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Piccola Mia – L’ossessione del Boss

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Luna Venere
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Riepilogo

«Non l’ho scelto. Lui mi ha reclamata. E ora… nemmeno l’inferno potrà portarmi via da lui.» Quando Emma Torricelli viene venduta come pagamento di un debito, crede di essere stata condannata. Ma l’inferno ha occhi chiari, mani segnate dall’inchiostro, e un nome che incarna il pericolo: Riccardo Cappone. Non è un uomo che ama. È un uomo che possiede. Che comanda. Che protegge. Sotto la sua maschera di gelo si nasconde un’ossessione bruciante, un bisogno che lo consuma. Emma non sa se deve temerlo… o fidarsi di lui. Ma ogni sguardo, ogni ordine, ogni tocco la spinge più a fondo in un mondo fatto di paura e desiderio. Lei è la sua debolezza. Lui, il suo rifugio più pericoloso. Tra vendette, giuramenti spezzati e passioni che sfidano ogni logica, Emma e Riccardo scopriranno che l’unico modo per salvarsi… è perdersi l’uno nell’altro. «Era nato per distruggere. Ma con me, imparava a proteggere.» «E io, per la prima volta, non volevo più fuggire.»

MafiaTriangolo AmorosoSegreti18+DominanteVero AmoreBadboyPossessivoVerginegravidanza

Lui in me

Prologo

"Ero in pezzi, ma ogni frammento di me sarebbe stato amato, venerato e curato come un tesoro sacro."

Emma Torricelli

Accelerai il passo nei corridoi ovattati. Le mie scarpe tradivano ogni intenzione di silenzio; ogni battito del cuore era un tamburo di guerra contro la paura. Sapevo di poter essere vista, fermata. Ma nulla, nemmeno le pistole delle guardie, era più minaccioso del vuoto che Riccardo aveva lasciato in me.

Arrivai davanti alla sua porta. Nessuna telecamera, nessuno spioncino. Solo quella finta tranquillità prima della tempesta. Bussai piano, trattenendo il fiato.

«Ho detto che non voglio essere disturbato, dannazione!»

La sua voce roca e impaziente mi trafisse. Poi la porta si aprì di scatto. Apparve. A torso nudo, occhi iniettati di sangue, l’alito che sapeva di alcol e disillusione. Il corpo ancora forte, ma segnato, consunto dalla notte e da tutto ciò che aveva perduto di umano.

Il suo sguardo si fece tagliente.

«Emma? Non dovresti... Non qui. Lasciami in pace.»

La freddezza della sua voce era come ghiaccio colato nelle mie vene. Ma non potevo più tacere.

«Non posso. Non finché non affrontiamo ciò che è rimasto sospeso. Mi avevi giurato amore… mi avevi promesso il mondo.»

Rise. Un suono amaro, velenoso, colmo di disprezzo.

«Povera illusa. Le promesse di un uomo come me non valgono nulla. Abbiamo giocato, Emma. È finita. Ti garantirò un futuro. Protezione. Ci sono donne che darebbero la vita per molto meno.»

Quelle parole — fredde, taglienti, spietate — mi squarciarono l’anima.

«Sono incinta.»

Un sussurro. Ma nel silenzio che calò, risuonò come un tuono.

Lui si irrigidì. Il suo volto però rimase impassibile, distante. Nei suoi occhi solo un vuoto glaciale.

«Non importa. Vattene. Sparisci.»

La voce si fece più dura, implacabile. Un ordine che non lasciava scampo.

Il mio sguardo scivolò a terra. Lingerie. Graffi. L’eco di un’altra.

Fu allora che capii: sapeva. E non gli importava.

Me ne andai. Non urlai. Non implorai. Solo silenzio. Le lacrime cadevano da sole, salate, dense, come se ogni passo portasse via un pezzo della mia anima.

Nel parcheggio, ormai solo un’ombra nella notte, accarezzai il ventre ancora piatto, ma già colmo di promesse.

«Ti amerò, piccolo mio. Anche se il mondo ci ha voltato le spalle... io non lo farò mai.»

Capitolo 1 – Emma Torricelli (revisionato)

La lingerie mi sembrava un’arma puntata contro di me. Troppo sottile per coprire, troppo provocante per non umiliarmi. Ma il mio corpo, ormai, non mi apparteneva più. Solo mia sorella contava. Dovevo salvarla.

La voce dell’uomo che deteneva il mio destino tagliò l’aria come una lama.

«Inizia lo spettacolo. Ricorda: soddisfa il cliente o sarà l’ultima notte della tua misera esistenza.»

Un brivido mi attraversò la schiena. Non per paura. Ma per rabbia. Per il dolore muto. Per quella fragile, disperata speranza di salvezza che ancora cercavo di non soffocare.

Mi trascinò nel corridoio come una bestia condotta al macello. L’aria era umida, pesante, impregnata di sudore e umiliazione. Arrivammo al palco. Le luci erano accecanti, la musica assordante. Intorno a me, corpi nudi o seminudi che danzavano come se l’anima fosse già svanita. Anch’io danzai. Fingendo seduzione, mentre dentro ero solo rovine.

Quando la mia esibizione finì, una voce ruvida mi richiamò:

«Ehi, ragazza. Hai un cliente.»

Mi avvicinai al bancone, combattendo con i pensieri che mi stritolavano la mente.

Un’altra porta. Un altro sconosciuto. Un altro passo verso l’abisso.

«Primo piano. Prima porta a destra.»

Il tono del barista era indifferente, vuoto. Quelle parole furono l’ultimo chiodo nella bara della mia dignità.

Mi fermai davanti a quella porta, il cuore in tumulto, le mani fredde e incerte. Bussai.

«Avanti.»

La voce dall’interno era profonda. Autorevole. Pericolosa. E, inspiegabilmente, ipnotica.

Entrai.

Lui era lì. Seduto come un re decadente sul suo trono di peccato. Nudo fino alla vita. Tatuaggi scurissimi gli percorrevano il petto e le braccia, come mappe di una guerra mai finita. Fumava, ma era il suo silenzio a bruciare più del tabacco.

«Balla per me.»

Obbedii. Ogni movimento era un’offerta. Ogni passo, un sacrificio. Lui mi osservava, impassibile, mentre si toccava seguendo il ritmo del mio corpo. Tremavo. Non solo di paura. Ma anche di qualcosa che non volevo nominare.

«Chiudi gli occhi.»

Lo feci. E sentii. La sua bocca. Le sue dita. La sua lingua. Il mio corpo reagiva come se avesse dimenticato il motivo per cui era lì. Un tradimento caldo, liquido, vivo.

Poi tutto si fermò. Un suono secco. Uno strappo. Aprii gli occhi.

Era lì. Mi guardava. Il suo sesso eretto, venato, carico di minaccia e desiderio.

«Vieni.»

Mi avvicinai. Ogni passo era un tradimento alla mia volontà, ma anche un richiamo oscuro. Quando mi sollevò e mi posizionò sulle sue spalle, affondai. La sua bocca era un’arma tra le mie cosce. Il suo tocco, una condanna e una redenzione. Quando gemetti, sapeva di avermi spezzata.

Il bacio fu feroce. Bruciante. Non c’era tenerezza. Solo fame. Fame di me.

Le sue dita scivolarono tra le mie cosce con padronanza assoluta. Ma quando raggiunsero il mio clitoride e lo accarezzarono con sicurezza, qualcosa cambiò. Si fermò. Il suo tocco divenne esitante, quasi incerto. Il silenzio che cadde fu più assordante di qualsiasi parola.

Poi la sua voce, roca e carica di tensione, si abbatté su di me:

«Cazzo... non dovresti...»

Mi irrigidii.

Aprii lentamente gli occhi. Lo trovai che mi fissava, il respiro pesante, lo sguardo torbido di confusione.

Aveva capito. Aveva sentito la pelle intatta. Aveva riconosciuto il confine sacro non ancora violato.

Qualcosa cambiò nel suo sguardo. Non era più solo desiderio. Era consapevolezza. Era coscienza. Era dannazione.

«Ti prego, scopami.»

Le parole uscirono da me prima che la paura potesse bloccarle.

E fu allora che il mondo cambiò.

Mi prese. Senza pietà. Senza redenzione. Ogni spinta, ogni gemito, era un grido che diceva: sei mia.

Mi voltò. Mi invase di nuovo. E quando venne dentro di me, sentii che non ero più mia. Ero sua. Completamente. Dannatamente sua.

Mi lasciai cadere, svuotata e colma allo stesso tempo. Lui mi osservava. Non con disprezzo. Ma con qualcosa di più pericoloso: un riflesso di cura.

«Ehi… ti ho fatto male? Eri vergine... dannazione.»

«Non preoccuparti… Sono venuta qui per questo.»

Mentii. Con il cuore in gola e l’anima a pezzi.

Non mi pentivo di aver dato a lui la mia verginità. Avevo provato piacere, e lui era bellissimo.

Ma dopo di lui, avrei potuto essere consegnata a qualsiasi altro uomo…

E con ognuno di loro, avrei dovuto farlo.

Per dovere. Non per desiderio.

Lui serrò la mascella. Il suo sguardo scavava dentro di me, feroce.

«Dimmi la verità, o…»

«Non mi picchiare... ti prego...»

E fu lì che lo vidi.

Non solo desiderio.

Ma smarrimento.

Come se in me avesse trovato qualcosa che non sapeva di star cercando.