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Capitolo 2: Memoria muscolare.

Che sensazione strana.

Tutto succede rapidamente ma al contempo anche al rallentatore.

Sapevo cosa avrebbe fatto dal momento in cui si è avvicinato, ma non mi sono spostata.

Sapevo cosa voleva quando mi ha afferrato il fianco, ma non mi sono ritratta.

Sapevo che mi avrebbe baciata, e sono rimasta lì.

Un po’ perché è passato un secolo dall’ultimo bacio che ho ricevuto, un po’ perché volevo sapere che effetto mi avrebbe fatto.

Ed un po’, anche, perché le sue labbra a cuore, posate sulle mie, è l’immagine che mi si è incollata in testa da quando stasera si è piazzato davanti al tavolo, nel locale.

Mi ha baciata con gli occhi chiusi. Peccato.

I suoi occhi azzurri sono così belli che è non dovrebbe nasconderli neanche per un solo secondo.

La sua bocca è calda e mi piace la sensazione che provoca, anche se non so bene cosa sia.

Lui riapre gli occhi e mi fissa confuso. Immagino non sia esattamente la reazione che si aspettava.

Si discosta un po’, ma non mi lascia.

Mi sta leggendo, sta provando a capirmi. Vorrei dirgli che è tutto tempo perso, ma non ho voglia di iniziare una conversazione simile.

«Andiamo»

gli dico, e lo tiro verso la macchina.

Lui mi segue senza fare domande. Senza esitare. Io un passo avanti e lui un passo indietro, mano nella mano, quasi fossi la madre che deve portare il figlio nella stanza del dentista, con la sola differenza che questo bambino non vede l’ora di sdraiarsi sul lettino.

Sale in macchina e si allaccia la cintura. Io metto su la musica e parto.

Guido verso casa e non penso né a lui né a cosa farò esattamente una volta arrivati. Non ho idea del perché la serata abbia preso questa svolta, non so perché sono stata io a farla procedere in questa direzione. Quello che so è che non volevo lasciarlo andare via.

Magari, con un po’ di fortuna, Ali sarà già tornata e ci penserà lei a sconvolgere i piani, qualunque essi siano. Anzi, spero lui ne stia facendo, perché la mia testa ruota solo intorno alla sensazione di volerlo con me, ma non so in che termini. Dovrei approfittarne per capire la ragione per cui io stia reagendo così, ma non mi va. Voglio solo guidare.

Per tutto il tragitto lui non parla, guarda fuori dal finestrino. Nemmeno ci prova ad interagire. Questo suo atteggiamento mi rasserena.

Arriviamo nel vialetto di casa e parcheggio la macchina. Lui scende prima di me e si guarda intorno. Scendo anche io recupero le chiavi di casa dalla borsa. Mi avvio verso l’entrata e lui mi segue, sempre in silenzio. Apro la porta, lui mi viene dietro.

Lascio cadere la borsa a terra e mi chino a sfilarmi gli stivali.

Lui chiude la porta e si piazza dietro di me, poggia le mani sui miei fianchi e resta fermo finché non torno dritta, la mia schiena aderisce al suo petto. Accosta la bocca al mio orecchio e sussurra:

«Lo senti?»

Con le mani mi tira ancora più a sé. Poco sopra il mio sedere sento un rigonfiamento, la sua erezione probabilmente. Mi giro lentamente restando tra le sue mani, quasi fossi un vaso di creta tra le mani di un vasaio. Si abbassa verso le mie labbra e mi bacia di nuovo. Questa volta ricambio.

Per un attimo temo di aver dimenticato come si faccia, ma appena la sua lingua incontra la mia tutto diventa automatico. Le mani, le labbra, le gambe, tutto si muove da solo. Il mio corpo reagisce ai suoi stimoli, muovendosi sotto le sue dita, modellandosi sotto la sua pressione.

Mi stringe le natiche ed io gli afferro il collo. Le sue mani scivolano sotto l’orlo della gonna e si infilano tra lo slip e la pelle nuda del sedere. Stringe di nuovo e mi ritrovo a gemere.

Questo lo soddisfa. Con la bocca scende lungo il collo e mi lecca dietro l’orecchio.

«Allora gattina, dove mi porti?»

Nella testa riecheggia il suono di vetri infranti, sento lo stridere delle unghie sulla lavagna, il mio corpo si irrigidisce.

Gattina?!?

Mi scappa da ridere. Rido. Lui si raddrizza e mi fissa frastornato.

«Ian, se non vuoi che arrivi a letto secca come il deserto del Sahara, stai zitto. Ti prego»

*****

“Ma da dove cazzo arriva questa?” penso.

Ha riso, proprio mentre mi montavo a neve, pronto a spaccarla in due come un cocco maturo.

Ha riso. E poi mi dice pure di stare zitto.

Lo sapevo che dovevo stare alla larga da lei, ma cavolo che buon sapore ha. E la mia eccitazione è tutta lì, nonostante la sua risata. Scuoto lo testa e torno a baciarla.

Sì. Stare zitti è la miglior cosa.

La afferro per il sedere e la sollevo. È così leggera che potrei lanciarla nello spazio.

Le sue gambe mi circondano la vita, la gonna di jeans le si solleva ed il suo sesso entra in contatto con la patta dei miei pantaloni.

La sua lingua è calda, succosa, ed il retrogusto di birra mi dà alla testa.

«Di sopra» ansima «Andiamo al piano di sopra»

Cerco le scale e mi avvio. Sto attento a non cadere mentre continuo a baciarla e toccarla. Anche le sue dita hanno iniziato ad intrufolarsi sotto la maglia, a graffiarmi la schiena, a sfiorarmi il pisello. Ma quello che più di tutto mi sta facendo perdere il controllo, sono i suoi gemiti. Ogni tanto le sfuggono quando la tocco nel punto giusto, o quando le lecco il collo. Non vedo l’ora di morderla nel suo punto più tenero, di leccarla fino a consumarla, di assaggiarne ogni sapore.

Arrivati sul pianerottolo mi indica la porta in fondo al corridoio.

Entriamo in una stanza buia e le sue mani si agganciano alla mia maglia, tirandola.

Avanzo a tentoni fino a quello che penso sia il letto. Allungo una mano è sento la stoffa morbida delle lenzuola. Mi piego e la lascio cadere sul materasso, non fa rumore.

Mi metto dritto e mi sfilo la maglia, le sue mani corrono alla mia cintura ed iniziano a slacciarla.

Nel buio risuona il tintinnio della fibbia, la zip dei jeans, ma le sue dita non vanno oltre. Mi accorgo che anche lei si sta svestendo.

Vorrei accendere una luce, vederla nuda.

Ma ricordo quanto mi fosse sembrata magra con i vestiti addosso. Meglio non rompere la ritrovata poesia proprio adesso. Meglio farlo al buio, la immaginerò con il fisico di quando l’ho vista al ristorante la prima volta. Finisco di spogliarmi e torno nudo sul letto.

Allungo le mani e cerco il suo esile corpo. Le accarezzo la pelle ed evito le zone con più ossa, non mi va di rompere l’illusione.

Lei allarga le gambe ed io mi fiondo in mezzo.

La bacio di nuovo e quando i nostri sessi entrano in contatto, mi rendo conto che è un po’ asciutta. Scendo adagio con la bocca sul collo, proseguo sul seno che è stranamente prosperoso. Al tatto sembra essere naturale. Continuo a scendere, leccandole l’addome troppo piatto, scendo ancora più in basso. Incontro un sottile strato di peluria, proprio come piace a me. Curata ma non pelata.

La bacio con foga e la lecco tutta, sentendo i fremiti della sua eccitazione.

Inizia ad agitarsi sul letto e con una gamba mi cinge il collo, calcando il tallone sulla mia schiena.

Quando è pronta, con una mano mi tira i capelli per farmi tornare su.

Seguo l’ordine e risalgo lentamente, soffermandomi un po’ di più sul seno. Mordendole i capezzoli turgidi, lasciandole sfuggire uno di quei gemiti che mi stanno mandando al manicomio.

I suoi fianchi si sollevano impazienti, la sto torturando, ma anche io sono al limite, quindi le do quello che chiede.

La penetro, il suo sesso è bagnato e accogliente, sembra fatto apposta per me, mi accoglie come una guaina, calda e umida. Emetto un gemito soddisfatto e lei urla. Musica per le mie orecchie.

Le sue dita affondano nelle mia schiena i suoi gemiti sono diventati una sinfonia del piacere ed io la ascolterei per ore.

Non vorrei venire mai, me la farei all’infinito per quanto è bello starle dentro, ma uno scatto del suo bacino e i conseguenti spasmi della vagina mi fanno capire che è venuta.

Per sicurezza glielo chiedo.

«Sei venuta?»

Tra un ansito e l’altro ride.

«Tu che dici, campione?»

«Dico che per una che ha appena scopato, sei ancora un tantino acida»

Lei ride di nuovo ed io rinuncio definitivamente a capirla. Mi aspettavo di venire scaraventato via, di venire ricoperto da insulti da donna emancipata e suscettibile. Invece lei ride.

«Sono rimasta in astinenza per un po’, sarà per quello»

mi dice, continuando a muoversi.

Questo mi ricorda che io ancora devo finire e che sono sul punto di esplodere.

Le do due colpi più veloci e decisi, strappandole delle urla che mi fanno pentire di aver accelerato, esco appena in tempo e le inondo l’addome, o il letto. Cazzo. È ancora tutto buio.

Ansimando rotolo sulla schiena e la sento armeggiare con qualcosa.

Un bagliore improvviso illumina la stanza e mi fa chiudere gli occhi.

Li riapro lentamente e mi ritrovo ad osservare un soffitto rosso. Le pareti sono grigie e tutta la mobilia è in materiali plastici neri e dorati. Il letto in cui siamo stesi ha le lenzuola bianche con dei ghirigori grigi.

Mi giro verso di lei che si sta asciugando la pancia con dei fazzolettini. Me ne porge uno.

«Il bagno è lì, se vuoi»

dice, indicandomi una porticina alle sue spalle.

«Bagno in camera, che lusso»

commento prendendo il fazzolettino.

«La casa è di Ali, io sono solo un’inquilina»

Proprio come me con Andy. Mi alzo e vado verso il bagno.

Al contrario della camera da letto con i suoi colori forti, il bagno è una valanga di celeste pastello: le piastrelle lucide, i sanitari, la doccia.

Mi guardo allo specchio, sono sconvolto.

Ho le guance arrossate, i capelli sparati in aria, i segni dei morsi sul collo e sul petto. Mi giro di schiena ed anche lì, unghiate ovunque. Wow.

Mi sciacquo il viso e poi mi siedo sul bidet per pulirmi meglio.

Quando torno in camera lei si è messa addosso una specie di camicia da notte. Mi sorride.

«Fatto?»

Annuisco. Vado in cerca dei miei boxer e lei si chiude in bagno.

Perfetto, posso rivestirmi e magari andarmene prima che torni. Mi siedo sul letto invece, ed è così morbido. Improvvisamente mi sento spossato. Penso al fatto che dovrei chiamare un taxi, aspettarlo e poi andare a casa, mentre alle mie spalle c’è un materasso invitante e grande.

«Ti scoccia se dormo qui?»

Lei non risponde subito. Poco dopo esce dal bagno tamponandosi il viso con un asciugamano.

«Nessun problema»

dice, gettando la tovaglietta nel cesto dei panni sporchi.

*****

Che strana cosa che è il corpo umano.

Avrei giurato di essere tornata vergine dopo tutto questo tempo, invece, con un po’ di aiuto, sono andata alla grande. Quanto mi era mancato il sesso.

Ian, poi, è la fine del mondo. Si capisce che è uno che ci dà dentro parecchio. Non credo di aver mai goduto così. Non che vantassi chissà quali esperienze, ma diamine, ho ancora le gambe molli.

Mi guardo allo specchio, niente, ancora non vedo niente. Meglio così. Non mi sarei sopportata tutta accaldata e soddisfatta. Preferisco restare una massa informe, indefinita.

La voce di Ian mi arriva ovattata, mi chiede se può fermarsi a dormire.

Sciacquo il viso e ci penso.

Ci ho fatto sesso, che sarà mai spartire il letto. Esco dal bagno asciugandomi il viso.

«Nessun problema»

gli faccio sapere, getto l’asciugamano nel cestino accanto alla porta.

Lui annuisce e si stende sul letto. Dalla mia parte. Questo è un problema, ma non glielo voglio dire.

Non mi va di parlare, non mi va di spiegare, non mi va.

Sospiro e vado verso il letto. Lui ha già chiuso gli occhi. Sollevo il lenzuolo e mi stendo.

Lo guardo di nuovo, sembra addormentato. Mi sollevo su un gomito e mi allungo per spegnere l’abat-jour. Lui apre gli occhi e mi fissa con quei suoi occhi di un colore innaturale. Stupendi.

«Non vorrai il bacio della buona notte»

Scuoto la testa e rido.

«Voglio solo spegnere la luce e credevo dormissi. Inoltre quello è il mio lato del letto»

Alla fine gliel’ho detto. Che stupida sono.

Lui mi prende per i fianchi e mi tira sopra di se, con una manovra che non ho il tempo di capire mi ritrovo stesa dal mio lato. Ian è già girato di schiena.

Bene, è stato più semplice di quanto credessi. Spengo la luce e dormo. Ci provo almeno.

Come temevo non riesco a chiudere occhio. Sento la porta di casa aprirsi.

Bene, Ali è tornata. Quasi, quasi scendo giù di sotto e le chiedo di Andy. Sto per alzarmi ma poi penso che le dovrei dire di Ian, e lei inizierebbe a fare delle domande alle quali non so e non voglio rispondere. Inoltre non credo riuscirei a sopportare i suoi occhi che si riempiono di aspettative, e se dovesse fiorirle un altro sorriso, poi, credo che non reggerei. Meglio restare a letto a fissare il buio.

Quanto buio che c’è in questa stanza. Non filtra nulla da fuori. Nemmeno un forellino della serranda da cui far entrare un raggio di luce del lampione proprio fuori la mia finestra.

Vorrei accendere l’abat-jour, ma il respiro pesante di Ian, mi ricorda che non sono sola.

Mi immobilizzo e chiudo gli occhi, il sonno arriverà, prima o poi.

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