Memorie 2
Jacob salutò i ragazzi e si avviò verso l’hotel. Aveva prenotato la stessa suite dell’ultima volta che era stato lì. Si era innervosito parecchio per quel commento disgustoso di Thomas e gli aveva fatto una lavata di testa colossale non appena erano rimasti soli. Se si trattava di Kiara, dava in escandescenza. Aveva visto nel viso di lei una smorfia di dolore e avrebbe voluto stringerla a sé e cancellarle quell’espressione insofferente. Sfortunatamente la ragazza aveva innalzato una barriera difensiva, impedendogli di entrare. Rimuginò pensando tra sé e sé la quale fosse la migliore opzione per cercare di avvicinarla senza incuterle timore. Era ormai sera e decise di ordinare la cena in camera. Mangiò in fretta e accese il pc. I cantieri stavano procedendo, ma avevano bisogno di supervisione e controllo. Lavorò fino a notte fonda, sistemando i progetti e aggiungendo modifiche che avrebbero potuto alleggerire sia il carico di lavoro complessivo degli operai che facilitare la comunicazione tra gli architetti e ingegneri, che da sempre avevano degli attriti. Aveva dovuto ridistribuire le risorse e ampliare i fondi stanziati in origine, perché erano diventati insufficienti al completamento dell’infrastruttura. Si erano accorti anche che il materiale arrivato non era quello che avevano ordinato e la miscela che ne era venuta fuori aveva rovinato il lavoro eseguito in precedenza e avevano dovuto rompere e ricostruire. Errori di valutazione che capitano, ma che mandano all’aria in un istante un intero progetto. Suo padre, come al solito, se l’era presa con lui, accusandolo addirittura di aver sabotato lui il progetto. Ne aveva le palle piene di quel padre autoritario, presuntuoso e anaffettivo. Per una frazione di secondo, l’immagine di sua madre si sovrappose, ma cercò di scacciarla subito. Pensare a lei apriva solo ferite che non si erano ancora rimarginate del tutto. Poi la sua mente vagò in giro, andando a ripescare la figura di Kiara. Ecco, pensare a quella ragazza cancellava tutte le sue preoccupazioni. Rivide la scena nella sua testa e si domandò se avesse agito correttamente o avesse potuto fare di più. Era ancora immerso in quel pensiero, quando il cellulare si illuminò distraendolo. Era Cassandra. Sorrise e rispose alla chiamata.
- Ciao Cassie. – gorgogliò.
- Beh? Cos’è questa voce cupa? - trillò lei.
- Stavo lavorando. -
Dall’altra parte si fece silenzio.
- Cioè, fammi capire, tu lavori alle 4 di notte? Ma sei pazzo? – chiese Cassandra scioccata.
- Cassie, lo sai come sono fatto. Sono più produttivo che di giorno. –
- Dipende a cosa ti riferisci. – miagolò la ragazza.
- Ma smettila! Tu piuttosto, come mai sveglia a quest’ora? È successo qualcosa? –
Cassandra sorrise. Jacob era sempre così: attento e premuroso, soprattutto con lei e con gli amici. Era un suo tratto distintivo e adorava sentirsi sotto la sua ala protettrice.
- Ero ad una festa e stavo tornando a casa, avevo voglia di sentirti. –
La voce di Jacob si addolcì.
- Com’è andata? Sei stata bene? Ti hanno importunato? Hai trovato qualche ragazzo carino? –
Cassandra scoppiò a ridere.
- Manco fossi mio padre! –
Il ragazzo sospirò e alzò gli occhi al cielo, grato del fatto che lei non potesse vederlo.
- Comunque sto bene, è andato tutto bene, mi sono divertita e no, non c’era nessuno di interessante. Però mi sono venuti a parlare in tre. È stato orrendo. Ho cominciato a bere per evitare di dover rispondere e grazie al cielo c’era Simon, che è venuto a salvarmi. –
Bravo Simon! Pensò Jacob con orgoglio. Il suo migliore amico e collega era davvero in gamba, per quanto fosse un rompiscatole patentato.
- Quando torni? - chiese Cassandra con impazienza.
- Domenica se tutto va bene. –
-Ah. – la voce della ragazza sembrava delusa.
- Dai Cassie, non fare così. – cercò di rassicurarla.
- Altri cinque giorni senza di te. –
Jacob si sfregò il viso con veemenza.
- Senti, io mi sa che mi butto a letto. Te sei arrivata a casa? –
- In questo preciso istante. –
- Ottimo, allora buonanotte. –
- Buonanotte. –
Jacob chiuse la chiamata e si tolse i vestiti, lanciandoli per terra. Si addormentò non appena mise la testa sul cuscino, rimanendo solo coi boxer.
L’indomani si svegliò stordito e con un abbassamento di voce. Dormire praticamente nudo e fuori dalle coperte non era stata una buona idea. Scese a fare colazione nel ristorante dell’hotel, ma l’orario prestabilito per la colazione era quasi finito. Una cameriera che stava togliendo i piatti ebbe pietà di lui, osservando le condizioni in cui versava il ragazzo e gli procurò le rimanenze di cibo. Gli portò anche del caffè e un succo di frutta. Jacob ingurgitò tutto ciò che la sua bocca gli permetteva di infilare. La brioche gli andò di traverso, facendolo tossire. La cameriera che lo stava osservando scoppiò a ridere e gli si avvicinò silenziosamente.
- Qualcuno qui ha fatto le ore piccole ed è in chimica. – esordì la ragazza, lanciandogli un’occhiata affettuosamente colpevole.
- Magari! – rispose Jacob con la bocca piena – sono rimasto a lavorare tutta la notte. –
La cameriera indicò la sedia.
- Posso? –
- Certamente. –
Il ragazzo continuò a mangiare e la cameriera sorrise sotto i baffi.
- Rimani qui per un po’ o riparti subito? – chiese lei speranzosa.
Jacob si pulì la bocca.
- Parto domenica mattina. –
- Come ti chiami? – gli diede del tu, immaginando potesse avere all’incirca la sua età.
- Jacob. Jacob Harris. –
Il viso della cameriera si illuminò.
- Sei il figlio di Richard Harris? – domandò con sgomento.
Jacob si rabbuiò e annuì mestamente.
- Mio fratello ha vinto una borsa di studio anni fa ed è andato a studiare in una delle Università patrocinate proprio da tuo padre. –
- Ah sì? – rispose Jacob senza alcun entusiasmo.
Come al solito la fama di suo padre arrivava sempre prima di lui. E come al solito se ne stava alla larga dalle luci della ribalta. Però cercò di sembrare cordiale e si sforzò di sorridere.
- Come si chiama tuo fratello? – tentò di fare conversazione, ma senza un vero scopo gli riusciva difficile.
- Samuel! – rispose con enfasi.
- Perdonami, ti dovrei lasciare mangiare. – fece per andarsene, ma Jacob la trattenne.
-Tu come ti chiami? – Jacob la guardò dritto negli occhi, tant’è che la ragazza abbassò lo sguardo imbarazzata.
- Shoreline. – farfugliò.
- Piacere Shoreline. – disse con voce roca.
La vide arrossire. Era così facile fare colpo sulle ragazze. Bastavano due moine e queste cadevano tutte ai suoi piedi.
- Mi dispiace Shoreline, ma purtroppo in questo momento mi sfugge tuo fratello Samuel, ma se avrò il piacere di conoscerlo, porterò i tuoi saluti. – sapeva bene che ripetere i nomi creava una sorta di confidenza.
- Ragazzina, non ti paghiamo per chiacchierare coi clienti. – il direttore di sala si intromise nella conversazione, riportando la ragazza ai propri compiti.
- Le chiedo scusa – Jacob prese le difese della cameriera – purtroppo ho mancato l’orario della colazione e la signorina qui presente mi ha comunque servito con premura. –
Il direttore scoccò un’occhiataccia alla ragazza e lei si affrettò a tornare in cucina, salutando Jacob con un cenno della testa.
- Le chiederei la prossima volta di prestare più attenzione e presentarsi all’orario prestabilito. –
- Sì signore. – Jacob finì il la spremuta e si alzò dal tavolo.
Si avviò in camera. Pensò distrattamente a quella cameriera. Era davvero carina. Capelli corvini lunghi raccolti in una coda bassa, occhi scuri e faccia simpatica. Ma poi il viso di Kiara si sovrappose all’immagine di Shoreline. Si perse nei ricordi e la chiave magnetica gli sfuggì di mano. Si ridestò e quando realizzò di essere in mezzo al corridoio davanti alla propria camera, raccolse la chiave e la infilò nella porta, aprendola e chiudendola dietro di sé. Si diresse verso il bagno e optò per una doccia veloce. Non aveva molto tempo e doveva incontrarsi con i colleghi di suo padre per il progetto. Immaginò già la rottura di palle che lo aspettava e per poco non gli venne la brutta idea di dare buca e tornare al bar, nella speranza di incontrare Kiara. Fremeva dalla voglia di vederla, ma per il momento era necessario mantenere un certo distacco. Più che altro per lei, per evitare che si spaventasse e che fuggisse da lui. Prese dalla valigia una maglia a maniche corte beige e un paio di jeans color cenere. Fuori si stava bene e c’era il sole. Le previsioni avevano annunciato bel tempo per tutto il fine settimana. Infilò le sigarette nella giacca di pelle e uscì.
Raggiunse i cantieri a bordo della sua jeep nera. I lavori stavano procedendo a rilento a causa dell’imprevisto ed era stato necessario che Jacob andasse sul posto a fare le veci del padre. I colleghi di suo padre erano già lì e non appena lo notarono, sbuffarono indicando l’orologio.
- Ragazzino è questa l’ora di arrivare? – lo rimproverò subito aspramente uno dei signori in giacca e cravatta.
Jacob si trattenne dal mandarlo a fanculo per direttissima e si limitò a stringere i denti facendo stridere la mandibola. Prese i fogli e glieli porse senza spiaccicare parola. L’intero gruppo di signori di mezz’età si strinse intorno a Jacob e osservarono il plico con curiosità. Si passarono i fogli, annuendo e lanciando al ragazzo occhiate perplesse.
- Beh – uno dei signori si schiarì la voce e prese la parola – i disegni sono perfetti e ammetto che non avevo minimamente considerato i calcoli che hai fatto. –
- Secondo me con questo cambiamento riusciamo a recuperare il materiale e a stare sia dentro i tempi e i costi. – disse un altro.
Si congratularono con lui, dandogli leggere pacche sulle spalle in segno di approvazione.
- Jacob, vuoi venire a pranzo con noi? – propose uno del gruppo.
Jacob annuì e aspettò che i colleghi di suo padre parlassero con gli ingegneri e proponessero il suo progetto. Ci volle più del previsto e finirono di confrontarsi verso l’una di pomeriggio. Decisero di pranzare in un ristorante poco distante dai cantieri e tutti cominciarono a lamentarsi dei vari ingegneri che secondo loro erano troppo rigidi e poco flessibili ai cambi di rotta improvvisi. Jacob li ascoltò in silenzio senza proferire parola.
- E tu Jacob? Cosa ne pensi? – chiese uno dei signori con voce alticcia.
- Sì Jacob! Dicci cosa ne pensi, visto che la mente dietro a tutto questo è la tua. – si inserì un altro.
Jacob odiava stare al centro dell’attenzione.
- Non saprei. –
- Come non saprei? Che risposta è? –
Lo incitarono a parlare.
- Dico solo che per sistemare tutto il casino mi ci sono volute notti insonni. – si grattò una tempia con fare nervoso.
Scoppiarono tutti a ridere e Jacob affondò la testa nel piatto di pasta, rimestando con pigrizia. Non aveva appetito e aspettò con calma che si facessero le quattro di pomeriggio per accomiatarsi e andare dai ragazzi. Aveva appuntamento a casa di uno di loro per discutere del progetto che avevano a mezzo. Stava andando alla grande, avevano già preparato le bozze e i personaggi. Jacob aveva curato la grafica delle strutture presenti come edifici e le abitazioni, il resto aveva lasciato che fossero i ragazzi ad occuparsene. Tra le matricole che reclutava ogni anno per le borse di studio di suo padre, cercava anche giovani talenti che avessero una passione come lui per i videogames. Voleva reclutarne di nuovi in modo tale che si potessero occupare del design, dei prototipi, della vertical slice. Erano ancora lontani dalla pubblicazione del gioco, ma Jacob era fiducioso e l’avrebbero lanciato sul mercato da lì ad un paio d’anni. L’avrebbero fatto uscire come beta e avrebbero lasciato ai futuri giocatori la decisione di apportare modifiche e di giudicare l’operato in base alle loro recensioni.
Tornò in albergo e fece una breve doccia. Era la seconda del giorno, ma aveva un disperato bisogno di risvegliare i muscoli intorpiditi. Come al solito stava saltando gli allenamenti e Aidan sembrava sempre più scocciato. Sapeva che prima o poi gli avrebbe dato una strigliata esemplare. Mi pare giusto, d’altronde era lui che mancava agli appuntamenti e tutte le volte Aidan doveva arrangiarsi, sostituendolo con dei rimpiazzi. Uscì dalla doccia coi capelli bagnati e si legò in vita un asciugamano. Ne usò un altro per frizionare i capelli e scosse la testa. Altra cosa da fare una volta tornato a casa: andare dal barbiere. Come al solito crescevano alla velocità della luce e questa cosa lo urtava parecchio. Appoggiò i palmi delle mani sul lavandino e tese i muscoli delle spalle. Sentì tirare i pettorali. Non era pompato come molti ragazzi che frequentavano la palestra, ma gli addominali erano asciutti e abbastanza visibili. Merito anche dell’allenamento a cui lo stava sottoponendo Aidan da un paio d’anni. Dopo la morte della madre aveva trascurato completamente l’aspetto fisico e per perdere peso ci era voluta tutta la sua buona volontà. La sua era una questione mentale più che altro. Inizialmente non era propenso alla cura del suo corpo, non gli interessava. Infatti non era sovrappeso, ma la pancia da birra aveva cominciato a farsi notare e i suoi rapporti interpersonali ne avevano risentito. Inoltre si era deciso a cominciare una dieta equilibrata che gli permettesse di non passare da un eccesso all’altro. Come spesso si dice “volere è potere”. Aveva smesso di bere e si era dedicato a rendere i suoi pasti sani e nutrienti. Gli piaceva molto cucinare e grazie anche ai vecchi libri di ricetta di sua madre, si era cimentato nell’arte culinaria. Preferiva i pasti casalinghi a quelli fuori, come pranzi o cene. Prese il gel dalla valigia per rendere l’effetto bagnato sui capelli e poi procedette con l’asciugatura. Ci vollero un paio di minuti al massimo. Si vestì ed indossò una maglia bianca a maniche corte semplice e attillata. La mise dentro un paio di jeans slavati ed indossò gli anfibi neri Dr. Martens, i suoi preferiti sia per il colore che per la comodità. Prese la giacca di pelle poggiata sulla sedia, controllò che le sigarette fossero dentro e uscì.
***
- Ragazzi, così non va però. – Jacob sbuffò.
I ragazzi lo guardarono e sospirarono.
- Cos’è che non ti convince Jacob? – chiese Thomas.
- Innanzitutto l’ambientazione, avevamo concordato per una foresta. Che cavolo ci facciamo in un deserto? –
- Pensavamo di inserirlo postumo. Tipo viaggio nel tempo. – disse James.
- Cos’è? Geronimo Stilton? Siete seri? – Jacob li fulminò con lo sguardo.
- Pensavamo più ad una specie di viaggio tra le varie epoche. Il giocatore comincia l’avventura dalla preistoria, quindi parte come cacciatore e poi si evolve e a mano a mano che procede nella storia, sblocca dei portali che lo porteranno in giro per il passato fino ad arrivare più o meno ai giorni nostri. – spiegò Vincent.
Jacob inarcò il sopracciglio, ma era colpito.
- Vai avanti. – lo incalzò con lo sguardo.
- L’idea generale è di offrire un gioco accattivante, ma al contempo ricco di contenuti e abbastanza lungo da intrattenerlo per almeno una cinquantina di ore. Mi sono stancato di quei giochi corti ed immediati, in cui una volta finita la storia è da chiudere e mettere via. –
- Esatto. Può spaventare dire subito: ehi, il gioco dura un sacco, ma fidati, non te ne pentirai. – Steven incrociò le braccia dietro la testa, stiracchiandosi.
- Almeno, quello è ciò che penso io. – Vincent si accarezzò il mento.
- Però ci rimango peggio quando dopo dieci ore il gioco finisce e non c’è modo di finire di completare le sfide secondarie, perché ci sono i titoli di coda. – asserì James.
- E l’unica è ricominciare da capo tutto. – concluse Thomas.
- In questo modo la storia finisce, ma non del tutto. Il giocatore può tornare nei vari portali e portare a termine le cose che ha lasciato indietro. – Thomas strizzò l’occhio in segno di intesa.
Jacob li osservò e sorrise.
- Mi piace. Direi che possiamo proseguire. –
Guardò fuori dalla finestra e notò che era buio.
- Cavolo! Ma che ore sono? – chiese James.
- Sono quasi le undici. – Steven guardò l’orologio appeso alla parete.
- Merda! – imprecò Vincent.
Avevano lavorato ininterrottamente sui personaggi per tutto il pomeriggio e non si erano resi conto del passare del tempo. Ora ogni personaggio aveva la sua storia personale e poteva essere inserito all’interno della storia. Jacob aveva lavorato duramente alla rappresentazione delle case, delle torri e tutto ciò che gli competeva nel campo dell’edilizia. D’altronde, era quella la sua specializzazione e quello che studiava da una vita.
- Sabato darò una festa. – esordì James.
- Jacob, tu verrai? – chiese Thomas.
- I miei vanno via e pensavo che un po’ di svago potrebbe servirci. – tentò di convincerlo James.
- Sì, va bene. Speriamo di sbrigarci a concludere questo lavoro entro sabato perché domenica torno a casa. –
- Ah cavolo. – Steven sembrava dispiaciuto.
- Ragazzi, ci terremo in contatto. Intanto andremo avanti col progetto e sì, da domani possiamo cominciare dalle ambientazioni come d’accordo. –
- E deserto sia! – esclamò Thomas.
- E foresta sia! – rise Vincent.
- Ma soprattutto: partiremo come abbiamo detto dalla preistoria. – aggiunse James.
- Chi ha fame? – chiese Jacob.
I ragazzi si alzarono all’unisono.
- Io! – urlarono uno dietro l’altro.
- Alzate quei culi piatti e andiamo a mangiare un boccone. – sorrise Jacob benevolo.
- Guida Vincent? – domandò Steven.
- E chi se non altri? – lo canzonò James.
- E paga pure! – esclamò Thomas.
Risero tutti e uscirono da casa di James e raggiunsero un piccolo pub a qualche isolato di distanza.
