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05

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Parcheggio al suo posto e aspetto.

Sorrido, aspettando mentre le dico « tutto in nero, un po’ elegante. »

Sospirando, tiro la testa all’indietro quando la vedo.

Oggi sarebbe stata una giornata.

Lei apre la porta e si siede.

I suoi ricci castani le scendono lungo la schiena, i suoi occhi azzurri risaltano grazie al mascara.

— Pronta ?

— Mi sento come un cane. Ti seguo ovunque. — Mormora.

— Allora sii il moi cucciolo. — Dico, uscendo dal complesso e cominciando a guidare.

Guardo le sue gambe, il tessuto che abbraccia le sue cosce così strettamente che quasi ne sono geloso.

Arrivo al capannone e lei si congela.

— Dove siamo ? — Mi chiede.

— Un posto proibito dove la gente viene tenuta per… cose poco piacevoli. Sei pronta ? — Le chiedo, slacciandomi la cintura.

— V-voglio vedere qualcuno morire ? — Mi chiede.

— Oh, mia cara fiore. Te ne ho parlato ieri. Penso che oggi potrei fare un bel colpo. — Faccio un sorriso malizioso.

Lei imbroncia e scende dall’auto.

Controllo la mia pistola e la infilo nel fianco.

— Ti diverte tutto questo ? — Mi chiede mentre camminiamo dentro.

— Dopo le prime venti persone diventi insensibile al dolore degli altri. Quindi sì, direi che mi piace. — Annuisco e accendo la luce.

Due uomini sono seduti, con la bocca tappata come avevo chiesto.

— Dai, Dahlia, tesoro. — Prendo una sedia e mi siedo.

— Devo guardare ? — Mi chiede.

— Sì. — Le dico.

Si siede.

Vado da lei, le prendo il mento e le sollevo il viso per guardarla negli occhi.

— Sono un uomo cattivo, fiore, ma nessuno ti farà mai del male finché sarai mia. Le mie mani sono morbide solo per te. Capisci ? Lo ricorderai ? — Le chiedo e nei suoi occhi vedo un’emozione delicata. Sta iniziando a fidarsi di me.

— Posso, sì. — Sussurra, guardandomi negli occhi.

Annuisco e mi alzo.

Tolgo il bavaglio dalla bocca del primo uomo.

— Piccola, prendi un’altra sedia per me, per favore ? — Le chiedo e lei fa come le dico.

Mi siedo e poggio i gomiti sulle gambe.

— P-per favore, signore, ho una famiglia da mantenere. Sto facendo del moi meglio per ottenere i tuoi soldi, ma ho bisogno di più tempo. — Piange.

Sbadiglio.

— Non mi interessa. Ho tracciato i soldi, in realtà hai giocato d’azzardo. Per tre giorni consecutivi. Non dire stronzate sulla famiglia quando ti ho dato cinque settimane per avere questi soldi. Ti ho dato tre, poi altri due. Sono stato generoso e tu hai preso la mia gentilezza come se fossi un fottuto avido. Ora. Dove sono i miei soldi ? — Le chiedo.

— G-Gabriel ? — Sento.

— Sì ? — Tengo gli occhi fissi sull’uomo.

— Quell’uomo è suo amico ? Penso che voglia dire qualcosa. — Sussurra piano da dietro di me.

Mi alzo, mettendo di nuovo il bavaglio nella bocca dell’uomo.

Tolgo il bavaglio dall’altro.

— È a casa mia. Non sapevo fosse per te, mi ha detto di nasconderlo e che poi mi avrebbe spiegato tutto, e ora sono qui. So chi sei e so che la polizia è dalla tua parte, quindi ti prometto che non dirò una parola. — Non sta mentendo.

— Dove si trova ? — Chiedo, tirando fuori il moi telefono.

— Appartamento 377 D. Entra e dietro il mobile della TV c’è un grosso buco quadrato. Penso ci siano 25 mila di quei 30 mila lì. Dio, non mi interessa di lui, voglio solo tornare a casa. — Mi dice.

Mi giro.

— Ti dispiace darmi una mano, fiore ? — Le chiedo e lei cammina verso di me.

Le passo il moi telefono chiamando Chase.

— Capo ? — Chiede.

Annuisco verso di lei.

— Appartamento 377 A nel moi complesso, dietro il mobile della TV c’è, ehm, un grosso buco e ci sono 25 mila dollari. Gabriel vuole che tu li prenda e mi chiami quando hai finito ? — Mi guarda e annuisco.

Sono internamente orgoglioso e sorpreso che sia disposta.

Il moi cazzo è d’accordo.

Mi restituisce il telefono.

— Ti chiamerà di nuovo, se non stai mentendo, ti terrò d’occhio per un po’, ma sarai libero di andare. — Dico e lui annuisce.

— Però, tienimi intrattenuto. — Tolgo il bavaglio dal suo amico e sorrido mentre cominciano a lottare.

— Morirò per colpa tua ! — Blah blah blah, piangi pure, bastardo.

Sbadiglio, girandomi e mettendo la sedia di Dahlia accanto a me.

Lei si siede lì, a guardare.

— Non è poi così male. Almeno per ora. — Mi guarda storto.

— Questa è la parte difficile. Uccidere è semplice. Se scelgo di farlo veloce. — Sorrido.

Lei imbroncia.

— Il moi stile di vita ti spaventa ? — Le chiedo.

— Sì. — Annuisce.

— Perché ? — Le chiedo.

— Sembri… come se potessi arrabbiarti facilmente. Ho paura più per me stessa che per queste persone. — Indica loro.

— Non ti fidi di quello che ti ho detto ? — Sorrido.

— Non esattamente. È colpa mia. So che ti sei comportato bene per come sembri essere. Sono grata di essere ancora viva. Ma ho paura di diventare troppo a moi agio. — Confessa.

— Cosa posso fare per aiutarti a fidarti di me ? — Le chiedo.

— Non sono sicura. — Mormora.

— Va bene. Ti guadagnerò la tua fiducia alla fine. Cadere è inevitabile. Lasciami solo prenderti. — Guardo l’uomo mentre il moi telefono vibra.

Le passo il telefono.

— Sì ? — Dice.

— È il capo ? — Chiede Chase.

— Sì, me l’ha dato. — Dice lei.

— È fatto, abbiamo contato e sono 26 mila. — Parla.

— Grazie. — Chiude e mi restituisce il telefono.

Prendo il moi coltello dalla cintura e glielo passo.

— Sciogli l’altro. — Dico e lei sospira, il respiro irregolare.

Fa come le chiedo e poi scioglie le sue caviglie mentre si alza.

Non corre ancora.

— Zip. — Dico.

— Ti prometto, M-Mr. Aldine. — Dice e gli faccio un cenno verso la porta mentre corre via.

— E ora c’è solo uno. Fiore ? — Dico e lei mi guarda, restituendomi il coltello.

Mi siedo e le indico il pavimento.

— Siediti. — Dico e lei si siede.

Si siede tra le mie gambe e le prendo i capelli saldamente.

— È un suono forte, specialmente qui dentro. Se ti ronza nelle orecchie dovrebbe passare. Ti tremerai, potresti urlare o gridare. È per questo che ti ho portato fin qui. Capisci ? — Le chiedo e lei annuisce.

Mi abbasso e le bacio la fronte mentre si aggrappa alla mia gamba.

— Pronta ? Vuoi coprirti le orecchie o chiudere gli occhi o qualcosa del genere ? — Le chiedo.

— N-no. — Mormora.

Prendo la mia pistola e la carico.

Le sparo direttamente nell’occhio e lei sobbalza, gasping per lo splatter di sangue dall’altro lato della sua testa.

Si gira e mette la faccia contro la mia coscia, coprendosi gli occhi.

Poso la pistola sul pavimento, svuotando il caricatore.

Aspetto mentre sento il suo corpo tremare e scuotere.

Le faccio scorrere le mani sulla schiena, la sua pelle è la più morbida che abbia mai sentito.

Non sembra piangere, però.

— Stai bene, fiore moi ? — Le chiedo a bassa voce.

Annuisce ma non sento che mi stia dicendo la verità.

Le prendo le braccia e la tiro su sulle mie ginocchia mentre il suo viso cade sulla mia spalla.

— Cos’è stato ? — Le chiedo.

— Le mie orecchie. T-il disastro. — Balbetta e chiamo la squadra di pulizia.

— Non so se hai lo stomaco delicato, quindi potrebbe sembrare stupido chiederti, ma vuoi mangiare qualcosa dopo che ti sei rilassata ? — Le chiedo.

— Non lo so, non hai un’altra persona da sistemare ? — Si solleva leggermente e mi guarda.

Le prendo la faccia e faccio una smorfia.

— Ce l’ho, ma non devi… —

— No, voglio farlo. Non ho mai sentito un colpo di pistola né visto un occhio non essere più un occhio. La prossima volta dimmi dove miri, per favore ? — Mi chiede e io mi congelo.

— Stai scherzando, vero ? — Dico, stringendo gli occhi.

— No. — Mi dice.

— I-uhm, va bene. — Mi alzo e la metto in piedi.

Si guarda indietro e si allontana da me mentre guarda.

— Hai mai colpito qualcuno negli occhi con un coltello ? — Mi chiede.

Sta ancora tremando mentre guarda l’uomo deformato.

— Sì. — Annuisco.

— Com’è colpire qualcuno negli occhi ? — Si chiede.

Sbatto le palpebre, non sapendo se dovrei essere preoccupato o felice.

— È come colpire un blocco di polistirolo. Però più soddisfacente, se non ti senti male. — Le dico e lei osserva mentre la squadra entra e si avvicina a me.

— Hm. — Sembra più curiosa che spaventata.

— Mi stai facendo preoccupare. — La conduco via dal capannone.

— Sto preoccupando anche me stessa. Non è così male come pensavo, credo che sia stato lo shock iniziale. — Mi dice e sale in auto.

— Pranzo o seconda fermata ? — Chiedo.

— Uhm, pranzo. Ho fame. — Batto le ciglia, scuotendo leggermente la testa, il cuore che mi batte forte.

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