La Biondina 4° Cap.
La confessione
Era indubbiamente bella la biondina, e quella luce tragica negli occhi cerulei resi ancor più luminosi del pianto, le conferiva un aria di sensuale sofferenza.
Giungevo a provare una empatica comprensione per il dramma che stava vivendo.
In fondo, pensavo, la sua colpa era solo di essersi fatta ingenuamente beccare con quel cetriolo rubato e le mutandine calate.
Un peccato veniale, comune alla maggioranza delle allieve del collegio e per questo, la poveretta, rischiava una infamante cacciata.
- Mi spiace, ma non posso far diverso. - disse Rinoldi, con tono fermo e inappellabile - Lacrime tardive ragazza mia. Dovevi pensarci prima. Regole e disciplina fanno di questo istituto, da quasi due secoli, un collegio d'élite. Non mi è possibile transigere su un fatto tanto vergognoso.
Nella stanza era sceso un silenzio gelido, fui turbata io stessa dalla drammaticità del momento.
Rinoldi riprese a parlare. - Oltre queste lacrime di maniera, non hai ammesso immediatamente la tua colpa. Certamente avresti continuato nei tuoi furti e nella tua pratica perversa senza alcun senso di colpa. Questo non ispira certo clemenza nei tuoi confronti.
Lei sempre con gli occhi umidi del pianto, trovò la forza, tirando su col naso, di biascicare qualcosa.
- Le dirò tutto professore. Questo mio peccato non nasce casualmente. Purtroppo è 'attitudine di cui sono afflitta fin da bambina.
Potrei dire che si tratta quasi di una malattia, una distorsione della mia natura. Giuro, se mi ascolta, le racconterò ogni cosa fino in fondo.
Rinoldi atteggio il viso a una dubbiosa, altera, pazienza.
- Bene! Alla buon'ora. Avanti, ti ascolto.
La ragazza iniziò a parlare con un refolo di voce velata dal magone.
Bisbigliava quasi fosse in un confessionale.
Fortuna che la stanza possedeva buona acustica, ma dovevo allertare le orecchie per non perdere parti del racconto.
- Ebbene professore, io soffro, fin da piccola, di un singolare disagio. Sono afflitta da una natura concupiscente che mi reca un continuo tormento dei sensi, inducendomi, senza tregua, a darmi piacere. Mi creda, ho cercato di combattere questa mia inclinazione, divenuta nel tempo un vizio. Essa mi travolge mio malgrado, incendiandomi i sensi e privandomi di volontà.
Sembrava sincera: l'atteggiamento contrito e il viso stravolto dal pianto, le davano un aspetto di vergine addolorata.
- Fin da bambina, – iniziò a raccontare la giovane - sentivo in me questa pulsione, che data l'età non sapevo ancora classificare, ma è stato nella pubertà che ho compreso il suo legame con la sfera della sessualità.
Accadeva infatti che, quando fossi costipata, mia madre ordinasse alla mia tata di praticarmi un clistere.
Mi accorsi che questo stato di turbamento psico-fisico, mi avveniva quando la cannula della peretta, lubrificata con vaselina, veniva, lentamente, affondata nel mio ano.
Inizialmente pareva una sensazione fastidiosa, ma poi diveniva così gradevole che iniziavo ad ansimare di piacere.
Certo, non lo davo a vedere, sentivo che questa cosa potesse risultare vergognosa agli occhi degli adulti: quindi mascheravo quella sensazione di voluttà con sospiri che erano interpretati come lamenti di malessere.
Al punto che la tata sovente mi sgridava, dicendo che ormai ero grande, e non era il caso di fare tante storie per un clistere.
In realtà, desideravo di sentire quella cannula rigida scivolarmi poco a poco nel budello morbido: lo sfintere aveva contrazioni spontanee.
Il professore seguiva quel racconto mantenendo una indecifrabile espressione in viso, mentre la biondina continuava la narrazione con gli occhi bassi e il volto in fiamme.
- Questa mania non mi ha mai abbandonato, anche dopo i dodici anni, quando iniziavo lo sviluppo adolescenziale, ho continuato a fingermi indisposta per ottenete un clistere salutare. Mia madre essendo una convinta assertrice di questo rimedio non esitava a farmelo praticare: ha sempre sostenuto, infatti, che un intestino libero sia essenziale per una buona salute fisica e spirituale.
Quando me lo praticavano, fingendo una finta resistenza muovevo il culetto: in apparenza per sottrarmi alla penetrazione, ma in realtà volevo agevolarne un inserimento più profondo.
Poi, quando era tutta dentro, impazzivo nel sentire il liquido caldo invadermi l'intestino. Stringevo le cosce per comprimere il clitoride turgido, il sesso mi si allagava di succo e colavo come una lumaca che spurgasse le sue bave.
Al sentire quella accorata confessione, mentre Rinoldi si manteneva imperturbabile, io iniziavo a sentirmi seriamente turbata: pensare a lei con le mutandine calate, il suo bel culo invitante e quella cannula che le penetrava lentamente nell'ano, mi procurò una reazione fisica: un fiore di liquidi si allargò nel triangolo delle mie mutandine, infischiandosene del tampax.
- Al termine del clistere ero al culmine del climax, professore.
Avrei urlato per la voglia che mi struggeva: correvo subito a liberami l'intestino e mentre ero sulla tazza, non potevo fare a meno di toccarmi in modo selvaggio.
Mi sentivo una maialina, quella penetrazione anale, aveva un gusto depravato, immorale e mi procurava un orgasmo devastante.
Rinoldi a quel punto evidentemente sentì la necessità di fumare: prese dal tavolo la sua elegante pipa di radica, da una scatola di Dunhill 965 lì accanto, caricò il fornello di tabacco.
L'accese con cura, quindi aspirò una corposa boccata del fumo aromatico, il volto assunse un'espressione concentrata e pensosa.
- Quindi, se comprendo bene, tu sei affetta da un vizio compulsivo che ti porta a cercare una soddisfazione sessuale, attraverso una stimolazione anale, è così?
- Si professore, quando mi si bagna il sesso perdo la testa e devo introdurmi qualcosa nel culetto per raggiungere il piacere.
Crescendo sono passata a usare altri mezzi per soddisfarmi; così ho iniziato a usare gli oggetti più disparati: pennarelli, candele, il manico di una spazzola, ortaggi e quando non trovavo cosa usare, inserivo diverse dita.
Insomma, la ragazza rivelava d'essere un soggetto assai interessante, non si trattava del banale furto di un cetriolo a fini masturbatori, ma eravamo di fronte a una lampante vocazione troiesca.
In ogni caso, l'idea della giovincella che andava in calore con un clistere o altri svariati oggetti inseriti nell'ano, continuava a farmi colare il sesso.
- Ma per quel motivo prediligi il retto per questi atti? - chiese Rinoldi - Non comprendo perché non ti penetri normalmente il sesso, che è fisiologicamente più adatto a dare piacere?
Pose la domanda, mentre il fumo della pipa gli creava una nuvola candida intorno alla testa.
- Si professore, ci ho pensato, ma non era possibile. Come dicevo avere l'ano pieno di qualcosa di rigido mi eccita molto, ma soprattutto è irrinunciabile, per me, di presentarmi vergine all'altare.
Lui assunse un espressione di profonda incredulità: quell'affermazione, a seguito di quanto udito finora, appariva paradossali.
Anche io nutrivo qualche ragionevole perplessità, eppure la ragazza pareva sincera e molto provata da quanto stava confessando.
- Lo so che sembra strano, ma vede professore, la mia famiglia è fortemente religiosa e praticante. Sono stata abituata fin da bambina ad andare a messa ogni domenica, e sono certa che, se dovesse venire alla luce che ho perso la verginità prima del matrimonio, ne nascerebbe un dramma cosmico.
Il mio peccato non verrebbe mai perdonato, lo capisce?
- Va bene, diamo per buono questo intento a mantenerti casta, almeno per quanto attiene al tuo imene, ma converrai che infilarsi tutte quelle cose nel retto, non si può certo definirlo un comportamento virtuoso.
- Ha ragione, ma non le dico quanto ho lottato per vincere questa mia malsana pulsione e questa natura lussuriosa che mi ritrovo. Mi sono imposta una dieta ferrea povera di proteine, alternata a digiuni totali. Ho bandito dalla mia alimentazione cibi calorici o dolciumi, ogni alimento che possieda un qualche effetto afrodisiaco.
Sono giunta a dimagrire in maniera impressionante. Mi sono inflitta punizioni corporali per castigarmi, ore interminabili d'esercizio fisico per esaurire le energie e debilitare l'esuberanza della mi sensualità.
Ma nulla è servito, il richiamo delle mie voglie alla fine trionfava sempre e dovevo trovare godimento.
Se me lo consente proseguo nel raccontarle le mie tristi vicissitudini.
- Apprezzo gli sforzi compiuti per combattere il tuo vergognoso comportamento, non deve essere stato facile. Continua pure figliola: ti ascolto. - la incoraggiò Rinoldi.
- Sì, professore, ho tentato anche, con le novene di preghiera, ma durante le orazioni, forse per colpa del "Maligno tentatore", mi venivano certe fantasie sconce che pensavo di commettere un sacrilegio: ho dovuto smettere. Non parliamo poi dei bagni freddi, mi immergevo anche in inverno nell'acqua gelida, per sbollire la febbre che mi faceva ardere.
Ma così finivo col raffreddarmi e costiparmi, e a quel punto mia madre per curarmi, mi faceva praticare il solito clistere. -
- Insomma – aggiunse il professore – I tuoi sforzi sono risultati vani.
- Esatto! Sono giunta anche ad applicarmi delle mollette da bucato ai capezzoli, per mortificare la carne e punire la mia dissolutezza. Ottenevo un dolore intenso, ma ahimè, scoprivo che la cosa mi eccitava e mi ritrovavo la figa impastata di secrezioni.
A quel punto non potevo fermarmi, iniziavo a toccarmi soavemente: schiudevo le grandi labbra, scivolando in quella fessura lubrificata di succhi, lo facevo senza penetrarmi, stringevo però, con forza, il clitoride fra i polpastrelli, fino a togliermi il fiato.
Alla fine, non potendo farne a meno, mi introducevo fino a tre dita nel culetto. Così, mentre me le pompavo dentro, mi carezzavo il sesso con l'altra mano, andavo avanti finché l'orgasmo non mi travolgeva, lasciandomi sfinita e in un lago tra le cosce. -
- Deve essere stato terribile vero? - commentò comprensivo Rinoldi.
- Sì, terribile mi creda. Mi sentivo così sporca. Non c'era modo di sedare questo demone che mi possedeva. Così sono passata a introdurmi oggetti sempre più voluminosi nel buchetto anale, il quale era divenuto sempre più sensibile, ma anche straordinariamente elastico, morbido e ricettivo.
Il nostro professore continuava la sua lunga pipata: poi forse, per quanto aveva udito, o per una boccata di fumo andata di traverso, fu colto da un attacco di tosse.
Quando riuscì a calmare quello sfogo, riprese a parlare.
- Ma benedetta figliola, mi domando se questo tuo "disturbo", che deve certamente procurarti non pochi fastidi, non trarrebbe giovamento da una terapia analitica, da un supporto medico. Insomma da qualcuno che possa affrontare con te il problema e aiutarti a superarlo?
- Si, ho cercato l'aiuto di qualcuno. Una persona fidata, saggia e matura alla qual confidare le mie pene, che mi avrebbe consigliato la strada più giusta per affrontare il mio problema. Le giuro professore che credevo d'averla trovata.
- Ah? Molto bene! Chi era questa persona con la quale ti sei confidata?
La biondina, restò un momento pensosa, fece una lunga pausa poi riprese a parlare.
- Vorrei raccontarglielo professore, ma sono dubbiosa, non fu del tutto un'esperienza positiva: confesso che mi vergogno molto a parlarne.
- Su, su! A questo punto, non vorrai mica interrompere questo sfogo. Quello che mi stai raccontando, mi rende più chiaro il difficile contesto in cui sono maturati i tuoi furti di cetrioli. Non dico che li giustifichi, ma sicuramente me li prospetta più comprensibili. Quindi, ti invito, a proseguire, ragazza mia.
Detto questo si dispose ad ascoltare il resto.
La giovane sempre con aria sofferta riprese voce. - C'era un quarantenne elegante e di bell'aspetto, amico di famiglia da moltissimi anni, io lo chiamavo zio Goffredo. Frequentava la nostra casa da quando ero bambina. Ricordo che mi teneva sulle ginocchia, e per le feste era sempre con noi, mi riempiva di regali.
Era una persona deliziosa, gentile e disponibile, con me aveva un dialogo di grande apertura e intimità. Fin da piccola mi confidavo con lui come con un amico e avevo piena fiducia dei suoi consigli.
Aveva sempre avuto, per me, parole di conforto e incoraggiamento. Quando avevo un dubbio, ricorrevo fiduciosa a lui più che ai miei genitori.
Era affascinate, oltre che un bell'uomo, nonostante la grande differenza d'età c'era tra noi un rapporto amicale molto stretto. Inoltre era un musicista e questo lo rendeva ancora più interessante ai miei occhi.
Quando raggiunsi la pubertà ne ero quasi innamorata. Quando i miei vollero che imparassi a suonare il pianoforte, lui si offrì di darmi lezioni, era eccellente come maestro.
- Capisco – disse Rinoldi – Quindi. In virtù della fiducia che ti ispirava, hai confidato a lui questo tuo problema?
- Si, professore lo feci. Ma il risultato non fu quello che mi attendevo.
La biondina, aveva nuovamente il volto in fiamme, stava sicuramente per narrarci qualcosa di estremamente piccate del suo vissuto. Confesso che mi sentivo ansiosa per quanto sarebbe seguito.
