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Capitolo 3: Ian fa un pasticcio.

Perché diavolo le ho detto che Andy mi ha cacciato di casa?

Ok, forse lo ha fatto, forse no. Ma a lei non deve importare. A me non deve importare.

Mi guarda. Di nuovo non riesco a capire a cosa pensi, o se stia pensando a qualcosa. L’essere totalmente ubriaco, non aiuta di certo le mie doti percettive.

Apro la bocca per dirle che non è vero ma lei sta dicendo qualcosa. Scuoto la testa e le chiedo di ripetere.

«Vieni da noi per stanotte»

ripete.

No. Col cazzo. Piuttosto mi arrampico su un albero e dormo lì.

«Ok»

Mi sento rispondere. Cazzo! Qualcuno mi chiuda questa maledetta bocca.

Non voglio andare da “loro”. Non voglio andare da Andy. Non voglio andare da mio padre. Non voglio andare da Loris. Qui. Fatemi restare qui.

Voglio morire di freddo sulla mia panchina nel parco. Voglio restare qui.

Lei si gira e torna verso il suo gruppo. Mi accorgo distrattamente che la sto seguendo. Merda.

«Paul, John, lui è Ian… un nostro amico»

mi presenta a “bassetto” e “contrito”.

Faccio un cenno con la testa per salutarli. Il movimento, però, mi fa tornare su un’ondata di alcool inacidito.

«Ali, Ian si fermerà a dormire da noi stanotte»

comunica all’amica, che mi guarda sbigottita. Posso vedere tutti gli improperi che ingoia pur di non sfigurare di fronte ai due tizi.

«Paul, John, scusateci, ma dobbiamo proprio andare. Il mio amico non si sente benissimo»

continua la commessa.

“Amico”. Mi viene da ridere.

«Sì, non hai una bella cera»

dice “contrito”.

Vorrei rispondergli che anche lui non sta messo bene, ma devo aver ingoiato la voce insieme a qualche rigurgito. Rido.

«Tutto bene?»

Mi chiede “bassetto”. Si è avvicinato troppo, e l’odore del suo profumo mi si ficca nelle narici.

Annuisco e provo a dirgli di allontanarsi, ma quando apro la bocca, al posto delle parole, esce solo un fiume infinito di vomito. Addio ai miei soldi. Lui resta immobile a subire l’inzuppata.

È talmente basso che l’ho ricoperto dalla testa ai piedi.

Mi viene da ridere di nuovo, ma un nuovo conato mi ferma.

Sono tutti fermi intorno a me, dovrei chiedere scusa? Forse sì, ma se apro di nuovo la bocca non so cosa potrebbe uscirne. E chi ha spento le luci? Non ci vedo più niente. Sono stanco morto. Il mondo diventa buio.

*****

Non ci credo. Non.ci.credo!

Ian sta vomitando addosso a John. Lo ha completamente ricoperto. Se non fosse tanto disgustosa, questa scena sarebbe da ridere.

Non devo ridere. Non devo ridere. Non devo ridere.

La cosa assurda è che John non si è mosso di un passo. È rimasto lì a subire quella cascata puzzolente senza nemmeno provare a fare un passo indietro.

Io ed Ali, invece, ci siamo ritratte, pur essendo fuori tiro. Provo a dire qualcosa, ma prima di poter aprire la bocca, Ian cade a terra, svenuto.

Ed ora chi lo alza da lì? Forse dovrei chiamare un’ambulanza.

Paul finalmente si muove, fa un cenno all’amico ed entrambi si chinano su Ian.

Allungo una mano per fermarli, convinta che vogliano riempirlo di botte, invece lo sollevano.

Paul mi guarda.

«Dove hai la macchina?»

«Ahm… ehm…»

farfuglio.

Resto interdetta. Non mi sarei mai aspettata una reazione del genere.

Lui sta ancora aspettando una risposta, scuoto la testa ed indico la berlina grigia nel parcheggio.

Insieme a John si avviano trascinandosi addosso Ian, lasciandosi dietro una scia di vomito.

Ali mi afferra per un braccio.

«Sei impazzita?»

«Andrew l’ha cacciato di casa e lui sta gelando»

le dico.

Non c’è una ragione precisa per cui le fornisco questi dettagli.

«Chissà perché mai lo avrà fatto, eh?»

replica piccata lei, e si avvia verso la macchina.

La seguo, innervosita dal suo atteggiamento. Paul e John sistemano Ian sul sedile posteriore.

«Avete qualcosa da mettere per terra, in caso vomitasse di nuovo?»

chiede John.

Ma chi sono questi due?

Alice apre la borsa e tira fuori una busta, di quelle per fare la spesa.

«Ho solo questa»

dice mostrandogliela.

«Andrà bene»

commenta Paul, prendendola.

«Non è il caso di portarlo in ospedale?»

chiedo.

«No. Ha vomitato ed il battito è regolare. Domani avrà un colossale mal di testa, ma starà bene»

risponde Paul.

È un medico? Magari me lo ha detto ed io non l’ho ascoltato.

«Volete che vi seguiamo con un taxi fino a casa? Così poi vi aiutiamo a portarlo dentro?»

«No» risponde Ali «Se non sarà in grado di camminare, lo lasceremo a dormire in macchina»

«E se vomita?»

dico.

«Tu hai deciso di ospitarlo, tu subisci le conseguenze»

risponde senza guardarmi.

Non capisco perché ce l’abbia con me. Che ho fatto? Se proprio vuole prendersela con qualcuno, si guardasse allo specchio. Se non avesse insistito per farmi uscire, non sarebbe successo nulla di tutto ciò. Diamine. Perché ce l’ho tanto con Ali? Ha ragione lei.

Le sorrido ed annuisco. Saliamo in macchina e salutiamo John e Paul.

«Che fanno quei due nella vita?»

chiedo all’improvviso.

Ali scuote la testa.

«Un po’ tardi per interessarti, no?» sospira «Comunque lavorano come infermieri al St. Peter, te l’ho detto solo quindici volte, ieri»

Ieri. Già. Ma io non tengo le informazioni in testa più di un giorno, Alice.

Vorrei dirglielo, spiegarle che lo faccio per sopravvivere. Ma torneremmo troppo indietro tra di noi, e non mi va. Non se lo merita. Ed io le sto rendendo la vita un inferno.

«Scusami, Ali»

Lei mi batte una mano sulla gamba e scuote la testa.

«No, scusa tu. Non dovevo insistere. È evidente che non sei pronta, colpa mia»

No. Non è colpa sua. Non è nemmeno colpa mia. È colpa del passato. Ma non ci devo pensare. Non voglio pensarci. Accendo la radio ed Ali capisce che le chiacchiere sono finite.

Guido in silenzio fino a casa ed Ian dorme sereno sul sedile posteriore.

Apro gli occhi. È ancora buio. Dove sono?

Provo a fare mente locale su cosa è accaduto. Ero nel parco, sulla panchina. Si moriva di freddo.

Qui fa caldo, no, si sta bene. Un profumo di agrumi impregna l’aria. Ma dove sono?

Mi lamento e provo ad alzarmi.

Una luce si accende e la faccia della commessa mi compare di fronte agli occhi.

I capelli lunghi le cadono di lato e mi sfiorano il viso.

«Stai bene?»

mi chiede.

Che ci faccio in camera sua? Come ci sono arrivato qui? Provo a chiederglielo.

Apro la bocca ma sembra che abbia ingoiato quintali di sabbia.

«Tieni»

dice, allungandomi una bottiglietta d’acqua. La guardo confuso.

«So come ci si sente il giorno dopo una sbornia epocale»

spiega. Mi sollevo piano, il letto dondola improvvisamente, mi manca il fiato. Allungo la mano e afferro la bottiglia, la apro e la bevo quasi tutta in un solo sorso.

Mi sento subito meglio, ma il mal di testa inizia a squarciarmi il cranio.

«Non ho medicine in casa»

Mi fa sapere, quasi leggendomi nel pensiero. O forse ha solo una chiara visuale della mia faccia.

«Che ore sono? E che ci faccio qui?»

«Sono quasi le 6, e me lo sto chiedendo anche io..»

la guardo confuso.

«Non ti ricordi niente, eh?»

Scuoto piano la testa. Non abbastanza piano, però. Sento il cervello sbattere da una parte all’altra. Vorrei urlare di dolore, ma ho pian piano preso consapevolezza del mio corpo e mi accorgo che sono nudo. Come un verme. Mi tocco istintivamente l’uccello.

No. Non abbiamo fatto niente. Lo capisco sempre quando lo uso.

«Devo andare in bagno»

dico.

«E da me che vuoi? Vai, no? Ti ricordi dov’è, vero?»

Scosto le coperte e mi alzo adagio. Ci metto qualche secondo a trovare l’equilibrio. Mi trascino in bagno. Non mi ricordavo che il suo pavimento fosse così scosceso.

Entro in quel paradiso azzurro pastello e lancio uno sguardo allo specchio. Cristo! Sono uno straccio.

Lancio un’occhiata al box-doccia. Sì, mi serve. Puzzo di vomito. Mi metto sotto il getto gelido, va meglio, molto meglio. Non so quanto resto lì sotto, ma quando riapro gli occhi mi accorgo che sulla tavoletta abbassata del water è comparso un accappatoio e le mie mutande.

Esco, mi asciugo e mi metto i boxer.

Torno in camera e guardo la sveglia luminosa: le sei e trentacinque.

Non credo di aver mai fatto una doccia tanto lunga. Vado verso il letto e mi rificco sotto le coperte.

Ho i capelli ancora umidi. Mi tiro il cappuccio dell’accappatoio sulla testa e provo a dormire.

«Come sono arrivato qui?»

le chiedo. Lei risponde, ma la sua voce sfuma nel sonno che giunge.

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