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Capitolo 7 - Ginger

Ho stretto le gambe per scacciare via la strana sensazione che mi ha invaso, un calore che mi ha attraversata, andando poi a fermarsi sul mio sesso. È da pazzi anche solo pensare una cosa simile, lasciarsi condizionare dalle parole di un criminale, di uno come Peterson. Ma c’è qualcosa nel suo tono di voce che continua a risuonare dentro di me. Era sincero. Lo so, lo sentivo. E nonostante io sia pienamente consapevole di trovarmi di fronte a un soggetto potenzialmente pericoloso, l’immagine si è insinuata nella mia mente: le mie gambe strette attorno ai suoi fianchi, la sua lingua che mi lecca, che esplora ogni angolo del mio intimo.

Scuoto la testa, cercando di scrollarmi di dosso quella fantasia insensata, ma il battito accelerato del mio cuore mi tradisce.

«Allora? Come è andata?»

La voce di Thomas mi riporta alla realtà. È lì che mi aspetta, il suo corpo appoggiato con falsa nonchalance a una sedia, ma il suo sguardo è vigile, curioso. Quando mi vede, si solleva e mi viene incontro. Sembra che nulla sia successo tra di noi, e forse è proprio così. Per lui, probabilmente, non sono altro che una donna da scopare quando gli va, un buco in cui affondare le sue frustrazioni.

«Senza di te, splendidamente,» taglio corto, passando oltre di lui e fingendo che non esista.

«Non permetterti mai più di fare quello che hai fatto oggi,» ribatte Thomas, la sua voce bassa, carica di risentimento e rabbia trattenuta.

Mi fermo di colpo, voltandomi verso di lui. Lo fisso con uno sguardo gelido, il tipo di sguardo che uso per tenere a distanza chiunque osi mettermi alla prova. «Ah sì? E altrimenti cosa mi fai? Mi ammazzi di botte, come ha fatto Peterson con la fidanzata?»

Il sarcasmo tagliente nella mia voce lo colpisce come una lama ben affilata. Vedo la tensione nella sua mascella, il tic nervoso del muscolo che si contrae mentre trattiene una replica istintiva. Non risponde subito, ma il silenzio dice più di mille parole.

«Non è divertente, Ginger,» dice infine, con un tono più basso ma non meno irritato.

«No, non lo è,» ribatto senza battere ciglio, mantenendo lo sguardo fisso nel suo, come una sfida aperta. «Ma non corro questo rischio. Mica sono la tua fidanzata, giusto?»

Le mie parole sono come un colpo diretto, che lo lascia senza fiato per un istante. Il suo respiro si fa più pesante, e il suo sguardo si abbassa per un momento, prima di risollevarsi con una nuova determinazione. Poi sospira, rumorosamente, come se cercasse di scrollarsi di dosso il peso della conversazione, e mi segue mentre riprendo a camminare verso l’uscita del carcere.

Finalmente, varchiamo le porte di metallo. Fuori, l’aria è fresca, un contrasto netto con la pesantezza opprimente che si respira lì dentro. Per un attimo, mi lascio invadere dalla sensazione di leggerezza, anche se so che non durerà a lungo.

«Ginger… senti, mi dispiace,» dice Thomas, rompendo il silenzio. La sua voce è smorta, priva di quella sicurezza che normalmente lo caratterizza.

«Non dispiacerti per finta, non ne vale la pena,» rispondo secca, continuando a camminare senza rallentare.

Lui accelera per starmi dietro. «Quello che cercavo di farti capire è che i nostri assistiti non devono approfittarsi di noi e noi non dobbiamo essere clementi con loro.»

Mi fermo di nuovo, stavolta con un movimento deciso. Mi giro verso di lui, i miei occhi che lo fissano con fermezza. «Miller, tu pensa al tuo lavoro, che io penso al mio.»

Lui annuisce, anche se il gesto sembra forzato, quasi meccanico. «Va bene, non interferirò più… te lo prometto.»

Promesse. Le promesse di Thomas non sono mai state affidabili. Sono vuote, un modo per placare le acque prima di tornare a comportarsi come al solito. Non mi fido di lui, e non intendo iniziare ora.

«Staremo a vedere,» taglio corto, lasciandolo lì mentre mi avvio verso il parcheggio.

Ogni passo che faccio mi allontana dalla sua presenza ingombrante, ma il peso della giornata resta sulle mie spalle. L’aria è più leggera fuori, ma dentro di me il tumulto è lo stesso.

Quando arrivo alla mia macchina, sento la sua mano afferrarmi per il polso. Mi tira con forza verso di sé, e prima che possa reagire, mi ritrovo tra le sue braccia. La sua mano spinge contro la base della mia schiena, premendomi contro il suo corpo. Il suo viso è davanti al mio, così vicino che riesco a sentire il suo respiro caldo sulle mie labbra.

«Lasciami andare,» dico, ma la mia voce esce incerta, distorta.

Non voglio ammetterlo, ma Thomas ha ancora una presa su di me. Un’attrazione che non riesco a soffocare del tutto.

«Perdonami, Ginger,» sussurra, il suo fiato che mi accarezza il viso. «Stasera esci con me, ti porto a cena per farmi perdonare.»

«Ho già un altro impegno.»

«Disdicilo!»

La sua bocca sfiora appena l’angolo delle mie labbra, un tocco leggero che mi fa chiudere gli occhi per un istante.

«Dài, Ginger… ti lecco la figa fino a farti venire.»

«Vai al diavolo, Miller.»

Con uno scatto mi libero dal suo abbraccio, lo spingo via con forza. Non sono così disperata. Non ho bisogno di lui per provare piacere.

Thomas mi lascia perdere, e il sollievo mi invade quando finalmente salgo in macchina e chiudo la portiera dietro di me.

Il viaggio verso l’ospedale, dove c’è il mio studio, è silenzioso, ma la sua voce, le sue parole, continuano a rimbombare nella mia mente. Sistemo alcune questioni con i miei pazienti, ma tutto sembra avvolto in una nebbia. Quando torno a casa, lascio cadere la borsa all’ingresso e corro in bagno.

Riempio la vasca con acqua bollente e sali aromatici, accendo un paio di incensi e mi spoglio lentamente, lasciando cadere ogni strato di vestiti, ogni traccia della stanchezza della giornata.

Le parole di Peterson tornano a galla. «Se fossi stato fortunato come Thomas Miller, ti avrei fatto urlare per il piacere e non te l’avrei mai negato.»

Chiudo gli occhi, scivolo nell’acqua calda e mi lascio andare. La mia mano scivola lentamente sul mio corpo, trovando la leggera peluria del mio pube. Mi faccio coraggio, sfioro il clitoride con le dita, iniziando a massaggiarlo piano. Un gemito mi sfugge dalle labbra mentre mi mordo il labbro inferiore.

Spingo dentro di me l’indice e il medio, cercando quella pienezza che le mie dita non riescono a darmi. Mi inarco appena, il piacere che cresce con ogni movimento, e nella mia mente l’immagine si forma da sola: le mani forti di Peterson che mi tengono, la sua bocca che esplora il mio corpo, il suo sguardo che mi possiede.

Non dovrei pensare a lui. Non dovrei. Ma la mia mente, come il mio corpo, sembra non voler ascoltare.

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