Capitolo 4: Un weekend da organizzare
Le settimane passavano e Kiara decise di indagare su Jacob. Era stesa a letto con lo sguardo rivolto al soffitto. Aveva rimuginato sopra a lungo se farlo o meno. Aveva paura di scoprire qualcosa che effettivamente avesse potuto legarli. Qualcosa che appartenesse al passato di entrambi. In fondo, però, sapeva solo il nome di quel ragazzo e poco altro. Si tirò su e si sedette sulla sedia davanti alla scrivania. Aprì il laptop e digitò il nome del padre. Apparvero in pochi secondi un’infinità di risultati. Cavolo! Allora è davvero così famoso? Del figlio, tuttavia, c’erano poche informazioni. A quanto pareva, ne aveva due: Jacob e Caleb. Non c’era altro. Alla fine, era meglio così. Erano poco esposti al pubblico e meno sotto i riflettori della ribalta. Jacob aveva un altro fratello, chissà com’è! Kiara sorrise all’idea di conoscere una versione più grande o più piccola di lui. Se lo immaginò con gli stessi occhi e lo stesso sorriso. Magari aveva lo stesso umorismo e forse qualcosa in più. Sicuramente sarebbe stato un piacere conoscerlo. Prese in mano la brochure e la sfogliò. L’altra volta non l’aveva guardata perché il foglietto col numero di Jacob, cadendo, aveva catturato tutta la sua attenzione. Era pieno di foto del campus, degli studentati, che tra l’altro erano enormi. Ce n’erano addirittura tre, di cui uno misto, uno solo per ragazzi e uno solo per ragazze. E lì si accorse che era presente anche la facoltà di Jacob. In effetti era davvero immenso quel campus. Ospitava una dozzina di facoltà ed era immerso nel verde. C’erano un paio di laghi e un sacco di campi sportivi tra cui: tennis, pallavolo, basket, lacrosse, calcio, golf, baseball, rugby. C’erano addirittura i campi da hockey sul prato, su pista e pure sul ghiaccio. C’erano anche una pista per pattinaggio sul ghiaccio e una sul cemento, un paio di piscine sia al chiuso che all’aperto. Insomma, non mancava proprio nulla! Non c’era modo di annoiarsi. All’interno dell’area erano presenti diversi fast food, ristoranti, bar e addirittura un centro commerciale. A Kiara brillarono gli occhi. Probabilmente ci sarebbe stato modo anche di trovare un lavoretto part time per non dover pesare sugli zii. Prese in mano il cellulare e digitò il numero di Jacob. Dopo qualche squillo sentì la sua voce e per poco non si sciolse. Era sempre così calda e profonda.
- Sì? -
- C-ciao. Sono io. C-cioè sono Kiara - incespicò nelle parole e per poco non morì dalla vergogna.
Lo sentì ridere e le orecchie le diventarono bollenti.
- Ormai ho salvato il tuo numero, non c’è bisogno delle presentazioni ogni volta. -
- Ah, giusto, me n’ero dimenticata. -
Rimasero in silenzio qualche secondo, di nuovo, per la seconda volta. Jacob sospirò.
- Di cosa si tratta questa volta? - cercò di andare al sodo.
- I-io, beh, ecco pensavo... -
- Pensavi? - la interruppe con fare furbetto.
- M-mi chiedevo se potessi venire un weekend a fare un giro al campus e se fossi disposto a farmi da guida. -
Jacob rimase in silenzio e Kiara lo anticipò.
- S-sempre che tu abbia tempo e ti faccia piacere. -
- Certo che mi fa piacere. -
- P-però non voglio darti fastidio. Nel senso che se per te è una scocciatura non fa niente, mi organizzo in un altro modo. -
- Kiara non c’è problema, davvero. Ti faccio sapere in quale weekend sono più libero e ti richiamo, va bene? Ora devo andare, ci sentiamo. -
Di nuovo. Aveva di nuovo interrotto la chiamata. Erano sempre così brevi e concise. Kiara sbuffò con delusione. Come avrebbe potuto rendere quelle conversazioni più durature e magari piacevoli? Guardò l’orologio e si accorse che mancava poco alla cena. Scese in cucina dove trovò sua zia impegnata a condire l’insalata.
- Ti posso aiutare? -
- Ma certo tesoro! Apparecchia la tavola, per favore. - Glenda le mandò un bacio e si girò per prendere l’arrosto con le patate dal forno.
Marcus entrò in cucina.
- Che buon profumo! Dov’è Amélie? -
Glenda alzò gli occhi al cielo.
- Probabilmente in camera. -
- Kiara, vai a chiamare Amélie, qui finisco io. - propose Marcus.
Kiara annuì e lasciò le posate sul tavolo. Salì le scale e per poco non andò a sbattere contro sua cugina.
- Ah, sei qui! -
Amélie la ignorò e proseguì andando in cucina. Si sedette a tavola e si mise a guardare il cellulare. Come al solito non faceva nulla per rendersi utile, tanto meno si dimostrava interessata alle faccende domestiche. Kiara tornò giù e prese i bicchieri dall’anta del mobile. Glenda servì la cena e Marcus raccontò loro della giornata, cercando di coinvolgere figlia e nipote. Kiara lo ascoltava in silenzio e di tanto in tanto annuiva per dare valore alle parole dello zio, mentre Amélie era ancora chiusa nel suo silenzio. Kiara decise di rompere il ghiaccio.
- P-pensavo di andare a fare un giro nel campus nelle prossime settimane. Jacob mi ha detto che mi avrebbe fatto sapere che weekend andare, così mi avrebbe fatto da guida. -
Amélie tirò su di scatto la testa e le brillarono gli occhi.
- Posso venire anch’io? - implorò con voce stridula.
- I-io non... -
- Prova a chiedere a Jacob! - la interruppe lo zio, cercando di riconquistare la figlia.
- Giusto! Ti accompagna Amélie, così non state da soli. Anche perché lo conosciamo appena. Se vai con lei, almeno sappiamo che non può accadere nulla ad entrambe. - aggiunse Glenda.
Kiara posò la forchetta sul piatto.
- Ne parlerò con Jacob appena mi farà sapere. -
Amélie si alzò talmente in fretta facendo ribaltare la sedia.
- Chiedo anche a Camille e Annabelle! Più siamo meglio è, no? - scappò via, alzandosi in fretta e furia dalla tavola.
La sentirono chiamare qualcuno al cellulare, sicuramente una delle due amiche. Gli zii sorrisero e guardarono Kiara.
- Lo sappiamo che ti chiediamo tanto, ma se Amélie è felice... - disse Glenda.
- Anche voi lo siete. - concluse Kiara.
Non era sicura che quell’intromissione avrebbe fatto piacere a Jacob, ma non vedeva altra scelta.
***
Jacob richiamò un paio di giorni più tardi.
- Sono io. - esordì senza nemmeno aspettare che Kiara lo salutasse.
- C-ciao Jacob, tutto bene? - provò a chiedere.
- Certo, perché non dovrebbe? -
- Beh, non mi hai più richiamata, credevo che ci avessi ripensato. -
- Ripensare? E perché? Non ti seguo. -
- Ecco, in realtà ci sarebbero anche mia cugina e le sue amiche. - Kiara chiuse gli occhi aspettandosi il rifiuto categorico di Jacob.
- Per te è un problema? In realtà, vedi, ne stavo parlando coi miei zii qualche sera fa a cena e Amélie si è praticamente auto invitata e speravo che per te andasse bene lo stesso. -
Jacob non disse nulla e questo gettò Kiara nel panico.
- Lo so che non era calcolato ma, da quando sei venuto a casa mia, Amélie ha messo su il muso e ci parla a malapena. Se questo potesse anche solo riappacificare i miei zii con lei, te ne sarei eternamente grata. -
- Eternamente? Addirittura. - ridacchiò Jacob, lasciando Kiara confusa e imbarazzata.
- Quindi per te va bene? -
- Certo, non c’è problema. Ammetto che avrei avuto più piacere di averti tutta per me, ma se non c’è alternativa... -
Eh? Tutta per sé? Kiara rimase senza parole.
- Ad ogni modo, se per te va bene, farei l’ultimo weekend del mese prossimo, è l’unico libero che ho. -
Doveva lavorare molto o studiare davvero tanto.
- Immagino lavorerai molto... - mormorò sovrappensiero.
- Ti interessa saperlo? - chiese Jacob con una punta di malizia.
- Beh, ecco, stavo solo ipotizzando. -
- Comunque la risposta è sì. Ho un sacco di esami da preparare e nel mentre mio padre non vede l’ora di scaricare su di me tutte le scartoffie. -
- Deve essere stancante. -
Kiara cercava quanto più possibile di allungare la conversazione, ma in realtà non sapeva cosa dire. Non voleva sembrare sfacciata, né tanto meno invadente.
- Di preciso che cosa fai? -
- Mi occupo di istruire le nuove reclute che verranno assunte dall’azienda di mio padre. -
- Cosa? Ma com’è possibile? Hai detto che hai ventun anni! -
- Questo cosa c’entra? - la voce di Jacob si era fatta tagliente.
Kiara avvertì il cambio di tono e cercò di aggiustare il tiro.
- Intendevo dire che sei molto giovane e che è incredibile che tu possa farlo. È grandioso. -
- Sono solo bravo in ciò che faccio e so leggere da lontano le persone, non ci vuole molto. -
- Come è successo con me... - Kiara sorrise e probabilmente anche Jacob lo percepì, perché la sua voce tornò ad essere quella di prima.
- Già, con te è stato come bere un bicchier d’acqua. - sorrise sornione Jacob dall'altro lato.
- C-come scusa? -
Jacob sghignazzò, ma tornò serio di colpo.
- Allora vi vengo a prendere alla fermata del pullman che porta al campus. -
- Vieni in auto? - chiese sorpresa.
- Come dovrei venire scusa? Col monopattino? -
Kiara rise e la sua risata contagiò anche Jacob.
- Metti in borsa qualcosa di carino che alla sera vi porto ad una festa. -
- Perché c’è una festa? -
- Non solo una, ma un sacco e voglio farti conoscere un paio di locali davvero graziosi. Ti piaceranno di sicuro. -
Kiara trattenne a stento un sorriso che si allungava da un lato della bocca all’altro. Era la prima volta che un ragazzo la invitava personalmente ad una festa, assicurandosi che fosse di suo gradimento.
- Bene, devo andare. Ci sentiamo per i dettagli più avanti. -
E, come al solito, chiuse la chiamata senza darle il tempo di congedarsi. Ma stavolta Kiara sentì di aver fatto dei passi in avanti. Il calore che le lasciava la voce di Jacob ogni volta che parlavano si disperse in tutto il corpo. Mancava più di un mese e Kiara iniziò a contare i giorni che la separavano dall’incontro con Jacob. Era la prima volta che si sentiva così euforica, così piena di vita. Non ne sapeva il motivo, ma pensare a lui le infondeva coraggio e sicurezza. Era più semplice affrontare la vita, la scuola, il lavoro e soprattutto quella famiglia così caotica.
***
Era a lavoro e stava spazzando fuori tra i tavolini, quando le si accese un’altra lampadina. Jacob aveva detto che si erano già incontrati lì tempo addietro e provò a ricordare l’evento. Aveva anche aggiunto qualcosa come “mi sei finita addosso e mi hai fatto cadere dei fogli”. Ecco, questa cosa di andare a sbattere contro la gente era una sua brutta abitudine, avrebbe fatto meglio ad eliminarla o, quanto meno, a moderarla. Perché un ragazzo che viveva a più di cento chilometri di distanza da lei era capitato proprio nel suo bar? La seconda volta che si erano visti era sempre successo al caffè, mentre lavorava, ma quella volta Jacob era in compagnia di un gruppo di ragazzi. Rabbrividì al solo pensiero. La frase di quel ragazzo l’aveva ferita più di quanto avesse potuto immaginare. Non era la prima volta né l’ultima, ma le faceva comunque male. Smise di spazzare e guardò l’immagine riflessa sul vetro. Jacob le aveva detto che era carina, ma lei non ci credeva. Forse l’aveva detto giusto per e nemmeno lui credeva a ciò che aveva affermato.
- Kiara, tutto bene? - Sylvia, la sua collega, la guardò sorpresa.
- Sì, tutto bene. Perché? -
- Ah, niente, ti sei bloccata all’improvviso e hai borbottato qualcosa. -
- Un ragazzo mi ha detto che sono carina. - sospirò.
Sylvia sorrise e le diede una leggera pacca sulla spalla.
- Sei più che carina Kiara! Voglio dire, guardati! Da quando ci sei tu abbiamo un sacco di clienti in più! -
Kiara balbettò.
- D-dici sul serio? -
- Ma come! Non te ne sei mai accorta? Tanti ragazzi hanno cominciato a venire più frequentemente e molti nuovi si sono avvicinati. -
- Sono enorme. – ribatté mestamente.
- Beh, non sei l’immagine della magrezza in persona, ma secondo me è meglio una donna in carne, con curve e armonia, rispetto ad uno scheletro che a momenti gli cadono gli arti, non credi? -
Si misero a ridere immaginando la scena. Però l’inquietudine di Kiara non accennò a diminuire. Forse era arrivato il momento giusto di tornare in palestra. Sicuramente se avesse raggiunto dei risultati in breve tempo, Jacob l’avrebbe notato e, forse, apprezzato. Dopo lavoro passò in una palestra vicino a casa e si informò. I prezzi non erano eccessivi e coi soldi del lavoro ci stava dentro abbondantemente, riuscendo anche a risparmiare qualcosa per l’università. Optò per farsi seguire da un personal trainer, cosicché non avrebbe avuto la tentazione di abbandonare subito come l’ultima volta. Probabilmente, se fosse stato disposto a prenderla sotto la sua supervisione, l’avrebbe motivata a continuare e ad impegnarsi seriamente. Prese appuntamento con un allenatore per la settimana seguente.
