Capitolo 4
Yaroslav
Fuori dalla finestra della caffetteria dove mi ero sistemato, nevicava fitto, impedendo di vedere bene gli edifici vicini. La gente camminava avvolta in sciarpe, tirando giù i cappucci per ripararsi dalle raffiche di vento freddo, mentre intorno brillavano le insegne e i lampioni. Alla vista di tutto quel trambusto prenatalizio, il mio animo era pervaso da una profonda malinconia. Era passato solo poco tempo da quando avevo lasciato l'esercito, solo pochi giorni, ma era come un'eternità. Non per niente, dopo un anno di servizio militare obbligatorio, avevo deciso di continuare con un contratto. E in sei anni non me ne ero mai pentito. E sarei sicuramente rimasto lì se non fosse stato per le circostanze.
Comunque, posso sempre tornare se capisco che a casa non ho ancora niente da fare. E sono tornato solo per la morte di mio nonno e per l'eredità. Che, a dire il vero, non mi serve a niente. Quello che c'è, c'è. E senza quello posso vivere. Nella flotta del Pacifico pagavano abbastanza bene. E non c'era molto da spendere. Così ho deciso di prendere quello che era successo come una piccola vacanza. E al diavolo l'eredità. Al momento avevo un problema più urgente: i bagagli. E se dei vestiti, in generale, non mi importava nulla, c'erano alcune piccole cose che volevo davvero riavere. E penso che anche la ragazza con cui avevamo scambiato le valigie all'aeroporto quella mattina le volesse. La ragazza che era già in ritardo di un buon mezz'ora per un appuntamento.
Forse era rimasta bloccata nel traffico?
Eppure aveva scelto lei stessa l'ora e il luogo.
Ho già bevuto due caffè. Il mio e il suo. Stavo per rinunciare e andarmene, quando ho sentito il suono dei campanelli che annunciava l'apertura della porta. Quella che stavo aspettando, senza fiato come dopo una lunga corsa, si è fermata davanti a me, respirando affannosamente.
«Buonasera. Scusa, ho fatto tardi», ha mormorato con voce confusa, porgendomi la mia borsa.
Presi il peso con un cenno di ringraziamento e le passai il suo bagaglio. Non avevo fretta di dire qualcosa. Feci solo un cenno alla cameriera per chiederle di avvicinarsi. E mi aggiustò gli occhiali sul naso. Avrei voluto toglierli, ma le lenti erano nella borsa e non sopportavo che mi fissassero. Alcuni volevano assolutamente farsi una foto con me per ricordo. Come se avessero trovato un animale raro. Come se non avessero mai visto il colore blu con riflessi viola. Beh, sì, è una cosa rara da vedere, ma non così sorprendente al giorno d'oggi. Ci sono così tante lenti diverse e loro si stupiscono di queste piccolezze. Che gente strana, le donne.
«Non hai toccato niente lì, vero?», mi ha chiesto la bionda guardandomi di sbieco.
«Contromessa», sorrisi, appoggiandomi allo schienale della sedia e incrociando le braccia sul petto.
«L'hai chiesto tu per prima», disse lei alzando il naso con aria di sfida, il che mi divertì non poco.
«Allora l'hai toccato», verdò sulle sue parole. «Anch'io. Bisognava capire a chi restituire le cose. Quindi non mi scuso», dissi socchiudendo gli occhi e guardando la ragazza con più attenzione che all'aeroporto.
Carina. I capelli biondi sciolti con riflessi dorati e lunghi poco sotto le scapole incorniciavano il viso rotondo dai lineamenti morbidi. La pelle era color latte. Gli occhi verdi con delle sfumature marroni intorno alle pupille guardavano in modo aperto e gentile, con una punta di curiosità. Ma le labbra... Guardandole, sentii un brivido lungo la schiena. Le avevo notate già all'aeroporto. E ora, con il lucidalabbra, mi facevano venire voglia di sentirle sul mio pene.
Mmm...
L'astinenza non fa bene ai marinai. Per niente.
«E come ti hanno aiutato i miei tre completi di biancheria intima a capire a chi restituire la borsa?», disse lei con tono sarcastico, mordendosi il labbro inferiore, senza sospettare che così facendo stava mettendo a dura prova la mia pazienza.
Esitò solo un secondo e si sedette di fronte a me, mettendo da parte la borsa, poi incrociò le braccia sul petto, inarcando un sopracciglio in attesa.
«A chi? Non lo so. Ma almeno ora so che hai una terza di seno e che i tuoi fianchi misurano poco più di novanta centimetri», non la delusi. «Ma a trovare te mi ha aiutato il tuo taccuino».
Mentre parlavo, la ragazza arrossì profondamente. Aprì la bocca per rispondermi, ma la richiuse subito, notando la cameriera che si avvicinava a noi.
«Non ho bisogno di altro, grazie. Solo per la mia accompagnatrice», le dissi. «Scegli quello che vuoi», proposi alla ragazza seduta di fronte a me.
«Che gentile», disse la biondina con un sorriso timido, prima di rivolgersi alla cameriera. «Un cappuccino con cannella e scorza di limone», disse senza nemmeno guardare il menu. «Pago io», aggiunse con decisione.
Io alzai gli occhi al cielo.
«Ah, questi problemi dei moderni», espressi il mio pensiero sulla sua testardaggine.
«Non voglio che pensi che ti debba qualcosa solo perché mi hai offerto da bere».
«Per un caffè e un pasticcino, o per quello che avresti ordinato tu?», chiese scettico, scuotendo la testa. «In tal caso, non voglio nemmeno sapere con chi hai a che fare, se in un semplice gesto di cortesia e buona educazione vedi subito una minaccia per te stessa». Senti, — si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sul tavolo, — e se ti avessi invitata in un posto più intimo, avresti visto in me un maniaco, vero? — non poté fare a meno di precisare, senza smettere di sorridere.
È divertente.
«Allora non vedresti più la tua borsa», disse la ragazza, ripetendo il mio gesto con le spalle. «E che posto sarebbe, a proposito? Sono curiosa», aggiunse sottovoce.
