CAPITOLO 2
– ISA -
Il profumo della carta stampata ha sempre avuto il potere di calmarmi. Anche stamattina, varcare le soglie della biblioteca di Ravenswood ha scacciato, seppur temporaneamente, l’inquietudine che mi accompagna da giorni. L’Accademia, con le sue guglie eleganti e i suoi corridoi infiniti, mi sovrasta quasi come un’entità viva che scruta ogni mio movimento. Eppure, qui, tra file di libri ordinati e scaffali sempre in penombra, mi sembra di ritrovare un po’ di equilibrio.
Mi era bastato un attimo, entrando nell’aula di letteratura, per sentire il cuore rimbalzare nel petto. Dall’ultima fila, ho percepito lo sguardo di Zed, ma non ho trovato il coraggio di sostenere i suoi occhi. Chissà se ha notato che ero in ritardo. Conoscendolo, avrà solo sollevato un sopracciglio e lanciato uno dei suoi commenti sarcastici nella sua testa. In fondo, non è una novità. Io, la prima della classe che arriva in ritardo? Un paradosso. Soprattutto perché, di solito, io sono quella che ama la puntualità, che ha sempre tutto sotto controllo. O, almeno, ci provo.
È trascorsa appena un’ora dalla cerimonia di apertura in palestra, e già la mia mente è un groviglio di pensieri. Ho infilato diversi volumi nello zaino, tra cui un saggio sulla letteratura russa e un manuale di fisica avanzata, come se accumulare conoscenza potesse bastare a soffocare l’ansia che mi accompagna. Ma so bene che non è così facile. Mentre mi siedo a un tavolo appartato, la luce soffusa che filtra dalle vetrate colorate mi illumina i capelli castani raccolti in una coda disordinata. Il silenzio della biblioteca mi avvolge, e io mi concedo un profondo respiro, cercando di liberare la mente dal rumore di fondo che mi porto dentro.
Quattro anni fa ho messo piede per la prima volta a Ravenswood con la speranza di costruirmi un futuro, di entrare in un’ottima università. Questo posto incarna l’eccellenza accademica, l’élite, eppure avrei preferito un ambiente meno formale, se solo avessi avuto scelta. Dopo l’incidente che ha portato via i miei genitori, ho scoperto quanto la vita possa essere fragile e crudele. Mia zia, che già faticava a badare a se stessa, si è ritrovata a crescermi quasi controvoglia. L’unica cosa che è riuscita a fare per me, grazie ai vecchi contatti di famiglia e a un pizzico di fortuna è stata ottenere una borsa di studio qui, a Ravenswood. Per lei era un sollievo in meno, per me un bivio tra l’incertezza e la realizzazione dei miei sogni.
“Se studi, avrai successo. Se avrai successo, non dovrai dipendere da nessuno.”
È la frase che mi sono ripetuta fino allo sfinimento, come un mantra. E devo ammettere che ha funzionato. Sono la prima della classe, la “secchiona” che i professori ammirano e che i compagni guardano a volte con rispetto, altre con invidia. Mi è valso un piccolo scudo, una facciata di stabilità dietro cui nascondere il caos che ho dentro. Ma oggi, in questo primo giorno dell’ultimo anno, sento che lo scudo non basta più. Forse perché questa è l’ultima occasione per sciogliere nodi irrisolti, per dire le parole che non ho mai avuto il coraggio di pronunciare.
Ripenso a Zed, il mio amico di sempre, almeno da quando eravamo bambini e frequentavamo la stessa scuola elementare. Ci siamo ritrovati qui a Ravenswood quasi per caso. In tanti vedono in lui solo un ribelle senza regole, ma io so che dietro quello sguardo sarcastico e quelle risposte taglienti c’è un cuore ferito e una mente brillante. Tuttavia, negli ultimi due anni, è come se tra noi fosse calato un velo di imbarazzo. Non condividiamo più come un tempo i nostri pensieri, le nostre paure. Lui si rifugia nella musica, io nei libri. Eppure, ogni volta che i nostri occhi si incrociano, mi sembra che un filo invisibile ci unisca ancora, nonostante i muri che ci siamo costruiti attorno.
Poi c’è Evan, così diverso da Zed. Lui, il ragazzo ricco, talentuoso e pieno di sicurezze, almeno in apparenza. Con la sua auto sportiva e il suo fascino naturale, potrebbe apparire come il tipico rampollo di una famiglia privilegiata, ma dietro il suo sorriso perfetto intuisco un vuoto che lo spaventa. Ho conosciuto Evan grazie a Clem, che è la sua migliore amica fin da quando erano piccoli. Da allora, lui mi ha sempre trattata con gentilezza e delicatezza. Forse anche troppa, visto che non ho mai capito se per lui io sia solo un’amica da proteggere o se ci sia qualcosa di più. Ammetto che, nei momenti di solitudine, ho fantasticato su di noi, ma poi la paura mi ha sempre frenata. Io, la ragazzina con gli occhiali troppo grandi, l’anima spezzata e l’ansia di non essere abbastanza, come potrei mai essere la persona giusta per lui?
Clem, invece, è l’esatto opposto di me: solare, vitale, ottimista fino all’inverosimile. È l’amica che tutti vorrebbero al proprio fianco e che io sono fortunata ad avere. Se c’è qualcuno capace di farmi sentire meno sola, è lei. Con una parola dolce o un consiglio, riesce sempre a farmi sorridere. Anche adesso, avrei voglia di cercarla e farle mille domande sul suo modo di vedere la vita, su come sia possibile affrontare ogni ostacolo con quella naturalezza. Ma so che presto ci rivedremo in classe, e allora cercherò un momento per parlarle.
Poggio un gomito sul tavolo e passo una mano tra i capelli, sfilando l’elastico per lasciarli sciolti. Ogni tanto li porto corti, ogni tanto lunghi, ma sempre con la sensazione di non sapere bene chi voglio essere. Mi tolgo gli occhiali per pulirli con cura, un gesto abitudinario che mi calma. Pensavo di cambiare montatura quest’anno, di sceglierne una più elegante, magari più piccola, ma poi ho deciso di mantenerla così. Un po’ goffa, come se volessi nascondermi dietro quei vetri. In fondo, fa comodo restare invisibile.
Un lieve rumore di passi mi fa alzare lo sguardo. È la bibliotecaria, la signora Montague, che si avvicina con un sorriso composto.
“Ben tornata, Isabeau. Pronta per un altro anno di studio intenso?”
Annuisco, abbozzando un sorriso di circostanza.
“Certamente.”
La signora Montague posa sul tavolo un piccolo plico di schede.
“Ho pensato che potresti trovare interessanti questi testi di approfondimento. Sono appena arrivati.”
“La ringrazio” rispondo con un cenno riconoscente, prendendo i fogli.
Il cuore mi batte un po’ più forte. La passione per i libri non mi abbandona mai. Almeno c’è una costante positiva nella mia vita, penso tra me e me.
Lei si allontana, e io sfoglio le schede con calma. Sono sinossi di testi di letteratura comparata, analisi di testi classici e saggi di critica. Mi piacerebbe dedicarmi a tutto questo senza l’assillo di dover dimostrare di essere la migliore, ma anche senza la paura di deludere chiunque si aspetti grandi cose da me, inclusa me stessa.
Ricordo una sera di qualche mese fa, in cui io e Clem ci siamo fermate in biblioteca fino a tardi. Lei voleva cercare immagini di un celebre fotografo per un suo progetto di fotografia, e io cercavo un libro per un saggio sulle avanguardie letterarie. In quell’occasione mi aveva detto una frase che mi è rimasta impressa.
“Non hai bisogno di essere perfetta per meritarti le cose belle, Isa. Nessuno deve guadagnarsi l’amore o l’affetto, basta esistere.”
Eppure, a me non sembra così semplice. Mi porto dietro il ricordo di quell’incidente, il senso di colpa per essere sopravvissuta ai miei genitori, la paura che, se non mi impegno al massimo, se non sono eccellente, allora tutto sarebbe stato inutile.
Chiudo le schede e le infilo nel mio quaderno, quindi metto lo zaino in spalla e decido di raggiungere la mia prossima lezione. Mentre cammino per i corridoi, percepisco attorno a me il vociare eccitato dei nuovi studenti, l’atmosfera frenetica di inizio anno. C’è uno studente del primo anno che mi chiede informazioni sull’aula di matematica. Gliele do con la solita calma e gentilezza, ma appena si allontana abbasso lo sguardo per evitare altri contatti. Sono socievole quando serve, ma preferisco non attirare l’attenzione.
La prossima lezione è in un’aula nuova: la sezione 3B, al piano superiore dell’edificio centrale. Controllo il mio orario: “Letteratura Straniera Avanzata”. Uno dei corsi più impegnativi di quest’anno, eppure ne sono attratta come da un magnete. Forse perché si parlerà di romanzi che raccontano di viaggi, sentimenti complessi, dilemmi morali. Tutte cose che sento risuonare dentro di me come corde in tensione.
Quando entro, trovo già diversi compagni al loro posto. Alcuni si girano a guardarmi, come se aspettassero che io mi sistemassi in prima fila per prendere appunti e impostare l’asticella della competizione. Mi sento addosso la pressione di questo ruolo che mi è stato imposto, ma non so come liberarmene. Allora faccio quello che so fare meglio. Mi siedo in prima fila, tiro fuori un blocco di carta e una penna, e cerco di concentrarmi solo su ciò che la professoressa, una donna dal portamento elegante e severo, sta per spiegare.
Mentre la lezione inizia, vedo entrare Clem. Mi sorride al volo, e io le faccio cenno di sedersi accanto a me. Lei si avvicina, si toglie la giacca della divisa con un gesto aggraziato e la appoggia sullo schienale della sedia. I suoi capelli rossi sembrano ancora più vivaci sotto la luce di questo neon freddo, e sento che la sua presenza mi tranquillizza.
“Eccomi, scusa il ritardo,” sussurra, passandosi una mano sulla fronte leggermente sudata. “Evan mi ha trattenuta per raccontarmi qualcosa di basket, ma sai che non ci capisco granché.”
Accenno un sorriso comprensivo.
“Tranquilla, la prof ha appena iniziato con le presentazioni del corso.”
Lei sbircia i miei appunti e alza un sopracciglio.
“Hai già scritto mezzo foglio? Isa, ma sei un treno!”
Scrollo le spalle.
“È più forte di me. Se non prendo appunti, mi sento in colpa.”
Ridacchiamo sottovoce, consapevoli che la prof ci sta già guardando di sottecchi. Una volta sopraggiunto il silenzio, torno a concentrarmi su quanto viene detto. Letteratura dell’Ottocento, influsso romantico, passaggi storici e ideologici che hanno contribuito alla nascita di certi capolavori. Sento un pizzico di adrenalina all’idea di immergermi in questi testi. Avverto la mano di Clem che, di tanto in tanto, prende appunti a sua volta, anche se so che non si perderà mai come me in questo mondo di parole e riflessioni. La sua vera passione è la moda, la fotografia, la creatività pratica. E io la ammiro tantissimo per la sua spontaneità.
La lezione scorre rapida, e quando la professoressa ci congeda, siamo tutti invitati a passare in segreteria per alcuni documenti da firmare. Io e Clem raccogliamo in fretta i nostri libri e usciamo in corridoio. Appena la porta si chiude dietro di noi, lei mi prende sottobraccio con entusiasmo.
“Allora, come ti senti?” mi chiede in un tono carico di genuino interesse “Dai, raccontami. È il primo giorno, no?”
La sua domanda mi prende un po’ alla sprovvista. Ho così tante cose da dire e, nello stesso tempo, non riesco a far uscire una sola parola. Chiudo gli occhi un istante, poi butto fuori l’aria.
“Ho la testa piena, Clem. Mi sembra che tutto mi pesi più del solito, come se fosse… non so, un momento decisivo.”
Lei mi lancia uno sguardo comprensivo.
“Per forza! È il nostro ultimo anno qui. Non sei l’unica a sentirti così, sai? Anche Evan stamattina sembrava strano.”
Mi mordo il labbro appena sente nominare Evan. Vorrei chiederle di più, ma qualcosa mi frena. Non è il momento di mettere in piazza i miei sentimenti indefiniti.
“Immagino. È che… mi sembra di non avere mai abbastanza tempo per fare tutto, per essere pronta a tutto.”
Clem mi stringe il braccio.
“Non devi essere sempre perfetta, Isa. Fallo per te, non per gli altri. E se qualcosa va storto, ci sono qua io, no?”
La sua semplicità a volte mi disarma. Annuisco e abbozzo un sorriso, desiderando in cuor mio di riuscire a guardarmi dentro con la stessa sicurezza. Eppure, c’è sempre quella vocina a ricordarmi che le persone nella mia vita possono svanire in un istante. Come è successo ai miei genitori. È una paura che mi blocca quando penso di aprirmi davvero, di fidarmi, di amare. La conseguenza è che alzo muri, che copro i miei sentimenti con un velo di silenzio. Un silenzio pieno di sguardi mancati e parole non dette.
Arrivate in segreteria, troviamo una piccola coda di studenti in attesa. Mentre aspettiamo, la mia attenzione ricade sulla bacheca degli avvisi. Ci sono le locandine dei vari club, dagli scacchi alla robotica, dal coro alla squadra di dibattito. Per un attimo, mi soffermo su un volantino stropicciato dal titolo: “Club di Poesia e Cantautorato”. Qualcuno deve averlo incollato in fretta. È scritto a mano con un pennarello nero, poco appariscente. Sorrido tra me e me pensando a Zed. Probabilmente non si abbasserà mai a iscriversi a un club scolastico, ma so che la sua anima musicale potrebbe dare tanto, perfino all’Accademia Ravenswood. Forse dovrei parlargliene, prima o poi, anche se temo che reagirebbe con un’alzata di spalle e una battuta cinica.
“Isa, tocca a noi” mi dice Clem, attirandomi fuori dai miei pensieri.
Firmiamo i documenti e ci consegnano i nostri nuovi tesserini. Mi sorprendo nel leggere il mio nome stampato in un carattere elegante sotto il logo dell’Accademia: ‘Isabeau Lennox – Anno 5’.
L’ultimo anno. Non riesco a togliermelo dalla testa.
Uscendo dalla segreteria, vediamo Zed che passa nel corridoio opposto, gli occhi rivolti al pavimento, le mani in tasca. Vorrei chiamarlo, ma mi blocco. Forse perché c’è troppa gente, o forse perché non so come affrontare la strana distanza che ormai ci divide. In un istante, scompare dalla mia vista dietro l’angolo.
“Dovremmo andare da lui” suggerisce Clem con dolcezza “Che ne pensi?”
Mi stringo nelle spalle.
“Non lo so, forse è meglio lasciarlo in pace.”
“Isa, lo conosciamo. Si comporta da duro, ma forse ha solo bisogno di qualcuno che gli faccia sentire un po’ di calore. Magari anche tu avresti bisogno di questo.”
La guardo, spiazzata dalla sua schiettezza. Non sono brava a mostrare quel tipo di calore di cui parla Clem. Lascio cadere la questione, rimandando a un momento più opportuno.
La campanella suona, e sentiamo l’eco delle voci che si spostano nelle varie aule. Con uno scambio di sguardi, io e Clem capiamo che siamo di nuovo in ritardo. Strano per me, ma questa giornata è un susseguirsi di contraddizioni. Corriamo verso l’aula di matematica avanzata. È ridicolo, ma nei pochi secondi prima di entrare, un pensiero si fa strada nella mia testa - Chissà se Evan sarà lì - . Provo a scacciare l’immagine del suo sorriso e dei suoi occhi grigio chiaro. Ogni volta che ci penso, mi sento vulnerabile, come se una parte di me volesse uscire allo scoperto. È una sensazione dolce e terribile al tempo stesso, perché non so se sarei pronta a sopportare un’altra perdita o un rifiuto.
Entriamo e prendiamo posto quasi senza fiato, appena in tempo per vedere il professore scrivere la data alla lavagna. Mentre mi siedo, appoggio una mano sul cuore, cercando di rallentarne i battiti. L’ultimo anno è appena iniziato e già mi sembra di stare su una corda tesa, in equilibrio tra le mie paure e i miei desideri. Mi figuro mille possibilità, mille finali diversi. Nel frattempo, cerco l’ancora di salvezza nei miei amati libri, sperando che la conoscenza possa darmi la forza di affrontare un mondo che sento ancora troppo grande e incerto.
Eppure, una parte di me, la parte che forse inizia a stancarsi di tutta questa solitudine autoimposta, sussurra che vorrei provare qualcosa di nuovo. Vorrei cercare momenti di leggerezza, come quelli che vedevo in quegli studenti al primo anno, o come quelli che Clem sembra vivere con una naturalezza disarmante. O magari, semplicemente, vorrei avere il coraggio di guardare negli occhi le persone che contano per me e dire loro quello che provo davvero.
Mentre il professore inizia la lezione e la classe si fa silenziosa, mi concentro sul quaderno. Scrivo la data in alto a sinistra: “1° giorno, Anno 5, Ravenswood.”
Sotto, mi scivola via quasi spontanea una frase: “Ricordati di vivere, Isa.” Un piccolo promemoria, muto e segreto, che forse potrebbe farmi compagnia. Chiudo gli occhi un istante, stringo la penna tra le dita e poi mi immergo nei numeri e nelle formule, sperando di allontanare per un po’ quel tumulto che mi porto dentro.
Non so come andrà quest’anno, non so se avrò il coraggio di superare le mie paure, non so neppure chi sarò alla fine di questo percorso. Ma qualcosa mi dice che a Ravenswood, in questi corridoi e in queste aule austere, mi aspetta ben più di un semplice diploma. E nel profondo del cuore, anche se ancora faccio fatica ad ammetterlo, non vedo l’ora di scoprire cosa il destino ha in serbo per me.
