PROLOGO
È come se il mondo si fosse fermato. Più cerco di lasciare il passato chiuso dentro un cassetto, più questo avanza, prepotente, insolente e viene verso di me a muso duro.
Ho paura. Così tanta paura che non mi accorgo di aver lasciato la mano a Benjamin e di indietreggiare, spaventata, non vedo più niente, non sento più niente quando faccio dietro front e scappo via. Corro, scanso gente, spingo le persone che mi intralciano il passaggio. Ho il cuore in gola, fatico a respirare. L’ascensore è occupato e non posso aspettare oltre, sento che se non correrò veloce, mi fermerà e allora dovrò fare i conti col passato e riaprire certe ferite, sentirmi piccola, sapere di aver sbagliato, di aver fatto una stronzata, di essere codarda, come quando un genitore ti beccava sul fatto e tu non potevi più negare l’evidenza e allora ti rimproverava e tu ti sentivi piccolo, piccolo, sapevi di averla combinata grossa e le uniche parole che uscivano dalla tua bocca erano: “non lo faccio più.”
Quindi, non lo farò più, lo giuro. Non scapperò più dal mio passato, non farò più finta che questo non esista, ma non ora. Ora non sono pronta per questo faccia a faccia, non sono psicologicamente preparata a questa guerra. Forse domani. Sì, domani sarò pronta, ma ora, ora lasciami scappare, lasciami l’illusione che sia io ad avere il coltello dalla parte del manico, lascia che mi autoconvinca che sia io a voler affrontare il passato e non viceversa.
