Capitolo 1: L'incontro
Era un bel pomeriggio, caldo e luminoso. Le nuvole facevano capolino pronte a coprire il sole, che di lì a poco sarebbe scomparso per lasciare il posto alla notte. Soffiava un leggero venticello, che odorava di autunno. Una cameriera stava pulendo i tavoli fuori di un piccolo bar, il cui ingresso era su una strada parallela a quella principale. Non c’erano troppi clienti e questo rasserenava Kiara, che lavorava lì solo da poche settimane. Indossava un grembiule nero cinto in vita abbinati ai pantaloni, maglia a maniche corte e scarpe da ginnastica, anch’essi neri. I lunghi capelli biondi spuntavano dal buco del cappellino della divisa. Erano raccolti in una coda di cavallo e scendevano fino al fondoschiena. Il viso paffutello mostrava delle lievi lentiggini sulle guance piene e sul naso all’insù. Zigomi alti, labbra carnose e rosee, sopracciglia scure, grosse e ordinate, ciglia lunghe, occhi color ghiaccio, talmente chiari da sembrare quasi bianchi. Mise le tazzine sporche e i piattini sul vassoio e lo portò dentro, appoggiandolo sul bancone.
- Ci pensi tu Michael? -
Un ragazzo dai capelli rossi con le lentiggini e occhiali sul naso si voltò.
- Certo. Quanti ne mancano? -
Kiara contò i tavoli rimanenti.
- C-credo un paio. -
Michael annuì e si voltò a preparare altri caffè. Kiara tornò fuori e continuò a pulire. Un gruppo di ragazzi si avvicinò all’entrata del bar. Parlavano a voce alta e questo catturò l’attenzione di Kiara, che si voltò a guardarli.
- Possiamo sederci dentro? - chiese uno dei ragazzi.
- C-certo, prego. Dove preferite. –
Come da manuale: gentile, cortese e disponibile. Questi erano i principi chiave per svolgere una professione a contatto col pubblico. Uno dei ragazzi, alto e moro, si accomodò verso la parete e tolse gli occhiali da sole rivelando due smeraldi al posto degli occhi.
- Non è cambiata. - rifletté sorridendo.
- Di chi parli? - domandò uno degli altri, muovendo la testa in cerca del soggetto.
- Non importa. - scosse il capo e scrutò il menù, fingendo interesse.
Uno dei camerieri fece cenno a Kiara di andare a servire i tavoli dentro, dandole il cambio. Kiara gli consegnò il panno e lo spray. Si diresse verso il tavolo dei ragazzi con fare impacciato. I ragazzi si accomodarono mentre Kiara tirava fuori il block-notes e la penna dalla tasca del grembiule.
- Sapete già cosa volete ordinare o ripasso più tardi? -
- Due belle tette come le tue. - strepitò uno.
Risero tutti tranne il ragazzo dagli occhi verdi, che gli assestò un poderoso calcio negli stinchi.
- Del caffè per tutti quanti. - rispose un altro dei ragazzi con fare gentile, sorridendole.
Kiara si sforzò di ricambiare al sorriso, ma le stava venendo da piangere. Non era la prima volta che succedeva che la prendessero in giro, ma ogni volta si sentiva morire dentro. Odiava con tutta sé stessa quel corpo ingombrante. Perché non poteva essere come sua cugina? Fisico da paura, gambe slanciate, vita stretta, seni piccoli e sodi, capelli lunghi, neri e lisci, occhi chiari come i suoi. Ecco, solo questo avevano in comune: due occhi chiari come il cielo in una giornata d’estate senza nuvole. Se ne andò senza dire nulla, passò la comanda ad un collega e andò nel ripostiglio a piangere finalmente quelle lacrime che le stavano facendo bruciare gli occhi. Tornò fuori a sistemare i tavoli e le sedie, facendo attenzione a non farsi notare dal gruppo di ragazzi, ma il ragazzo seduto alla spalliera non le toglieva gli occhi di dosso.
- Scusatemi. -
- Jacob ma dove vai? - domandò uno dei ragazzi.
- Guarda che il caffè si raffredda. - lo canzonò un altro.
- Bevetelo voi al posto mio. - replicò con noncuranza.
- Devo fare una chiamata. –
Il ragazzo uscì fuori, tirò fuori il cellulare e si diresse verso Kiara, che era girata di spalle.
- Perdonali, sono un branco di idioti. –
Kiara si voltò verso di lui e non capì.
- I miei amici, quelli dentro seduti al tavolo dalla spalliera. - una lampadina si accese e Kiara intuì, annuendo.
- Mi chiamo Jacob. - disse il ragazzo.
Kiara strinse il vassoio al petto, cercando di coprirsi. Questo gesto le veniva sempre d’istinto quando qualche sconosciuto le parlava. Il ragazzo indossava un giubbotto di pelle spesso con pelliccia aperto. Sotto si scorgeva un maglione color beige senza collo. Jeans neri, strappati con una catenella che scendeva dal lato sinistro, stivali anfibi alti vintage scuri.
- I-io sono Kiara. - si presentò con voce incerta.
- Non ti ricordi di me? - chiese il ragazzo, tradendo uno sguardo deluso.
Kiara era di nuovo in alto mare, non sapeva proprio come comportarsi. Questo qui sbucava fuori dal nulla, le parlava di sua iniziativa, dicendole pure che si conoscevano già.
- Mi sei finita addosso una volta mentre stavo uscendo dal bar e tu stavi entrando. Ti sei anche scusata per avermi fatto cadere dei fogli. - di nuovo la lampadina si accese.
Era proprio a scoppio ritardato. Le si illuminò il volto.
- Ah! O-oddio, perdonami, ma ero di fretta ed era il mio primo giorno di lavoro. Eri l’ennesimo a cui finivo addosso. -
Jacob sorrise.
- Quindi mi stai dicendo che è tua abitudine finire addosso alla gente? –
Kiara arrossì violentemente.
- N-no no! N-non era mia intenzione, n-non intendevo quello! È solo che quando sono di fretta tendo ad urtare le persone. M-mi dispiace. -
Jacob scosse la testa sorridendo.
- Beh, è stato un piacere rivederti. Sicuramente avremo oltre occasioni per incontrarci. - si allontanò e tornò dentro, senza dare il tempo a Kiara di rispondere.
Maledizione! La balbuzie che credeva di aver superato tornava sempre nei momenti peggiori. Soprattutto quando era sotto stress o fortemente a disagio. Continuò a pulire, lanciando occhiate al tavolo e notò che anche Jacob la fissava di sottecchi. Quando il gruppo di ragazzi uscì, Kiara era già tornata dentro a lavare il pavimento e non fece in tempo a salutare il ragazzo. Si pentì di non avergli dato il numero, ma probabilmente avrebbe preso il biglietto per poi buttarlo nell’immondizia. Si vergognò di quel pensiero assurdo. Un ragazzo come lui era fuori dalla sua portata. Scosse la testa e cercò di toglierselo dalla mente, senza successo. Ripensò al loro primo incontro e sorrise. Era successo qualche settimana prima. Era stato il suo primo giorno da cameriera e come al solito era in ritardo. Gli era andata a sbattere e nella foga gli aveva fatto cadere tutti i fogli contenuti in una cartella. Ovviamente si era affrettata ad aiutarlo senza alcuna esitazione. Il fatto che l’avesse riconosciuta e le avesse rivolto la parola la faceva sentire così felice. Era da tempo che non provava quell’emozione e quel calore. Cercò di rimanere in quello stato di positività ma, non appena tornò a casa, ripiombò nella solita routine noiosa e a volte fastidiosa. Sua cugina si stava lagnando con la madre per l’ennesimo vestito. Erano in soggiorno, sedute sul divano, intente a guardare una rivista di moda. Le voci arrivavano fino all’ingresso.
- Ho detto che voglio questo! - strillò Amélie.
- Va bene, va bene! Stai calma! Papà te lo prenderà di sicuro. - sua madre era esasperata e cercò lo sguardo del marito.
- Sono a casa. - disse Kiara, salendo in tutta fretta le scale che portavano alle camere da letto.
- Ciao tesoro. Tutto bene? - le chiese sua zia, affacciandosi da sotto e cercando il volto della nipote, che ormai era sparito oltre il primo piano.
- S-sì, certo. Grazie. -
- Tra poco è pronta la cena. - Glenda era davvero dolce.
Kiara ricordò a sé stessa che i suoi zii l’avevano accolta in casa quando aveva perduto entrambi i genitori e, sebbene non potessero sostituirli, si erano dati da fare per non farla mai sentire sola. Di questo era consapevole e riconoscente, ma non poteva fare affidamento sempre sugli altri. Prese un bel respiro, girò la maniglia della porta ed entrò in camera sua. Era piccola, ma accogliente e con tutto il necessario. Il letto matrimoniale, con il comodino sul lato sinistro, era ingombrante, ma talmente invitante e comodo da non poter essere sostituito con uno più piccolo. C’era un armadio a muro con due ante, un comò di legno, una scrivania, una libreria e tante mensole appese che ospitavano molti libri, tra cui classici e romanzi d’amore. Kiara si buttò sul letto a faccia in giù e ispirò il profumo di lillà che usava sua zia per il bucato.
- Eccoti! - sua cugina irruppe in camera sua come un tornado.
- No Amélie, non è il momento. - mugolò, abbracciando un cuscino.
- Devi assolutamente vedere il vestito che papà mi comprerà. Lo userò il prossimo sabato alla festa. Tu verrai vero? –
Kiara alzò gli occhi al cielo.
- Ho scelta? - domanda retorica.
- Certo che no! E poi ci saranno anche Camille e Annabelle. -
- E io ti servo da taxi, immagino. -
- Ovvio! Dovrai pur fare qualcosa, cosa pensi? Che i miei siano i tuoi genitori e che ti concedano tutto? –
Era un tasto dolente e Kiara preferì non rispondere. Amélie sapeva bene come ricattarla. Kiara non poteva di certo lamentarsi o fargliene una colpa. Tanto era sempre così con lei. Doveva esaudire i suoi capricci e stare zitta. Discutere non aveva senso e non voleva coinvolgere i suoi zii nelle piccole ripicche tra due cugine adolescenti.
- Vuoi vedere il vestito? – Amélie si sedette sul letto e Kiara si alzò controvoglia.
Era stupendo, davvero bello, tant’è che Kiara rimase senza parole. Era perfetto per sua cugina: argentato con le paillettes, elegante, fino a metà coscia senza spalline e con lo scollo a cuore.
- Tu invece cosa ti metterai? -
Kiara grugnì in tutta risposta.
- Cercherò qualcosa nell’armadio. -
- Ma i soldi del lavoretto part time a cosa ti servono se non per comprare i vestiti? -
È inutile, pensò Kiara, non avrebbe mai capito.
- Per l’università, no? -
- Mica bastano. Saranno a malapena sufficienti per l’iscrizione e poi sappiamo benissimo che non sei portata per lo studio. - la provocò Amélie con un sorriso sulle labbra, sapendo benissimo che Kiara non avrebbe mai risposto alle sue offese.
E così fu. Kiara buttò giù il rospo senza scomporsi.
- Ragazze è pronta la cena! - le chiamò Glenda.
- Arriviamo! - Amélie si alzò immediatamente e guardò Kiara con ribrezzo.
- Mi raccomando, niente vestiti imbarazzanti, non voglio che tu mi faccia fare brutta figura. - detto ciò, se ne andò in fretta proprio come era arrivata.
Kiara guardò lo specchio con amarezza. Se solo fosse stata bella almeno la metà di sua cugina. Invece nulla, maledetti geni. Raggiunse i suoi zii, si sedette e cominciò a mangiare senza dire nulla. Tanto non ce n’era bisogno, bastava sua cugina a riempire la conversazione, parlando unicamente di sé stessa di quanto fosse talentuosa e brava in tutto ciò che faceva. Marcus guardava di sottecchi Kiara, senza dire nulla. Terminata la cena si avvicinò a Kiara e le mise una mano sulla spalla.
- Ti va di scambiare due parole fuori? –
Uscirono sul retro, andando in giardino.
Lo zio si accese la pipa e ispirò forte.
- Mi dispiace per Amélie. -
Kiara lo guardò con espressione interrogativa.
- Per quello che fa, per quello che dice. -
- Zio non c’è problema. - ribatté Kiara agitando le mani e scuotendo la testa con vigore.
Marcus la fissò dolcemente e le accarezzò la testa.
- Ho comprato un vestito anche per te. -
- Che cosa? - Kiara lo fissò sbalordita.
- L’ho lasciato a casa della nonna, così Amélie non l’avrebbe visto. Se vai ora, forse è ancora sveglia, salutala da parte mia. - Kiara si diresse per tornare dentro.
- Sai, ogni giorno che passa diventi sempre più bella, più simile a tua madre. - sospirò con evidente rammarico.
Kiara si girò. Marcus era perso nei ricordi e non la vedeva più. Kiara inghiottì a vuoto e lo lasciò solo.
La casa della nonna era di fianco a quella degli zii. Kiara prese le chiavi, uscì ed entrò subito. Il salone d’ingresso col soffitto alto era come quello di casa sua, ma era il grande lampadario di cristallo ad attirare tutta l’attenzione. Sua nonna ne era orgogliosa e si preoccupava di farlo lucidare almeno una volta a settimana. Kiara invece era terrorizzata dall’idea che prima o poi le sarebbe caduto addosso o si sarebbe sfracellato al pavimento, rompendosi in mille pezzi.
- Nonna sono io! - urlò per farsi sentire.
La luce della cucina era accesa e andò a vedere che la nonna fosse lì. La cucina era immensa. L’isola al centro aveva sia il piano cottura che il lavello, ma sua nonna non riusciva a farsela piacere e perciò aveva insistito che ci fossero anche un piano cottura tradizionale e un altro lavello. Il frigorifero e il freezer erano un blocco unico ad incasso con gli altri mobili a cassetto, dispense, forno, lavastoviglie. La nonna era intenta a pulire il piano cucina e non si era accorta della nipote.
- Ciao nonna. - disse Kiara con dolcezza.
Theresa si voltò.
- Tesoro mio! - i piccoli occhi azzurri della nonna si ingigantirono per la sorpresa e per un istante divennero enormi.
Kiara corse ad abbracciarla, sentì il profumo di rose e gelsomino e per un istante immaginò fosse sua madre. Anche sua madre Rebeca usava sempre quella fragranza e i ricordi la portarono indietro nel tempo per un istante che sembrò infinito.
- Il vestito è di là. - la voce di sua nonna la distolse dai pensieri, riportandola alla realtà.
Kiara andò verso la sala da pranzo e accese la luce. Una borsa rosa con i laccetti era appoggiata sopra al tavolo. La prese e vide che conteneva una scatola, rosa anche quella. La aprì e il contenuto la lasciò senza parole. Sua nonna si era avvicinata lentamente col bastone.
- Che cos’è? - a Kiara scintillarono gli occhi per la sorpresa e la contentezza.
Un vestito a metà tra un abito e un maglione nero col collo, semplice, lungo fin sopra al ginocchio. Il biglietto allegato accanto aveva una scritta semplice e lineare: “si abbina perfettamente ai tuoi stivali anfibi neri da carcerato”. Kiara sorrise. Suo zio aveva gusto. Prese in mano il vestito, lo fece aderire al corpo per mostrarlo a sua nonna.
- È stupendo tesoro! -
Kiara annuì e rimise il vestito nella scatola. Salutò la nonna e tornò a casa. Cercò di fare in silenzio, ma sua zia la bloccò sulla soglia.
- Allora ti piace? -
- S-sì, è molto bello. - farfugliò imbarazzata.
- Mia cara, non devi fare così. Ho sempre adorato poter coccolare la mia nipotina preferita. Lo sai che se hai bisogno di qualcosa, ce lo puoi chiedere. -
Kiara deglutì e distolse lo sguardo.
- N-non è necessario, fate già troppo per me. - cercò di svicolare il discorso e corse in camera.
Glenda la guardò andare via con espressione triste.
- Glenda. – Marcus la guardava e le sorrise.
- Ce la sto mettendo tutta Marcus, ma perché sembra non bastare mai? - sospirò affranta, lasciandosi avvolgere dalle braccia del marito.
- Non basterà mai, lo sai, non potremo mai sostituire i suoi genitori. - Marcus le baciò la fronte, placando per poco le sue paure.
Kiara chiuse lentamente la porta di camera sua, accasciandosi per terra. Strinse le ginocchia al petto e cercò di non scoppiare a piangere. Non voleva ferire i suoi zii, ma nulla avrebbe riportato in vita i suoi genitori. Questo lo sapeva fin troppo bene.
