Sapevamo entrambi che eravamo sull’orlo di qualcosa.
«Mi dispiace, ho urtato...» mormorai mentre cercavo di raccogliere i frammenti di vetro dal pavimento.
«Quel vaso era costoso. Il signor Riccardo non sarà contento» disse con tono beffardo la donna più giovane.
La più anziana la fulminò con lo sguardo per zittirla, ma prima che potesse parlare con me, Riccardo era già al mio fianco. Mi afferrò per un braccio e mi tirò su.
«Che diavolo stai facendo?» ringhiò, lo sguardo duro su di me.
«Mi dispiace, l’ho urtato per sbaglio e... posso pulire...»
«Ti farai male. Non voglio che tu faccia nient’altro se non andare a fare colazione. Mercedes penserà a pulire qui.»
Voltandomi, vidi la giovane donna – Mercedes – fissarmi da dietro le sue spalle.
«Mi dispiace, Riccardo. Ma davvero, posso aiutare...»
«Sei mia ospite. In questa casa non farai alcun lavoro.»
Mi prese per mano e mi condusse nella cucina dove si trovavano le altre donne. Davanti a me si apriva un ambiente ampio, elegante, con una tavola imbandita da colazione reale.
«Non sapevo cosa ti piacesse, quindi ho fatto preparare un po’ di tutto. Se non gradisci qualcosa, basta dirlo a Maria e lei te lo preparerà.»
Mi fece accomodare, tirando fuori una sedia per me con gesti quasi galanti. Non ebbi nemmeno il tempo di rispondere. Maria, la donna più anziana, ci osservava con un sorriso complice.
Riccardo si inginocchiò davanti a me, prendendomi la mano per esaminarla.
Dio.
Era incredibilmente bello in quel completo blu scuro che esaltava la sua pelle chiara e quegli occhi magnetici. Sembrava un sogno troppo reale per essere vero.
«Stai sanguinando, cazzo! Maria, portami il kit di primo soccorso.»
«Non è niente, davvero, sto bene, io...»
Volevo ribattere, ma lui aveva già le bende in mano. Maria le aveva prontamente consegnate. Pulì la piccola ferita con cura, applicò una pomata e poi una garza, tutto con dita ferme e decise.
Quando finì, i suoi occhi cercarono i miei. E io rimasi senza respiro.
Poi, inaspettatamente, le sue labbra sfiorarono la mia guancia.
Il gesto fu dolce, privo di malizia. Ma io ero già umida sotto la maglietta. E lui lo capì. Perché il suo sguardo si abbassò, passando sui miei capezzoli irrigiditi, poi scivolando tra le cosce.
Mi contorsi sulla sedia, stringendo le gambe, sperando di contenere la marea crescente del desiderio. Non poteva accorgersene. Non dovevo farmi vedere in quello stato.
«Hai dormito bene?» chiese con nonchalance.
Cercai di sembrare tranquilla. «Abbastanza... ma avrei potuto dormire molto meglio.»
Lui sorrise, sedendosi accanto a me. Si sporse in avanti per versarmi il latte nel caffè con fare rilassato, ma il suo sussurro fu tutt’altro che innocente:
«Ti piace il latte?»
Capì subito che non si riferiva al contenuto della brocca. Arrossii violentemente. Come poteva un semplice commento suonare così indecente sulla sua bocca?
«Sì...» mormorai, e il mio sguardo si abbassò involontariamente sull’evidente rigonfiamento sotto i suoi pantaloni.
Lui era eccitato in quello momento. E sapeva che io lo stavo notando.
Portai il bicchiere alle labbra. Bevvi lentamente, lasciando la lingua sfiorare il bordo. Un gesto semplice, ma che, in quel contesto, diventò deliberatamente sensuale. Il suo sguardo non mi lasciò.
Lui si divertiva. E io mi odiavo per quanto mi stavo lasciando andare.
Abbassai lo sguardo sul piatto per spezzare quel contatto rovente. Ma sapevo che ancora mi osservava.
«Quando non ci sarò, voglio che tutto quello che ti serve venga chiesto a Maria.»
Annuii. Maria, intanto, si era spostata sulla terrazza per sistemare dei vasi di fiori.
«Non so come ringraziarti. Vorrei potermi rendere utile qui, lavorare in casa tua per non sentirmi solo un peso...»
«No. Tu sei mia ospite. Ho promesso che avrei salvato tua sorella, e lo farò. Ma tu non farai nulla finché sarai qui.»
«Le sono già immensamente grata per questo. Ma... non ho un posto dove andare con mia sorella. Devo trovare un lavoro...»
«Emma, non ti caccerò. Ivy sarà la benvenuta qui. Le darò tutto ciò di cui avrà bisogno. E quando lascerai questa casa, sarà perché sarai pronta a vivere indipendentemente.»
Il modo in cui parlava... sembrava avere già un piano preciso per me. E mi spaventava.
Ma allo stesso tempo... mi affascinava.
Tutto di Riccardo era troppo. Troppo forte. Troppo bello. Troppo intenso.
«Devo andare. Ho una riunione. Ma sarai in buone mani. Ti ricontatterò nel pomeriggio. Se hai bisogno di qualcosa, chiedi a Maria.»
Mi prese di nuovo per la guancia. Le sue labbra si posarono vicinissime alle mie.
Il suo respiro era lì. Le nostre bocche quasi si toccavano.
Eppure, non lo fece.
Sapevamo entrambi che eravamo sull’orlo di qualcosa. Una tensione che cresceva ad ogni battito di ciglia.
Quando uscì, solo allora abbassai lo sguardo sulla mia tazza.
«Quello che ha detto il signor Riccardo è vero. Sono qui a sua disposizione per qualsiasi cosa, signorina Emma» disse Maria rientrando.
Le sorrisi, chiedendomi se avesse colto l’atmosfera tra me e il suo capo.
Sapeva chi era davvero Riccardo? Sapeva tutto? O faceva finta di nulla?
«Grazie, ma non ho bisogno di nulla.»
Mentii.
Avevo bisogno di vestiti. Ma la vergogna di chiederli era più grande della necessità.
Volevo anche parlare con Ivy. Ma avrei aspettato il ritorno di Riccardo.
«Mi piacerebbe aiutarla nei compiti domestici. Mi farebbe sentire utile...»
«Mi dispiace, ma non posso permetterlo. Al signor Riccardo non piacerebbe. È sua ospite, non deve lavorare. Piuttosto, si rilassi. Abbiamo una sauna, una piscina, un idromassaggio...»
Stavo per rispondere, ma il telefono della cucina squillò. Maria andò a rispondere. Rimasi in piedi, incerta se andare via o aspettare.
«Sì, signore. Lo riferirò subito alla signorina.»
Tornò da me con un’espressione gentile.
«Il signor Riccardo mi ha chiesto di informarla che tra circa un’ora arriverà un team con vestiti e scarpe adatti a lei.»
Rimasi immobile per un attimo. Era stato attento. Aveva mantenuto la promessa. E io... non sapevo nemmeno come reagire.
«Lui...»
Non riuscii a finire. Maria mi guardò, leggendo chiaramente il mio imbarazzo.
«La camicia sembra quasi un vestito, ma credo di avere qualcosa per lei. Nulla di elegante, ma andrà bene. Vieni.»
Le sorrisi con gratitudine.
Se Riccardo si fidava di lei, potevo farlo anch’io.
Riccardo Cappone
Da quando avevo lasciato la villa, non avevo smesso di pensare a Emma. Ogni foglio che sfogliavo, ogni cifra che analizzavo… era come se il suo viso si fosse impresso dietro le mie palpebre. E più cercavo di concentrarmi, più desideravo tornare da lei.
Era un rischio. Lo sapevo. Ma quel rischio aveva il profumo della sua pelle e il sapore delle sue labbra.
Ero immerso tra mappe e percorsi, valutando le prossime spedizioni. Marcello, il mio consigliere e uomo di fiducia, sedeva di fronte a me con un’espressione che conoscevo troppo bene: stava per dire qualcosa che non mi sarebbe piaciuta.
«Smettila di guardarmi così. Dimmi cosa ti rode» dissi senza alzare lo sguardo dai documenti.
«Capo... non dovrei dirlo. È una tua scelta, dopotutto. Ma...»
Si zittì quando alzai lentamente gli occhi su di lui.
«Attento a quello che dici, Marcello. Sei mio amico. Ma ricordati chi comanda qui.»
Deglutì, ma poi annuì.
«Lo so, Riccardo. E parlerò da amico, allora. Penso che quella ragazza ti porterà guai. Seri. Dovresti mandarla in un’altra città, sparire per un po’... almeno finché le acque non si calmano.»
Alzai un dito. Stop. Lui obbedì.
«La porterò via quando sarà il momento. Quando sarò certo che nessuno potrà più toccarla.»
Come se le mie parole avessero aperto un varco nel destino, il telefono squillò.
Lo schermo mostrava un nome che avrei voluto dimenticare: Victoria.
Sospirai. Ogni parte di me voleva ignorare quella chiamata. Ma non potevo. Non con lei. Non con la figlia di Don Nico Pandetta. Sapevo che evitarla poteva costarmi caro.
