare completamente la conversazione sarebbe stato peggio.

“Ho… “ iniziò, incerto, poi alzò lo sguardo “Ho litigato con un tizio di terzo anno già stamattina. Voleva fare il gradasso con un borsista e… beh, non ci ho visto più. Niente di grosso, ma la faccenda non mi ha messo di buon umore. E poi, c’erano i prof già pronti a segnarmi per la divisa non in regola.”

Fece spallucce, fingendo indifferenza.

In realtà, i muscoli delle spalle erano contratti, segnale di un’inquietudine che non voleva condividere a parole. L’Accademia, per lui, rappresentava più una prigione che un’opportunità, e il suo istinto ribelle lo portava sempre a scontrarsi con regole e ingiustizie.

Clem annuì, preoccupata.

“Cerca di non metterti nei guai fin dal primo giorno, Zed. Davvero, se succede qualcosa, chiamami. O chiamatevi fra voi. Siamo qui per darci una mano, no?”

Un lieve sorrisetto, quasi forzato, apparve sulle labbra di Zed.

“Sì, certo, è che… beh, non è il mio stile elemosinare aiuto. Però grazie.”

Un momento di silenzio cadde sul tavolino, mentre ciascuno dei quattro rifletteva sulle parole degli altri e sulle proprie. Era come se avessero iniziato a esplorare un terreno comune che, pur tra differenze e timori, li legava in modo invisibile.

Fu Isa a parlare di nuovo, stavolta con un tono un po’ più deciso.

“Sapete, questo è l’ultimo anno. Forse dovremmo davvero imparare ad affidarci l’uno all’altra, almeno un minimo. L’Accademia è… quello che è, ma noi possiamo cercare di restare uniti.”

La sua voce tremava leggermente, come se stesse superando la barriera della timidezza.

Evan guardò Isa con un lampo di ammirazione negli occhi, poi appoggiò il gomito sul tavolo.

“Sono d’accordo. Potremmo vederci più spesso, condividere non solo i problemi, ma anche le cose belle. Magari organizziamo una serata da me, così possiamo staccare dallo stress delle lezioni.”

Zed parve volersi opporre, ma poi esitò. A volte, dentro di lui, sentiva un forte desiderio di scappare da quei legami, per paura di essere ferito, altre volte, però, la compagnia di Isa, Clem ed Evan gli sembrava l’unico appiglio di normalità.

Alla fine, annuì.

“Potrebbe andare… basta che non sia troppo ingessato.”

Clem scoppiò in una piccola risata.

“Nella casa di Evan non c’è mai niente di ingessato, a parte l’arredamento di lusso. Ma troveremo un modo di divertirci, senza dubbio.”

Le risate si unirono in una breve scarica di buonumore, sciogliendo la tensione. Si raccontarono qualche aneddoto del giorno appena trascorso. Isa citò una scenetta buffa in biblioteca, Clem menzionò un professore con il papillon sgargiante, ed Evan parlò di un compagno di squadra che faceva le battute peggiori del mondo. Zed ascoltò, intervenendo di tanto in tanto con qualche commento ironico, che suscitava sorrisi o occhiatacce divertite.

Man mano che i minuti passavano, il locale si svuotava gradualmente, e la luce del tramonto si stemperava sulle vetrate. I quattro compagni rimasero lì, a godersi un tempo che raramente si concedevano. Un momento di sosta, di condivisione, lontano dalle aspettative e dal giudizio degli altri. Un momento in cui provare a capire chi fossero realmente, oltre i ruoli che l’Accademia e la vita avevano appiccicato loro addosso.

Alla fine, i bicchieri e le tazze rimasero vuoti, i piattini con briciole di brioche e bustine di zucchero stropicciate.

Clem sbirciò l’orologio e fece una smorfia.

“Mi sa che è ora di tornare verso casa, o le rispettive sistemazioni. Domani ci aspetta un’altra giornata assurda.”

Isa si alzò per prima, infilando velocemente il libro dentro lo zaino.

“Grazie a tutti. Ci voleva questo momento, davvero.”

Evan pagò il conto con naturalezza, insistendo per offrire lui. Zed incrociò le braccia e borbottò qualcosa sul fatto che non voleva dovergli un favore, ma Evan lo ignorò con un sorriso divertito, dicendo che avrebbero potuto restituirgli il gesto la prossima volta.

Usciti all’aperto, furono accolti da una brezza serale che preannunciava l’arrivo di notti più fresche. Si avviarono insieme, attraversando la strada, poi si fermarono all’angolo in cui le loro strade si sarebbero divise. Clem e Isa avrebbero preso l’autobus, Zed un altro, ed Evan sarebbe andato a piedi alla villa di famiglia, distante una manciata di isolati.

“Allora…” disse Zed, ficcando le mani in tasca “Ci vediamo domani, immagino.”

“Certo” rispose Clem con un sorriso incoraggiante “Domani, e magari la prossima volta ci inventiamo qualcosa di carino da fare. O anche di folle, dipende da come ci gira.”

Isa scambiò uno sguardo con Zed, un istante così rapido che quasi passò inosservato. Sembrava volesse dirgli qualcosa, ma si limitò a un cenno di saluto. Evan, con la borsa sportiva in spalla, li salutò tutti con un gesto della mano, e ciascuno prese la propria direzione.

Nel cuore di ciascuno, vibrava però una consapevolezza nuova. Nonostante le differenze, il passato ingombrante e le paure del futuro, quei momenti insieme potevano essere un’ancora di salvezza. Per quanto l’Accademia Ravenswood potesse chiedere sacrifici e pretese, loro quattro avevano un legame particolare, coltivato negli anni e consolidato da silenzi, segreti, litigi e riconciliazioni. Un legame che, forse, avrebbe fatto la differenza nell’ultimo e più decisivo anno della loro adolescenza.

E così, con l’imbrunire che scendeva sulla città, i protagonisti di Ravenswood si allontanarono, mescolandosi al traffico e ai lampioni che iniziavano a illuminare le strade. Ognuno portava con sé le proprie incertezze, ma anche la speranza che, insieme, avrebbero potuto affrontare tutto ciò che il destino aveva in serbo.

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