Capitolo 7
Vasilisa
Ero in ritardo per l'appuntamento al bar. La mia matrigna aveva deciso che per oggi non bastava un solo viaggio con Orlov, dovevamo assolutamente andare a una qualche cerimonia in onore di una qualche beneficenza sponsorizzata da Ignat. Non avevo ascoltato bene, quindi non me lo ricordavo. Sono riuscita a distrarla a malapena per andare in una direzione molto più utile. Sapevo che dopo si sarebbe infuriata. Ma non pensavo di ritardare molto. Pensavo di restituire ciò che non mi apparteneva, prendere ciò che era mio e tornare indietro, e poi, pazienza, andare con lei, anche se con un po' di ritardo, dove aveva tanta fretta di andare. Avrei sopportato un po' - non era la prima volta, sempre meglio che sgridarla e poi doverci rimuginare sopra per giorni. Era ancora più sorprendente rendersi conto che tutti i miei piani stavano andando in fumo. E perché? Perché non avrei dovuto fermarmi a bere un caffè con lui. Non avrei nemmeno dovuto parlare con lui. Infatti, più tempo passavo in compagnia di quello sconosciuto, più la sua aura affascinante mi avvolgeva in una rete sempre più fitta e resistente. Per quanto mi sforzassi di divincolarmi, non riuscivo a liberarmi. Non riesco a spiegare in altro modo da dove mi sia venuta tanta stupidità, non solo non sono salita sul taxi come avevo intenzione di fare, ma mi sono lasciata coinvolgere da ogni sua frase come un'ultima sciocca.
E anche adesso...
«Non vivo qui», dissi, guardando pensierosa il bosco invernale che si estendeva davanti a noi.
Non era un'osservazione. Non era una domanda. Era solo una constatazione.
Avrei dovuto almeno spaventarmi!
Ma accanto a quell'uomo, per qualche motivo, non avevo affatto paura. Il mio cervello si stava sciogliendo, forse per il suo sorriso, forse per il timbro penetrante della sua voce, forse semplicemente perché tutta la mia essenza, in modo inaspettato persino per me stessa, era disperatamente attratta da lui. O forse per tutte queste cose insieme.
«Lo so», annuì l'autista. «Giochiamo?» propose subito dopo, voltandosi verso di me e socchiudendo maliziosamente gli occhi.
E di nuovo il mio cervello ordinò di vivere a lungo. Separato dalla sua padrona. E quell'umore folle si trasmise in un attimo.
«Io scappo in un bosco buio buio gridando aiuto, tu mi raggiungi, mi leghi, mi metti nel bagagliaio e mi porti direttamente all'anagrafe?», sorrisi, ricordando la nostra recente conversazione.
«No», sorrise anche lui. «È troppo noioso e banale».
«Oh... anche così», mi interessò ancora di più. «E allora cosa facciamo?».
E sì, la prudenza era l'ultima cosa a cui pensavo in quel momento. E per qualche motivo sapevo che il ragazzo dai capelli scuri non mi avrebbe fatto del male. Provavo un irrazionale senso di fiducia nei suoi confronti. Contro ogni logica. Forse era davvero inutile, ma volevo crederci. Comunque, in un attimo dimenticai tutto. E tutto perché:
«Dormire!» annunciò solennemente l'uomo.
Lo guardai come se fosse pazzo.
«Cosa?» si fece finta di stupire lui. «Volevi un'avventura, no? Che ti manca?»
Per un attimo pensai che non sempre riuscivo a capire quando scherzava e quando parlava sul serio.
Proprio come adesso.
Beh, è uno scherzo, no?
«Ma dai!» Questo pazzo non si lasciò impressionare dal mio sguardo.
Feci appena in tempo a battere le palpebre che lui si avvicinò bruscamente e mi afferrò la vita, attirandomi a sé.
«Prova a immaginare», mi sussurrò all'orecchio. «È notte. Il bosco è buio. E tu sei sola. In compagnia di uno sconosciuto. Nessuno lo sa. Basta per spaventarsi?
La paura non arrivò. Ma al suono della sua voce roca, un brivido mi corse lungo la schiena. La gola si seccò improvvisamente. Espirai rumorosamente e mi leccai le labbra. E poi...
«Considerando che questo sconosciuto mi ha ingannato in modo subdolo, promettendo di non fare nulla di simile, allora sì», risposi, avvicinandomi a lui quasi fino a toccarlo, sfiorando le sue labbra con le mie in una provocazione esplicita. «Dovrebbe bastare».
Uno sguardo di colore indefinito, che non riuscivo a distinguere chiaramente nell'oscurità dell'abitacolo, si fissò immediatamente sulla mia bocca.
«Continua così e mi dimenticherò davvero della mia promessa», mi avvertì con tono severo. «Non sfidare il destino, bambolina», mi lasciò andare.
E questo, tra l'altro, è un bene. Perché se non mi avesse lasciata andare, avrei sicuramente detto qualche stupidaggine. O fatto qualcosa di stupido. Negli ultimi minuti, un pensiero mi tormentava in modo ossessivo. Il bacio. Il desiderio irrefrenabile di sentire il sapore del suo respiro. Scoprire che sapore potesse avere. Con lui. E così ebbi anche il tempo di raccogliere le idee, dato che lui non solo si era allontanato, ma aveva anche lasciato l'abitacolo riscaldato. Lo seguivo attraverso il parabrezza. L'uomo si è fermato un attimo, guardandosi intorno, e solo dopo mi ha aiutato a uscire. E non appena mi sono avvicinata, l'auto dietro di me ha lampeggiato, segnalando che mi aveva bloccato il passaggio.
«Quest'anno non c'è molta neve, ma comunque stai attenta. Meglio se segui le mie orme», mi disse, guardando le mie scarpe e, apparentemente soddisfatto di ciò che vedeva, si voltò e si addentrò nel bosco.
Mi tirò per mano. Considerando che i suoi passi erano lunghi quanto tre dei miei, non c'è da stupirsi che quasi subito affondassi nella neve. L'uomo si fermò e sospirò, guardandomi dall'alto dei suoi due metri.
«Sei mai uscita dalla città?» mi chiese con una risatina.
«Le Maldive contano?» chiesi con tono lamentoso, guardandolo dal basso verso l'alto. «Bursa?»
«Capisco, non sei esperta di escursioni», disse il brunetto con un grugnito e con un gesto sicuro mi sollevò in braccio, continuando il nostro cammino proprio così, insieme a me. «Non girarti, altrimenti cadiamo entrambi», mi avvertì. «L'ultima volta che sono stato qui è stato quasi dieci anni fa. Non sono nemmeno sicuro che stiamo andando nella direzione giusta».
«Uh-huh», borbottai in segno di assenso.
E... girandomi bruscamente dalle sue braccia, lo tirai verso di me. Sì, caddi di nuovo. Di proposito. Ma questa volta non solo io. E non nella neve, ma su un corpo forte e caldo. Il mio compagno si girò in tempo sulla schiena, impedendomi di affondare di nuovo nel profondo cumulo di neve. Mi lanciò uno sguardo tutt'altro che amichevole.
Perché l'ho fatto?
Semplicemente perché ne avevo voglia.
Sembrava troppo infantile?
Sicuramente. Ma se scappa terrorizzato dai miei capricci, meglio che se ne vada subito. Sono stufa di fingere di essere una "bella fatale" e una "signora compassata".
