CAPITOLO 4
– CLEM -
Se c’è un suono che riesce sempre a farmi sorridere, è il fruscio di una rivista di moda appena sfogliata. Non perché io sia una maniaca dello shopping, beh, forse un pochino, ma perché in quelle pagine, piene di colori, volti e abiti di ogni genere, vedo la promessa di qualcosa di bello e leggero. E in un posto come Ravenswood, a volte, la leggerezza è una rarità.
Stamattina, mentre tutti si affrettavano verso la mensa o le aule, io mi sono fermata a dare un’occhiata alla bacheca degli eventi: spettacoli, concerti, esposizioni fotografiche, concorsi di moda… Un oceano di attività che sembrano promettere giorni emozionanti. Ho appeso con cura un volantino colorato che pubblicizza il “Set Fotografico Sperimentale” del prossimo mese, a cui spero di partecipare come modella o, chissà, magari anche come fotografa. Mi sarebbe piaciuto urlarlo ai quattro venti, ma mi limito a un sorrisetto soddisfatto, pensando a quanto ho lavorato tutta l’estate per ritagliarmi un posticino in quell’evento.
Poi, mentre mi allontanavo, ho trovato Evan con il suo cellulare in mano, lo sguardo un po’ perso. Mi ha mandato un messaggio per invitarmi a fare una pausa insieme e io ho accettato al volo, quindi l’ho raggiunto davanti alla macchinetta del caffè. Era ancora vestito con la divisa, i capelli biondi leggermente umidi per la doccia veloce fatta dopo l’allenamento. Lo conosco da sempre, e posso dire che raramente l’ho visto così pensieroso. Evan è il classico ragazzo solare in apparenza, ma se lo osservi bene, capisci che l’ombra che si porta dentro è pesante.
Ora, sono qui accanto a lui nel corridoio, caffè in mano e borsa a tracolla che ci incamminiamo verso un’uscita laterale che dà su un cortile più appartato. Quando varchiamo la soglia, una boccata d’aria fresca mi colpisce il viso, facendomi sentire viva. Sotto il cielo limpido di questa mattinata quasi autunnale, Ravenswood sembra quasi un antico castello incantato, anche se noi sappiamo bene che tra queste mura le tensioni e le aspettative sono sempre altissime.
“Sono felice di rivederti in gran forma, campione” dico a Evan, scuotendo leggermente la mia chioma rossa “Hai già avvistato nuove promesse per la squadra?”
Lui sorride, ma è un sorriso in parte malinconico.
“Qualche matricola con buone potenzialità c’è. Però niente di paragonabile al nostro vecchio capitano.”
Inarco un sopracciglio. So che Evan sta cercando di mantenere vivo lo spirito competitivo che lo caratterizza, ma c’è qualcos’altro, un’esitazione sottile tra le sue parole.
“Sai, Clem, a volte mi chiedo se stia facendo tutto quello che dovrei per godermi questo ultimo anno. Ho la sensazione che scorra via troppo in fretta.”
Lo guardo con affetto. Evan, il ragazzo che sembra avere tutto, ma che in fondo ha un immenso bisogno di calore umano.
“È ancora il primo giorno” gli ricordo dolcemente “Di tempo ne abbiamo. E poi, godersi l’anno non significa per forza partecipare a mille feste o stabilire nuovi record sportivi, no? Forse significa capire quello che conta davvero.”
Lui annuisce, fissando un punto indefinito all’orizzonte. Mi piacerebbe chiedergli di Isa, perché ho notato come la guarda, come la cerca con lo sguardo quando pensa che nessuno lo veda. Ma lo conosco abbastanza da sapere che forzarlo a parlare potrebbe farlo chiudere ancor di più. Perciò taccio e sorseggio il mio caffè, gustandomi il breve silenzio che si è creato.
Quando ci separiamo, mi avvio verso l’aula di storia dell’arte, una delle mie preferite. Non sono una secchiona come Isa, né tanto meno una ribelle come Zed, ma adoro le lezioni che stimolano la mia creatività. Mentre attraverso i corridoi, la mente mi corre proprio a Zed. L’ho visto stamattina, rapido come il vento, incrociare i nostri sguardi con un lampo di insofferenza. Avrei voluto fermarlo e chiedergli come avesse trascorso l’estate, se avesse scritto nuove canzoni. Invece mi sono limitata a salutarlo con un cenno, perché conosco i suoi tempi. Zed va avvicinato con delicatezza, come un animale ferito che diffida di ogni mano tesa.
E poi, c’è Isa, la mia amica più cara. Io e lei siamo come il sole e la luna. Io estroversa e positiva, lei introversa e riflessiva. Eppure, è come se insieme completassimo un piccolo universo. Mi preoccupa sempre un po’ vederla così chiusa nei suoi pensieri, come se portasse sulle spalle il peso del mondo. Cerco di starle vicino senza soffocarla. So che, quando avrà bisogno, verrà da me senza indugio. Intanto, la incoraggio con sorrisi, messaggini affettuosi e inviti a fare una pausa insieme. A volte accetta, altre si rifugia in biblioteca. È il nostro equilibrio, non perfetto ma sincero.
Una volta in aula di storia dell’arte, prendo posto in una delle file centrali. Mi piace avere una visione completa: guardare la professoressa, ma anche i miei compagni. Oggi si parla di pittura rinascimentale, di artisti che hanno segnato l’immaginario collettivo con opere immortali. Ogni tanto appunto qualche frase sul quaderno, ogni tanto scarabocchio bozzetti di abiti ispirati a quei dipinti. La prof, una donna minuta e gentile, indica immagini proiettate sullo schermo con gesto entusiasta, come se rivedere quelle opere la emozionasse ancora. A un certo punto, chiede chi di noi fosse interessato all’estetica rinascimentale o alla simbologia dei colori. Alzo la mano immediatamente.
“Sì, Beaumont?”
“Ecco, prof, io trovo affascinante come le tinte luminose influiscano sulla percezione dell’opera. Mi fa pensare a quanto, nel mondo della moda, i colori possano cambiare l’umore di chi guarda o indossa un abito…”
Lei mi ascolta con interesse e mi invita a proseguire. Parlo per un paio di minuti di come arte e moda siano strettamente connesse: la moda è un’espressione culturale, proprio come l’arte. Ci sono momenti in cui sento gli occhi di alcuni compagni giudicarmi, forse pensano che la moda non sia una materia ‘seria’. Ma io proseguo, con passione. Sono fiera di ciò che amo, e se c’è una cosa che ho imparato, è che la convinzione può aprire porte che sembravano sbarrate.
Terminato l’intervento, la prof mi ringrazia e io torno a prendere appunti, con una soddisfazione che mi scalda il cuore. Amo sentirmi viva in ciò che faccio, anche se può sembrare frivolo. Dopotutto, ognuno di noi ha bisogno di un sogno che lo ispiri e lo renda migliore. Il mio, al momento, è partecipare a un importante servizio fotografico a fine anno, sperando di muovere i primi passi seri nel mondo della moda.
All’uscita dalla lezione, scambio due chiacchiere con una ragazza del terzo anno che si occupa di fotografia per il giornale studentesco. Parliamo di una possibile rubrica dedicata allo stile, e lei mi propone di farmi intervistare. Accetto con entusiasmo, prendendo mentalmente nota. Dovrò chiedere a Isa di correggere il mio testo, lei è bravissima con le parole.
Mentre attraversiamo il corridoio, intravedo Zed che sbuca dalla porta di un’aula. Ha lo sguardo ombroso, il passo deciso. Mi saluta con un cenno appena accennato, e io gli sorrido. So che si ricorda di me, so che non sono una comparsa nella sua vita, ma mi accorgo che non è dell’umore per una conversazione. Forse più tardi riuscirò ad avvicinarlo. In fondo, voglio capire se i suoi occhi malinconici nascondono qualcosa di più grave del solito fastidio verso l’ambiente elitario di Ravenswood.
Poco dopo, salgo le scale principali e mi avvio verso l’ala ovest, dove si trova la mensa. Le grandi finestre inondano i corridoi di luce, e passo accanto a uno specchio antico incastonato nella parete. Mi fermo un istante per controllare che i miei capelli rossi siano ancora in ordine. Molto bene, Clem, mi dico, dandomi coraggio con un sorriso. Perché, nonostante il mio carattere allegro, a volte mi sento insicura anch’io. Ho sempre paura di non riuscire a conciliare la mia passione con i doveri scolastici, di non essere abbastanza per i miei amici che stanno vivendo momenti complicati.
In mensa, le persone si affollano per prendere vassoi, cibo e bevande. L’aria è satura di chiacchiere e rumori di stoviglie. Mi avvicino alle vetrine che espongono i piatti del giorno, valuto la scelta tra l’insalata multicolore e i classici hamburger. Opto per l’insalata, consapevole che poi, se vorrò, potrò concedermi un dolce. Mi piace tenermi attiva, e un pasto leggero mi evita i cali di energia.
Con il vassoio tra le mani, mi guardo intorno alla ricerca di un tavolo. Eccolo, in un angolo vicino alla finestra. Mi avvicino, e noto che Isa è già seduta lì, con un libro aperto accanto al suo piatto ancora intatto.
“Ehi, bella! Posso?” chiedo in un sussurro allegro, indicando la sedia davanti a lei.
Isa alza lo sguardo, sollevando gli occhiali sul naso.
“Certo, Clem.”
Mi siedo e la osservo un attimo in silenzio, cercando di capire il suo stato d’animo. Ha l’aria pensierosa, come sempre, ma non triste. Forse solo stanca?
“Tutto bene?” domando con un sorriso.
Lei si stringe nelle spalle.
“Sì, sono solo un po’ in ansia per questo programma di studio fitto come non mai…”
Annuisco, iniziando a mescolare la mia insalata.
“Te la caverai benissimo, come sempre. Ma cerca di non strafare, ok?”
Isa mi scruta con un misto di gratitudine e indecisione. Sembra sul punto di confidarsi, ma poi chiude il libro e sposta lo sguardo.
“Che hai fatto questa mattina?” mi chiede.
Colgo l’occasione per raccontarle del mio intervento in storia dell’arte e di come io voglia propormi come modella-fotografa per il set sperimentale. Lei sorride, genuinamente felice per me. Nel frattempo, in mensa, si alza il volume delle voci di nuovi studenti che ridono a crepapelle per chissà quale aneddoto, e vedo passare alcuni amici di Evan, probabilmente diretti a qualche allenamento pomeridiano.
Isa e io parliamo ancora un po’, mentre lei riesce a finire almeno metà del suo pranzo. Poi, con la coda dell’occhio, vedo Zed entrare nella mensa. Si guarda intorno, senza fermarsi davvero su nessuno. Pare avere un’espressione particolarmente cupa. Mi domando se abbia litigato con qualche professore o compagno, o se i suoi pensieri vortichino attorno a questioni familiari, che so essere complicate.
“Zed…” sussurro, senza che lui possa udirmi.
Isa solleva gli occhi, seguendo il mio sguardo. Lo osserviamo insieme per un attimo. Lei fa un respiro e riabbassa la testa sui suoi appunti. Conosco quello sguardo, tradisce un affetto che lei si ostina a tenere nascosto, una specie di paura mista a desiderio di avvicinarsi. È come se ci fosse un filo teso tra loro due, ma nessuno dei due osa tendere la mano.
All’improvviso, come se Zed sentisse i nostri occhi addosso, ci nota. Per un istante esita, poi fa un cenno del capo, un saluto a metà tra l’indifferenza e il riconoscimento. Si avvicina per qualche passo, poi uno dei suoi amici lo chiama da un altro tavolo. Lui si ferma, getta un’ultima occhiata nella nostra direzione e si allontana.
Sento una puntina di delusione. Avrei voluto dirgli “Vieni, siediti con noi, raccontaci come stai.”
Ma so che Zed non ama le tavolate affollate e le situazioni troppo sociali, specialmente all’inizio dell’anno.
Isa rimane concentrata sui suoi scritti, ma io ho la netta sensazione che quel breve incrocio di sguardi le abbia smosso qualcosa dentro. Non so se sia nostalgia, rimpianto o semplice inquietudine. Vorrei rassicurarla, ma ho imparato che ci sono cose che vanno lasciate scorrere.
Dopo pranzo, usciamo insieme dalla mensa. Propongo a Isa di fare un giro all’esterno, nel cortile, prima della prossima lezione. Lei accetta e, una volta fuori, le faccio notare quanto sia bello il cielo limpido e come la facciata neogotica di Ravenswood rifletta la luce del sole.
“Sai, dovremmo scattare qualche foto da questa angolazione. Sarebbe uno sfondo magnifico.”
Isa sorride appena.
“Sì, potresti farlo per la tua rubrica di moda o per le fotografie d’architettura. Riesci sempre a cogliere il lato bello delle cose.”
“È la mia natura, no? Mi piace trovare qualcosa di positivo anche dove sembra non esserci.”
Ci incamminiamo per un vialetto alberato, godendo di questo momento tranquillo. In lontananza, vedo qualche professore che passa con un mucchio di libri in braccio, alcuni studenti che parlano di programmi di studio per l’estero, mentre un piccolo gruppo di matricole si scambia i numeri di telefono. È la vita di Ravenswood, con le sue esistenze intrecciate, le sue regole ferree e il suo fascino austero.
Man mano che ci avviciniamo alla zona delle aule del secondo piano, Isa si ferma e mi guarda.
“Clem, so che ti preoccupi sempre per tutti… ma tu come stai? Dico davvero. Parliamo di noi ogni tanto?”
La sua domanda mi coglie di sorpresa, perché spesso nel gruppo sono io a cercare di far parlare gli altri, a consolarli, ad aiutarli a risolvere problemi. Forse anche lei ha intuito che la mia solarità non significa assenza di dubbi o paure. Sorrido, e stavolta lo faccio con un velo di malinconia.
“Sto bene, sì, ma… alcune volte ho paura di restare a guardare i sogni degli altri realizzarsi, di tenerli uniti, mentre io non realizzo mai i miei. Non voglio sacrificare il mio futuro per nessuno, ma allo stesso tempo non riesco a voltare le spalle a chi ha bisogno.”
Lei annuisce, riconoscendo il mio dilemma.
“Capisco. Forse è solo questione di trovare un equilibrio, aiutare gli altri senza dimenticarti di te stessa.”
“Già” rispondo, serrando le labbra.
Dentro, avverto un leggero groviglio, come se l’idea di dover scegliere tra ciò che amo e ciò che amo fare per gli altri mi spaventasse.
Penso anche a quelle strane sensazioni che ogni tanto sento, come un desiderio di cambiamento, di partire per un viaggio, di visitare posti nuovi. Ho la passione per la moda, è vero, ma più in generale ho la passione per la vita. Vorrei coglierne ogni sfumatura, e mi domando se qui, entro questi confini di ambizione e regole, mi sia davvero possibile.
Isa mi guarda con dolcezza. È raro che io le mostri questa parte di me, quella più insicura. Di solito sono io a rassicurare lei. Forse è un passo importante ammettere anche la propria fragilità. Siamo due ragazze molto diverse, ma con un grande punto in comune. La paura di non essere all’altezza dei nostri sogni.
La campanella suona, segnalando l’inizio della prossima lezione. Ci scuotiamo dai nostri pensieri e riprendiamo a camminare. Penso che dovremmo incontrare anche Evan e Zed prima di sera, magari proporre loro qualcosa di informale, come una pausa caffè insieme o una chiacchierata veloce. Mi rendo conto che ogni giorno a Ravenswood può essere decisivo, non solo per i voti, ma soprattutto per le relazioni che portiamo avanti.
Mentre percorriamo l’ultimo tratto di corridoio, intravedo in lontananza Evan, che parla con un professore di economia. Alza lo sguardo, mi sorride, poi saluta il docente e si avvicina a noi con passo spedito. Non appena ci raggiunge, mi sento sollevata. L’idea di rivedere noi quattro insieme, per quanto possa sembrare complicato, mi dà conforto. Mi piacerebbe riuscire a organizzare un momento di tranquillità tutti e quattro, ma conosco bene le barriere che Zed sa erigere e la timidezza di Isa quando si trova in situazioni più sociali.
Eppure, la mia mente corre all’immagine di noi riuniti in un’aula vuota o all’aperto, a raccontarci a cuore aperto come non facciamo da tanto. Nonostante le differenze e le incomprensioni, forse siamo più uniti di quanto crediamo. Forse questa potrebbe essere la svolta. Imparare a fidarci gli uni degli altri e, finalmente, mettere da parte i timori che ci frenano.
Sento un fremito di determinazione. Siamo all’inizio di un anno che sarà cruciale, e io voglio viverlo fino in fondo. Non ho intenzione di lasciare che la paura o l’orgoglio rovini le cose a me o ai miei amici. In fondo, se c’è una cosa che ho imparato, è che la condivisione rende tutto più vero, anche il dolore. E, chissà, magari potremmo trovare insieme la forza per affrontare qualsiasi sfida il destino abbia in serbo per noi.
Raggiungiamo l’aula, e all’ingresso scambiamo un ultimo sguardo carico di complicità. Isa abbassa gli occhi, come sempre, mentre Evan mi fa cenno che mi racconterà dopo come è andata la sua lezione. E io, sorridendo, entro con la fiducia che, malgrado le ombre, a Ravenswood possa ancora splendere un po’ di luce. E se serve, io sarò la prima a portarla.
