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La Biondina

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Riepilogo

- Come sarebbe che non ti penetravi il sesso? - chiedeva perplesso il Vice Preside. - Non lo facevo perché sono ancora illibata signor Professore, e tale voglio restare fino al matrimonio. - C'era una punta di virginale orgoglio in quelle parole, però nella singolare intenzione, la ragazza mostrava di possedere dei sani principi. - Quindi mi stai dicendo che non usavi il cetriolo per penetrarti? - - Si, è così mi creda, non sono mai stata penetrata li. Lo giuro. - - Quindi a cosa ti serviva il cetriolo, quando sei stata scoperta nello sgabuzzino delle scope, con le mutandine calate e quello in mano? - Lei abbassò lo sguardo al pavimento, arrossì in maniera evidente, cercava con difficoltà le parole, era una ricerca sicuramente difficile: la tensione si manifestava nello spostare, ripetutamente, da un piede all'altro, il peso del corpo.

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La Biondina 1° Cap.

Il collegio

Guardo le acque scure del lago, riflessi d'argento su una lastra d'ossidiana.

Nei vapori del primo mattino piccole creste di spuma candida, create dalla leggera brezza, sono l'unico movimento sul grande specchio d'acqua.

Un vaporetto di linea bianco e rosso le solca.

Va così lento che pare un fermo immagine del paesaggio, la scia aperta nell'acqua si richiude rapida col pudore di una donna che, sorpresa da uno sguardo inopportuno, serri le gambe.

La bruma mattutina si dirada lenta ai raggi del primo sole autunnale.

L'umidità germoglia sui fusti delle piante, la stagione le spoglia del loro abito verde e un mare variegato d'ocra copre le rive del lago.

Stormi di folaghe, alla ricerca di cibo, sfiorano le acque con i becchi candidi, presto voleranno a svernare lontano da questo orizzonte livido.

Bevo il mio caffè caldo e amaro seduta al dehors del piccolo bar in riva.

Accendo una sigaretta: il fumo si disperde in filamenti bianchi che scivolano

come frammenti di pensieri nell'aria mossa.

Sono di passaggio, lavoro come account di una importante agenzia di

pubblicità milanese, ho cinque clienti da visitare, scorro sulla moleskine gli

appuntamenti che mi attendono: il primo è tra quattro ore.

E' ancora presto per il mio primo appuntamento: mi rilasso, il tempo non manca.

Alzo il bavero dello spolverino e rabbrividisco per scrollarmi di dosso l'impressione di freddo, la temperatura a quest'ora è ancora fresca.

Controllo nel portadocumenti della borsetta di avere una scorta adeguata di biglietti da visita: sono degli eleganti talloncini in carta leggermente goffrata con l'intestazione: “Ambra De Angeli – Accont Executive”, carattere “Verdana” corpo nove, colore nero, un classico.

Molte cose sono cambiate nel panorama che ho di fronte.

Erano vent'anni che non tornavo qui al lago, sembra siano trascorse vite intere da quel tempo, è mutato nel paesaggio urbano e qualcosa anche in quello naturale.

Ma sono cambiata anch'io: mi domando cosa sia rimasta in me di quell'adolescente d'allora.

Ero acerba e un poco folle, affamata di vita, ansiosa di crescere, il sesso era la risposta impellente ai miei ormoni troppo vivaci, sempre scossi

da turbinose tempeste.

Per placare le mie pulsioni erotiche mi sono abbandonata alle esperienze più incandescenti che le occasioni dei luoghi e dei momenti mi hanno offerto in quegli anni.

Le montagne intorno, sono uno spettacolo di rara bellezza.

Amavo l'autunno in questo luogo, che non appariva malinconico e statico come lo vedo ora.

Forse sono io, col mio umore e i miei anni trentasei anni a rendermelo così.

Avevo sedici anni, in quel tempo, ero interna a un prestigioso collegio posto sull'altra sponda del lago Maggiore, in terra Svizzera.

Era un grande edificio ottocentesco di un austero stile vittoriano: con ampie finestre sulla facciata, soffitti altissimi, stucchi e raffinate boiserie all'interno.

Un collegio dotato di un parco sterminato in riva al lago, arricchito da una

natura splendida e lussureggiante di colori e profumi nelle giornate di

primavera. L'istituto era riservato unicamente ad allieve di sesso femminile e appartenenti alla buona borghesia europea, io vi avevo frequentato il ginnasio, ed ero ormai giunta al secondo anno di Liceo Classico.

Come molte altre coetanee vivevo quell'esperienza con lo spirito di una

reclusa, una malfattrice confinata in un correzionale.

La serietà, la disciplina di studio e condotta generale, vigevano al suo interno con una rigidità assolutamente teutonica.

Il corpo docente era sceltissimo, austero al pari della struttura.

Costituito da insegnanti di qualità e credenziali adeguate al livello dell'istituto: quindi tutti puntigliosi, severi ed eccellenti nella loro materia. Insomma dei veri rompicoglioni.

Il collegio era concepito ed edificato sullo stile dei "College" inglesi, non a caso i suoi fondatori: tali Sheffer & Mullary, erano due insigni docenti di estrazione etoniana che abbandonarono le rigide nebbie britanniche, per trasferirsi nel più temperato clima lacustre del Canton Ticino, dove installare questo monumento educativo, tanto eccellente quanto esclusivo.

Il loro progetto era di forgiare, con impronta british, la formazione delle giovani figlie dalla high-class centro-europea. Naturalmente questa missione non era unicamente una vocazione filantropica, ma

risultava alacremente stimolata dal ricco segmento sociale al cui l'esosa

retta di frequenza era destinata.

La mia famiglia, con mio padre brillante avvocato d'affari e mia madre,

raffinata antiquaria, con bottega in via Monte Napoleone a Milano, apparteneva sicuramente a questa privilegiata categoria benestante.

Il piano terra e il primo piano dell'edificio, ospitavano le aule in cui si tenevano le lezioni, vi era poi una sezione per le cucine e un ampio refettorio per i pasti giornalieri delle allieve.

Il secondo e il terzo piano erano destinati ai dormitori, con camere a due o quattro letti.

Io dividevo infatti una camera a due letti con Marika, mia compagna di classe, anche lei proveniente da Milano. Una brunetta tutto pepe, solare, intelligente e simpaticissima, la nostra intesa era stata piena fin dal primo incontro, avevamo sintonia su tutto.

La nostra amicizia rappresentava una boccata d'ossigeno in quel mortorio sonnolento e asfittico che ci ospitava.

Come detto, la disciplina imposta era parecchio severa: quindi, per noi

femminucce, l'idea di vedere un maschio all'interno del collegio era del tutto aleatoria.

Gli unici esponenti di sesso maschile che incontravamo erano il

vecchio professore di matematica Andreoli, quasi sessantenne e prossimo alla pensione; il signor Lorenzo, un inserviente cinquantenne tutto fare, e in fine il professor Rinoldi, un quarantenne, docente di lettere con funzione di Vice Preside.

Il resto del personale, insegnante o di servizio, era tutto al femminile.

In questo deserto di valide figure maschili, il professor Rinoldi, diveniva

inevitabilmente il polo d'attrazione delle nostre più sfrenate fantasie

adolescenziali.

Intanto perché era un uomo di notevole fascino: bruno, lievemente brizzolato, un viso piacevolmente maschio, e occhi da principe

mediorientale.

Raffinato nei modi e nell'aspetto come un aristocratico inglese, era impeccabile nella stagione invernale: vestiva severe grisaglie scure, o eleganti spezzati in tweed.

Ma dava il meglio di sé nelle stagioni calde: infiammando i nostri ormoni che andavano a mille.

Soprattutto quando le polo in piquet, indossate sui chinos color sabbia con mocassini di Sebago ai piedi, esaltavano l'armonia di quel fisico alto e prestante.

Era inoltre uno sportivo, appassionato di equitazione, montava Lucky un

cavallo arabo nero, il campione della scuderia del collegio.

Sia che ci commentasse Virgilio o che sfrecciasse in groppa a Lucky lungo i vialoni del parco, il professor Rinoldi non mancava di fare le sue vittime

sentimentali tra noi ragazze.

In classe pendevamo dalle sue labbra, persino le versioni di Tacito o le gravose traduzioni dal greco antico, ci apparivano come seducenti carezze per le nostre giovani menti e ancor più per i nostri giovani corpi.

Molte di noi durante le sue lezioni si abbandonavano a fantasticare su lui a

occhi aperti, e nascoste dal piano dei banchi, inserivano le mani nelle

mutandine per sollecitarsi il sesso umido di voglia.

Il professor Rinoldi incarnava le nostre fantasie più sfrenate di adolescenti: rappresentava l'archetipo dell'uomo sexy alla soglia della maturità.

Univa un fisico giovanile e prestante al carisma dell'uomo fatto.

Quando ti veniva accanto, con quel suo profumo di note calde e muschiate, sentivi frullare qualcosa nel diaframma che bloccava il respiro. Restavi ammutolita e confusa come una scolaretta, pietrificata come il topolino che verrà mangiato dal serpente.

In realtà il serpente che turbava i nostri pensieri, non era un rettile velenoso e vorace, ma quello che intuivi, grosso e lungo, celato nei suoi pantaloni.

Il desiderio, in quei momenti, era che ti divorasse con esasperante lentezza: ti assaliva un caldo languore al basso ventre, che lasciava le mutandine umide e appiccicose.

La mattina presto, nella bella stagione, ci svegliavamo anzitempo e correvamo alla finestra, per vederlo passare al galoppo sul grande viale che veniva dal maneggio. Montava Luky lo stallone nero, il suo cavallo preferito.

Infatti il nostro collegio, tra le sue varie prerogative, era anche attrezzato d'un maneggio che offriva, alle allieve che lo desiderassero, il corso d'equitazione. Io non montavo perché era un'attività sportiva che non mi attraeva, in realtà i cavalli mi mettevano un po' paura.

La loro dimensione fisica imponente, la grande forza animale e quella vitalità imprevedibile mi inquietavano.

Passeggiando un pomeriggio nel nostro parco, ero giunta allo spiazzo del maneggio, all'interno del corral stazionava una coppia di cavalli: una femmina di baio dal manto bruno e un magnifico morello maschio.

Erano con evidenza in estro: lui appariva smanioso, con quell'enorme sesso eretto, teso come un ramo d'albero e quel glande dalla forma singolare lucido di umori.

A un certo punto l'avevo visto montare la femmina: un assalto potente salendole in groppa, sprofondando quella virilità congestionata nella vulva tumida di lei.

Il coito fu breve e violento, l'eiaculazione finale fu spettacolare e copiosa, mi provocò una sensazione di ripugnanza frammista di un'attrazione insana.

Assistere a quell'accoppiamento mi aveva turbata profondamente, nonostante il fastidio non mi era però riuscito di distogliere lo sguardo.

Rinoldi, uscendo dal paddock dove aveva lasciato alla posta Luky, mi vide lì ferma a osservare la scena e notando l'espressione del mio volto, sorrise divertito del mio evidente imbarazzo.

Restai fortemente impressionata da quello spettacolo, al punto che una notte di qualche tempo dopo, avevo sognato che il professor Rinaldi mi conduceva con lui nella stalla, all'interno del box di Luky, lo stallone arabo.

Il sogno

La bestia era splendida, il manto bruno, lucido come velluto, mandava riflessi argentati come il guscio di qualche coleottero.

Aveva l'aria irrequieta, soffiava nervoso dalle froge ed emetteva nitriti acuti, io ero spaventata e nel sogno desideravo fuggire da lì.

Ma Rinoldi mi trattenne: disse che non potevamo andar via, eravamo nella stalla con il compito di calmare il nervosismo dell'animale: solo dopo avremo potuto allontanaci.

Io mi sentivo intimorita e confusa, era notte, la luce nel box era esigua, tutto il luogo era cupo e immerso nel silenzio, non capivo poi, in che maniera la nostra presenza potesse giovare all'umore del cavallo

L'aria nell'ambiente era calda e come avviene nelle stalle con animali, il sentore della paglia, impregnata dalle deiezioni dei quadrupedi, ti prendeva alla gola. Ero a disagio e quasi nauseata di quell'olezzo, dentro montava un'ansia crescente.

Rinoldi prese a carezzare il cavallo, lisciandogli piano la criniera e parlandogli con accattivante dolcezza, l'animale pareva rispondere a quelle attenzioni acquietando la sua agitazione

- Buono Luky, guarda chi ti ho portato. Ti piace questa bella giovinetta, vero piccolo mio?

Sussurrò all'orecchio dello stallone con tono pacato e suadente: guardando me mentre parlava alla bestia.

Infine, rivolto a me: - Avvicinati, non avere timore. Vedi è mansueto, ha solo bisogno di coccole per tranquillizzarsi.

Vedendo la mia ritrosia, mi cinse alla vita col braccio tirandomi a sé, l'aroma conturbante della sua colonia mi avvolse caldo e rassicurante, con la mano sulle mie reni, mi sospinse dolcemente a un contatto quasi fisico col cavallo.

- Coraggio – aggiunse. – Non ti farà niente, ci sono io ad assisterti.

Quelle parole ebbero un effetto rassicurante, fiduciosa, accostata a lui mi avvicinai all'animale.

Non ero mai stata tanto vicina a un cavallo: aveva una statura e una mole considerevoli.

Luky nella fattispecie era un esemplare stupendo: il pelo corto e lucido come seta, la muscolatura armoniosa e guizzante, emanava un odore forte, muschiato, mi faceva pensare all'odore selvatico del sesso.

Rinoldi si pose alle mie spalle, sentivo il suo corpo a contatto della schiena.

La cosa mi procurò un brivido d'emozione che mi fece avvampare.

- Cosa devo fare professore? - chiesi con un filo di voce.

- Carezzagli il collo e la criniera, fallo lentamente, senza paura.

Sentivo il suo fiato caldo dietro l'orecchio, la sua presenza fisica era rassicurante e carezzevole, nel profondo desideravo le sua mani su di me, che mi toccasse con la stessa soavità impiegata nel blandire il cavallo.

Con tutta la cautela allungai la mano sul collo della bestia: la feci scorrere per tutta la sua lunghezza, lui reclinò il capo con un soffiò soddisfatto, mostrando di gradire la carezza.

Confortata da quel risultato incoraggiante, aggiunsi anche l'altra mano nell'attuare l'operazione.

- Brava! - disse Rinoldi – Continua così, non fermarti. Lo vedi che è facile.

Proseguì per qualche lungo momento, ero felice di aver superato quella mia paura insensata, Luky mostrava il suo compiacimento, pur essendo il nostro primo incontro mi aveva accettata e nitriva di piacere.

- Ora senza smettere, ripeti le carezza lungo il corpo, vai sul fianco.

Sussurrò il professore e mi guidò le mani dal collo del cavallo al fianco più in basso.

- Ti sei chiesta perché ti abbia condotta qui questa notte?

L'interrogativo mi colse alla sprovvista. Certo che mi ero posta quella domanda, ma confesso che la trepidazione causata dalla sua presenza, e quella inconsueta situazione, l'avevano fatta scomparire dalla mente.

- Si, professore, ma non so farmi un'idea. Speravo che lei mi dicesse... Risposi, non riuscendo a fare a meno di arrossire.

- Ti ho osservata davanti al maneggio l'altra settimana mentre assistevi alla monta dei due cavalli.

Nel parlare sentì che si era accostato ancora più a me, il suo corpo aderiva alle mie natiche: trattenni il respiro.

- Mi sei parsa molto interessata. Dico bene?

- Io, sì... Sono rimasta impressionata, è vero.

Risposi con voce malferma, mentre l'aria della stalla mi pareva divenire incandescente e il corpo mi si imperlava di traspirazione.

- Solo impressionata? - sorrise - Non mentire.

La voce aveva una nota dubbiosamente divertita.

- Sono certo invece, che quello che hai visto ti sia piaciuto. Che ti sia bagnata in maniera indecente, non negarlo.

Nel profferire quelle insinuazioni, le sue mani salirono al mio petto, iniziando a sbottonate la blusa che indossavo: sentivo il tepore dei polpastrelli sfiorare la pelle nuda e umida.

Proseguì senza mutare il tono di voce: - Ti sei bagnata, perché sei una piccola troietta viziosa, e quel grosso sesso del cavallo ti ha fatto nascere delle fantasie perverse.

Ora aveva aperto la camicetta, abbassate le coppe del reggiseno e mi stava plasmando le tette a piene mani: stringendole e modellandole come plastilina.

Il mio cuore ebbe un tuffo, iniziò a palpitare frenetico e il respiro a divenire ansante.

Avrei voluto urlare, ma non di sorpresa o paura, i capezzoli si erano inturgiditi da fare male: avrei gridato di voglia.

- Ti stai eccitando vero porcellina? Ti piace essere qui. - disse. - L'odore di stallatico ti accende i sensi, perché ami fare le cose sporche nei posti sudici. Sei una deliziosa puttanella.

Mentre mi strizzava i capezzoli, stringendoli tra le dita, la sua lingua mi precorse il collo dall'orecchio alla clavicola, lasciando una striscia umida sulla pelle.

Un mugolio lieve mi sfuggì dalle labbra, avvertì l'erezione del suo sesso premere contro le mie natiche, mi stavo sciogliendo nelle mutandine.

Scostò le mani dai seni e scese a sganciare sui fianchi i bottoni che fermavano la gonna: in un attimo l'indumento giaceva a terra, attorno alle mie caviglie.

- Ora sentiamo a che punto di cottura è la tua vagina: vediamo se già sta lacrimando al punto giusto.