Capitolo 3 - Ginger
Non riesce a gestire la rabbia. Un classico. Il solito uomo che crede di avere le palle, ma basta un niente per farlo esplodere e mandare a puttane una vita intera. Questo è William Peterson. È alto, massiccio, i capelli scuri gli ricadono sulla fronte in modo disordinato, e i suoi occhi, ora fissi su di me, sembrano pozzi senza fondo, pieni di rabbia e frustrazione. Le sue iridi scure si accendono di lampi minacciosi, ma non mi lascio intimidire. La divisa arancione da detenuto pende larga sul suo corpo robusto, un’amara sostituzione della sua vecchia divisa da poliziotto.
«Che ne dice di iniziare subito?» affermo con risolutezza, la mia voce ferma, autoritaria.
Abbasso lo sguardo solo per appuntarmi una nota veloce sul blocco di carta che tengo davanti. Afferro la penna nera con sicurezza, il suo peso familiare mi aiuta a mantenere la calma.
«A fare che?» ribatte con un tono scocciato, quasi annoiato, ma percepisco la tensione che si annida sotto la sua apparente indifferenza.
Non ho paura di lui, ma forse è meglio che Thomas Miller sia qui con me. Con un uomo come Peterson, è sempre meglio non rischiare, soprattutto con quell’umore che sembra pronto a esplodere da un momento all’altro.
«Perché non mi racconta cosa è successo?» chiedo, sollevando lo sguardo per incontrare i suoi occhi. La mia voce è calma, ma ferma.
Lui mi scruta, gli occhi fissi nei miei. Non cede, non abbassa lo sguardo, e sento l’aria tra di noi caricarsi di una tensione elettrica. «Penso che glielo abbiano già riferito.»
«Sì, l’hanno fatto, ma io voglio sentirlo da lei,» rispondo con calma, accentuando ogni parola.
Un sorriso freddo si allarga sulle sue labbra. «La mia fidanzata mi ha tradito con mio fratello e io ho prima picchiato lei e poi sparato a lui. Fine della storia. Piaciuta?»
La sua provocazione mi infastidisce, ma mantengo il controllo. A stento. Vorrei mollargli un ceffone, perché odio gli uomini che alzano le mani sulle donne. Li castrerei tutti, li chiuderei in una cella e getterei via la chiave.
«Era la prima volta? La prima volta che picchiava Theresa Sullivan?»
L’ho letto nel suo fascicolo ieri sera. So già la risposta, ma devo sentirla da lui. Lo osservo attentamente mentre pronuncio quelle parole, e qualcosa nel suo volto cambia. È impercettibile, ma c’è. Un lampo di esitazione, una crepa nella sua maschera di durezza.
«No,» ammette, e questa volta la sua voce è più bassa, quasi un sussurro.
Se non fossi così sicura di me e del mio lavoro, potrei dire che ha appena mostrato vergogna. È un bel casino per me e Thomas, perché significa che Peterson non è pazzo. Ha picchiato la sua ex e sparato a suo fratello con lucidità.
«Quante altre volte è successo prima?» chiedo, tenendo il tono neutro, anche se la tensione mi stringe lo stomaco.
«Solo un’altra volta.»
«Quando, precisamente?»
«Oh, al diavolo!» sbotta, sbattendo le mani sul tavolo con un rumore secco. «Lo sa già, perché cazzo deve farmelo ripetere?»
Il suo tono si alza, la rabbia divampa. Ma Thomas è dietro di lui, pronto a intervenire. Gli posa una mano pesante sulla spalla e lo spinge con fermezza contro la sedia, impedendogli di alzarsi.
Mi sollevo, inclinandomi sul tavolo, avvicinandomi a lui finché il mio viso è a una spanna dal suo. Sento il suo respiro caldo sulla mia pelle, carico di rabbia.
«Stammi bene a sentire, Peterson,» dico, e la mia voce si abbassa di un’ottava, diventando così tagliente che potrebbe tagliare l’aria come una lama. Mi sporgo sul tavolo, il viso talmente vicino al suo da percepire il calore del suo respiro. «Alza di nuovo il tono con me e ti farò pentire di avermi incontrata. Mi sono spiegata?»
Le mie parole cadono come pietre, e nella stanza scende un silenzio pesante. Peterson non indietreggia, però. Il suo sguardo si aggancia al mio, scuro, ostinato, pieno di una rabbia che lo consuma dall’interno. Il suo naso sfiora il mio, e per un attimo sembra quasi un confronto fisico, più che verbale.
«Non ho paura di te,» sussurra infine, la sua voce come un veleno che scivola lento ma letale.
«E invece dovresti averne,» ribatto, senza cedere terreno, la mia postura rigida come una trappola pronta a scattare. «Non sai cosa ti aspetta.»
Per un istante sembra che la tensione debba esplodere in qualcosa di più, ma la voce di Thomas rompe l’incantesimo.
«Ginger!» Il tono del mio partner è un misto di avvertimento e fastidio, come se fossi io quella che ha perso il controllo.
Con un respiro profondo, mi ritraggo e ritorno al mio posto, ma non prima di lanciare a Peterson un ultimo sguardo penetrante, come a dirgli che non ho ancora finito con lui. Mi scocco poi un’occhiata a Thomas, fredda e tagliente. Non sopporto di essere ripresa, meno che mai da lui, non oggi. Non dopo che mi ha lasciato insoddisfatta stamattina.
«Dimmi quando hai picchiato di nuovo Theresa Sullivan!» ripeto con un tono glaciale, il ghiaccio nelle mie parole abbastanza spesso da tagliare qualsiasi resistenza.
Peterson digrigna i denti, il suo sguardo si abbassa per un attimo, ma ritorna subito a fissarmi con rabbia. «Un mesetto prima dell’ultima volta,» risponde infine, le parole sporcate dalla tensione che gli si aggrappa alla gola.
«Come mai?»
Il suo viso si contorce in una smorfia. È come se ogni domanda lo costringesse a rivivere quei momenti, a rimestare in un fango che vorrebbe lasciarsi alle spalle.
«Avevo appena scoperto che mi tradiva con mio fratello,» confessa, la voce più bassa, quasi un ringhio soffocato.
«In quale circostanza?»
Sospira, un suono pesante e frustrato. «Sta scherzando, vero?» ribatte, ma io non distolgo lo sguardo.
«In quale circostanza?» insisto, il tono che si fa più affilato.
«Eravamo in uno studio medico, di un ginecologo.»
Le sue parole cadono come un macigno nella stanza. Lo osservo attentamente, ogni linea del suo volto, ogni muscolo teso, ogni movimento delle mani che si stringono in pugni, le nocche che diventano bianche.
«Perché?»
La domanda lo colpisce come un proiettile. Peterson si irrigidisce, le spalle larghe si sollevano leggermente, come se stesse trattenendo il respiro. La rabbia brucia nei suoi occhi, ma questa volta c’è qualcos’altro. Dolore.
«Perché volevamo un figlio,» sputa fuori infine, le parole pesanti e amare come veleno. Poi il suo sguardo si oscura ancora di più. «E lei ci era già stata da quel dottore, a mia insaputa, per farsi prescrivere la pillola del giorno dopo visto che con mio fratello non si era fatta scrupoli a...»
Le parole gli muoiono in gola, soffocate dalla frustrazione e dall’umiliazione. Gli occhi vacui si abbassano per un istante, ma solo per poi ritornare a incontrare i miei con una sfida silenziosa.
La memoria lo sta divorando. Posso quasi sentire il peso di quei momenti, il modo in cui lo hanno spezzato. Le sue mani tremano leggermente, i pugni serrati come se stesse cercando di trattenere un’esplosione.
«Quindi siete andati in quello studio medico di comune accordo?»
La domanda è volutamente neutra, ma dentro di me sento un groviglio di emozioni che mi stringe lo stomaco. So già la risposta, ma voglio che sia lui a dirla. Voglio sentirla dalla sua voce, guardare il suo volto mentre le parole si formano sulle sue labbra.
«No.»
«Quindi Theresa Sullivan non voleva avere figli, giusto?»
«No.»
«E tu?»
La domanda rimane sospesa nell’aria. Lo osservo sollevare lo sguardo verso di me, e c’è un attimo, un brevissimo attimo, in cui vedo qualcosa cambiare nei suoi occhi. La rabbia sembra affievolirsi, lasciando spazio a qualcosa di più profondo.
«No,» sospira infine, e la mia penna si blocca sulla carta.
Lo guardo, e per un momento tutto quello che vedo è un uomo spezzato, intrappolato nella sua stessa rabbia e nei suoi errori. Ma non posso permettermi di provare pietà. Non per uno come lui.
