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Capitolo 2

Anno 2015

L’appartamento pareva spoglio.

Gli unici mobili distribuiti selvaggiamente negli angoli, erano utilizzati solo a sostenere le numerose pile di libri che erano serviti a Helena per laurearsi.

Finalmente era riuscita a raggiungere il suo scopo: avere la laurea in scienze comportamentali, legate alla criminalità nella sua forma più pura.

Era stata l’unica donna del suo corso e forse anche dello stato dello Utah ad ottenere un titolo così prestigioso, ma Helena era sempre stata una ragazza originale, particolare ed estremamente intelligente.

Nonostante fosse espansiva ed avesse un carattere mite, Helena restava una persona riservata e con una spiccata personalità ed era proprio per merito di questa che aveva deciso di specializzarsi in criminologia.

Ma c’era anche un altro aspetto nel suo carattere che non brillava per niente, un aspetto che la metteva in difficoltà, era brava a nascondersi e lo faceva sempre per evitare qualsiasi tipo di relazione che potesse legarla definitivamente ad una persona.

Forse nel suo dna risiedeva un tarlo antico che la indirizzava là dove nessuno avrebbe potuto raggiungerla, ecco perché si era decisa a studiare la psicologia comportamentale di criminali che avevano compiuto reati gravissimi.

Solo con quel tipo di frequentazioni sarebbe stata paradossalmente al sicuro, perché fare esperienze con i reclusi avrebbe anche significato non rischiare di intrecciare rapporti, e il modo per non farlo lo aveva appena trovato.

Sarebbe andata al St. Jonas Circondarial Home, il penitenziario di massima sicurezza, fondato dal pioniere mormone Jonas Write.

Si narrava che Jonas Write, il mormone più famoso di Salt Lake City, fosse giunto durante l’inverno del 1847.

Non appena ebbe modo di posare lo sguardo sulla Great Salt Valley gli si accese una luce dentro; nel cuore di quella terra brulla e desolata avrebbe costruito un’imponente struttura in grado d’ intimorire chiunque la guardasse.

Ci vollero anni, sudore e sacrifici ma Jonas ebbe il suo sogno.

Un sogno che per lui divenne una visione, ossia far comprendere alle genti, che quella prigione, sarebbe stata un monito, una sorta di avviso per tutti coloro i quali si sarebbero ribellati alle regole e alla disciplina della sua dottrina.

Un simbolo di forza e di eccellenza, dunque, dove tutti avrebbero desiderato esplorane i segreti e Helena, certamente, non avrebbe fatto eccezione.

Nonostante fosse una mormone mancata e avesse scelto il cattolicesimo con grande determinazione, la curiosità di quel posto non si era mai sopita e sembrava chiamarla come il canto di una sirena.

Era tornata da New York solo da qualche settimana, ossia da quando aveva spedito alla Commissione per la Giustizia Penitenziaria, la domanda per l’ammissione al Programma di Recupero.

Quel periodo trascorso nella città che non dormiva mai, l’aveva trasformata in una creatura diversa, che bramava ambizioni e desideri di successo, ed ora aveva tentato il colpo grosso, se questo fosse andato a segno, avrebbe avuto la sua occasione.

E poi era successo.

Helena Winkler fu convocata la settimana successiva dal direttore del Carcere S. Jonas tramite un telegramma speciale, consegnato ventiquattrore prima da un addetto della posta penitenziaria.

Incredula ed eccitata, si era vestita in fretta e furia, scegliendo però con cura il suo abitino rosso piuttosto corto.

Si era raccolta i folti capelli castani, formando un piccolo chignon non molto perfetto, quindi aveva imboccato la statale 424, in modo da giungere in breve tempo davanti al cancello del carcere.

Non le era mai accaduto prima di sentirsi così ansiosa e apprensiva, ma quella chiamata era arrivata in anticipo rispetto ai suoi calcoli, calcoli che l’avevano portata ad organizzare tutto alla perfezione.

Ed ora tutta quella pianificazione era andata a puttane!

Quando si trovò davanti alla massiccia ed imponente costruzione, le parve di essere ingoiata in un angusto territorio sconosciuto, si sentì così minuscola, inerme e impaurita da sentirsi quasi invisibile.

La muraglia, grigia e possente, che affiancava il cancello pareva invalicabile, senza contare le torrette dislocate ai quattro angoli sulle quali le guardie, ogni due ore, cambiavano il loro turno di appostamento.

Il picchetto d’ingresso la accolse con garbo e la invitò ad entrare

“Miss Winkler il direttore Smith la sta aspettando nel suo ufficio, mi segua”

Helena sorrise timidamente, annuì e restò in silenzio, quindi seguì quell’uomo restandogli appiccicata.

Percorsero il lungo corridoio d’entrata poi arrivarono nel grande atrio centrale; le celle erano dislocate in diverse aree denominate con le lettere dell’alfabeto che davano un preciso significato al cosiddetto “braccio”.

In genere i bracci si dividevano per separare i detenuti in base ai reati commessi, una politica costruttiva e organizzativa, secondo il volere del direttore Smith.

Il suo ufficio era situato proprio al centro del grande androne.

Helena varcò la porta di quella stanza, preceduta dal secondino che si scostò di lato non appena si accorse della presenza dell’uomo più potente della prigione, dell’uomo che, ogni giorno, decideva ogni fottuta punizione di tutti i detenuti rinchiusi lì dentro.

“Si accomodi” disse con tono gentile David Smith, direttore del Saint Jonas da quasi dieci anni.

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