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Jacob tornò in albergo col taxi e raggiunse la porta della suite. Infilò la chiave magnetica, entrò e buttò la giacca sulla sedia. Avvicinò la maglietta al naso e, sentendo l’odore, decise di farsi una doccia al volo. Entrò in bagno e accese la luce. Si guardò allo specchio e sospirò. Finalmente l’aveva trovata. Era bellissima come ricordava, sebbene fossero passati quasi dieci anni. All’epoca era una bimba smilza e impaurita. Invece ad aspettarlo aveva ritrovato una ragazza in carne, formosa e molto dolce. Era stato un incontro rapido, ma ricco di emozioni. La ragazza gli era finita addosso, travolgendolo e facendogli cadere i documenti del progetto edile che suo padre aveva avviato da qualche mese. Si trattava di un’infrastruttura nuova e dovevano perfezionare alcuni dettagli. C’erano stati dei malcontenti per la posizione dei cantieri, siccome sarebbero stati molto invadenti e avrebbero reso difficile la viabilità delle strade principali, con conseguenti chiusure e modifiche agli accessi. Benedetti documenti! Non si aspettava di certo di trovarla in quel bar, ma l’incontro era stato provvidenziale. La sua voce era delicata, ma non stridula, femminile, piena e limpida, proprio come i suoi occhi. Erano uno spettacolo: azzurri come il cielo terso in primavera. Per non parlare del sorriso che gli aveva rivolto: aperto e sincero. Si tolse i vestiti ed entrò in doccia. L’acqua calda lo accolse e si sfregò gli occhi. Non riusciva a togliersela dalla testa. Purtroppo però doveva rientrare a casa l’indomani mattina presto, altrimenti avrebbe fatto un salto veloce al caffè con la speranza di vederla nuovamente. Nel caso avrebbe potuto chiedere se fosse una cliente abituale o se lavorasse lì. Era andato in quella città per affari e sapeva benissimo che lei abitasse lì, ma non poteva di certo prevedere che l’avrebbe incontrata al primo colpo. Infatti appena l’aveva riconosciuta, si era bloccato, paralizzato dallo sgomento. Mentre lei, senza rendersi conto di chi avesse di fronte, aveva continuato a raccogliere i fogli, scusandosi e aiutandolo a recuperare tutti i documenti che erano usciti dalla cartella. Erano anni che si torturava immaginando un ipotetico incontro e aveva speso una quantità assurda di notti insonni, rimanendo sveglio fino a quando non gli rimaneva che rassegnarsi all’idea che quel suo desiderio sarebbe rimasto un sogno nel cassetto. Uscì dalla doccia e prese l’accappatoio bianco. Era morbido al tatto e molto comodo. Frizionò i capelli con un asciugamano, anch’esso bianco e nuovo. Suonò il campanello. E mo’? Chi sarà? Raggiunse guardingo la porta e aprì con cautela.

- Jacob! –

Era Simon, il suo collega. Era un ragazzo moro, occhi scuri e alto quanto lui. La pelle era olivastra e lucente. La barba corta e folta gli regalava alcuni anni in più, nonostante avessero la stessa età.

- Entra. – sbuffò sonoramente.

- Con permesso. –

- Che ci fai qui? – chiese Jacob con impazienza.

- Che accoglienza. – rispose Simon ironico.

- Mi manda tuo padre. –

- Ma non mi dire… - Jacob si accarezzò il mento pensieroso.

- Dobbiamo parlare delle borse di studio. –

- Ancora? Sei serio? – strabuzzò gli occhi dallo sgomento.

Erano mesi che suo padre lo inseguiva con quella storia patetica.

- Dai Jacob, lo sai com’è fatto. – provò a farlo ragionare.

- Oh ma che palle! Che cosa c’entro io? –

- Sei il suo diretto erede. –

- Oddio, l’hai detto sul serio? – Jacob alzò gli occhi al cielo.

- Fammi capire, tu sei venuto qui per parlarmi di questo? –

- Esattamente. – Simon si gonfiò d’orgoglio.

- Ti sei fatto due ore di viaggio solo per rompermi con questa storia insulsa? –

- Due ore e mezza, per l’esattezza. Comunque che si fa? –

- Si fa un cazzo! Ecco che si fa! Fuori dalle palle. Ora. – si avvicinò all’ingresso e aprì la porta.

- Jacob…-

Jacob richiuse la porta e sospirò avvilito. Afferrò una sedia e fece cenno a Simon di sedersi. Si accasciò con malagrazia e mise i gomiti sul tavolo, massaggiandosi le tempie. Simon tirò fuori dei fogli e gli mise sotto il naso un plico enorme. Jacob impallidì e per poco non svenne.

- Mi prendi per il culo, vero? È uno scherzo. –

Simon scosse la testa con veemenza e fece un sorrisetto tirato.

- Prima ammazzo lui e poi te. Siete due teste di cazzo. –

Simon si limitò a ridacchiare sotto i baffi.

- Dai campione, mettiamoci al lavoro. –

Immersero le teste e le alzarono solo dopo due ore. Ormai erano le nove e i loro stomaci avevano cominciato a gorgogliare rumorosamente. Jacob guardò Simon.

- Che dici? Forse è il caso di prenderci una pausa? –

- Ben detto! Sto morendo di fame! –

- Servizio in camera o andiamo fuori? – propose Simon.

- Fuori, assolutamente, ho bisogno di sgranchirmi le gambe. – si stiracchiò e si alzò, massaggiandosi la schiena.

Si accorse che per tutto il tempo era rimasto con l’accappatoio.

- Mi cambio e ci sono. –

Aprì la borsa e prese i vestiti puliti. Si cambiò velocemente in bagno e prese la giacca. Uscirono a piedi e raggiunsero un pub. Si sedettero e ordinarono degli hamburger e birra alla spina.

- Allora? Che te ne pare? – domandò Simon curioso.

- Parli dei candidati? – Jacob alzò un sopracciglio.

- Sì, loro. –

- Non so, sembrano tutti un po’ messi a caso. Che criterio avete scelto scusa? –

- Sono tutti prossimi al diploma. –

- E fin lì. – ci era arrivato benissimo da solo.

- Fammi parlare! – esclamò Simon scocciato.

- Sì, chiedo venia. – Jacob bevve un sorso di birra.

- Bravo. Stai imparando il rispetto. — lo prese in giro.

- Non rompere. –

- È una qualità fondamentale per un leader. Saper chiedere scusa. –

- La finisci? – Jacob gli fece vedere il palmo della mano, pronto a dargli un ceffone. –

- Se vuoi il mio posto, basta chiedere a mio padre, sei il suo preferito. Sarebbe solo che felice di nominarti suo erede. – lo provocò.

- Comunque, vengono tutti da scuole abbastanza rinomate e sono tra i migliori delle loro classi. Quindi hanno diritto alle borse di studio per merito. –

- Capisco. – borbotto Jacob laconico.

- Più che altro sono sorpreso. –

- Cosa intendi? – Jacob lo guardò accigliato.

- Ti sei messo d’impegno e senza fiatare. –

Jacob accarezzò il bordo del bicchiere.

- Prima finiamo, prima mi libero di te e di quel lavoro di merda. –

Era sempre così volgare, ma diretto.

- Non ti libererai facilmente di me! –

- Che Dio me ne scampi. – Jacob si mise una mano sulla fronte, in segno di esasperazione.

- Allora, non mi hai detto che ne pensi! – lo esortò Simon.

Jacob sospirò e rifletté.

- Sono giovani ed inesperti. I loro lavori sono imprecisi e pieni di errori, ma nulla che sia irrimediabile. Sicuramente con un po’ di allenamento, studio e pratica potrebbero migliorare. -

Simon annuì.

- La penso come te, hanno bisogno di molta pratica. –

- Quante sono le borse di studio? –

Simon fece due calcoli a mente.

- Almeno una dozzina, forse quest’anno riusciamo ad averne di più, grazie ai fondi stanziati da tuo padre. – sorrise Simon, cercando di provocarlo.

Jacob lo ignorò e finì la birra.

- L’ho trovata. – disse di botto.

Simon rimase spiazzato.

- Trovato chi? –

- Kiara, la ragazza che tenevo d’occhio da un po’. – si limitò a dire.

Simon lo guardò senza capire.

- In che senso scusa? –

Jacob inspirò rumorosamente.

- È una ragazza che abita in questa città e che avevo conosciuto anni fa. –

- Ah, tutto chiaro. – lo prese in giro Simon.

- Ne so come prima. –

Jacob sbuffò.

- Anni fa avevo conosciuto una ragazza, all’epoca eravamo piccoli, dei bambini. Non sono mai riuscito a dimenticarla e ho sempre cercato di rimanere aggiornato. –

- Cosa sei uno stalker? – Simon rise.

- Se la mettiamo così… - sogghignò lui.

- No, davvero. Sta’ attento a fare queste cose, non sia mai che ti prenda per un maniaco. –

- È un po’ tardi, dato che la seguo da una decina d’anni. –

Simon strabuzzò gli occhi.

- Ma tu sei pazzo! –

- E come cavolo hai fatto? –

Jacob rise sotto i baffi.

- Non preoccuparti, so il fatto mio e non mi sono mai esposto. Sono rimasto nell’ombra, ho i miei metodi e i miei informatori. D’altronde, essere figlio di un C.E.O ha i suoi vantaggi, no? –

- Sarà. – rispose dubbioso Simon.

- Ad ogni modo, dimmi di più di questa ragazza! Come hai detto che si chiama? – chiese interessato. Jacob era sempre restio a parlare di ragazze e questa era la prima volta che tirava fuori l’argomento di sua iniziativa.

- Kiara, Kiara Chandler. –

- Quanti anni ha? –

- Dovrebbe averne diciassette quest’anno, se non vado errando. –

- E cosa fa? –

- L’ultima volta mi hanno riferito che stava cominciando le superiori. –

- Che istituto? –

- Credo uno classico o giù di lì. –

- Pensi faccia disegno tecnico o artistico? –

- Lo spero. – disse Jacob sornione.

Se avesse studiato quelle materie, forse avrebbe potuto inserirla nel programma di suo padre, con una piccola eccezione.

- Che media ha? –

- Normale, né alta né bassa. – Jacob si morse un labbro.

Cavolo, con un andamento regolare, non avrebbe avuto alcuna chance di accedere alla borsa di studio.

- Cosa vorresti fare con lei? –

- La prossima volta che tornerò qui, proverò ad indagare meglio. Voglio vederci chiaro. -

- E poi? –

- La voglio al mio fianco, in qualsiasi veste. Non mi interessa se mio padre mi ostacolerà, troverò il modo di convincerla, anche a costo di fare carte false. –

Simon fischiò.

- Come mai sei così fissato? Almeno è bella? –

- Molto. Diciamo che è una storia lunga e questa non è la serata giusta. – cercò di sviare il discorso.

Finì seconda birra e si alzarono per andare a pagare. Fuori si stava bene, tirava un leggero venticello e la frescura estiva era piacevole.

- Sai dove abita? – chiese all’improvviso Simon.

- Come prego? –

Simon si schiarì la voce.

- Sai dove abita la tua ragazza? –

- Non è la mia ragazza. – puntualizzò lui.

- Sì, va bene, hai capito. – rispose impaziente.

- Sì, so dove abita. -

- E non hai mai pensato di andarla a trovare? –

- No, non posso presentarmi da lei senza motivo o un invito valido. –

- E quindi cosa intendevi prima con “l’ho trovata”? Sai già dove abita, non potevi andare direttamente da lei? –

- L’ho incrociata in un bar oggi pomeriggio. Non mi aspettavo di vederla lì. Infatti se non fosse che domattina devo tornare a casa presto, sarei tornato al caffè e avrei chiesto di lei. –

- Continuo a non capire. A che ti serve sapere se frequenta il bar o se ci lavora? –

- Magari potrebbe sembrare un incontro più naturale che andare a bussare a casa sua, non credi? –

Simon collegò e cominciò a ridere. Jacob lo guardò in cagnesco.

- Che cazzo ti ridi? – chiese inviperito.

- Sei così tenero! – Simon aveva le lacrime agli occhi e gli assestò una leggera pacca sulla schiena.

- Non mi toccare! – soffiò lui.

- Davvero Jacob, tutte queste moine quando potresti direttamente andare da lei e smetterla di farti mille problemi. –

Jacob non gli rispose e gli tenne il muso fino all’arrivo in albergo.

- Bene, ti lascio qui. – Simon si accomiatò.

- Dove vai a dormire? – chiese infastidito, ma non voleva sembrare senza cuore.

- Ho prenotato una stanza in un motel. –

- Ma quale motel! – gli fece il verso.

- Annulla e vieni su con me, razza di plebeo. –

Simon non se lo fece ripetere. Recuperò lo zaino dall’auto e salì in camera con Jacob.

- Permesso. – disse in automatico Simon.

- Oh ma, sei entrato pure prima. – sbuffò Jacob.

- Dicevo così per dire sai. – replicò stizzito.

Si tolse le scarpe e le lasciò all’ingresso. Jacob fece lo stesso, imitandolo. A turno si prepararono per la notte andando in bagno e cambiandosi d’abito. Jacob si spogliò e rimase con boxer neri. Si lavò i denti e osservandosi allo specchio notò con soddisfazione che non aveva perso tono muscolare. Nell’ultimo periodo era stato molto indaffarato e non era riuscito a seguire con costanza gli allenamenti. Aidan l’aveva già chiamato un paio di volte, ma non era mai riuscito a rispondergli e questa cosa lo faceva impazzire. Avrebbe voluto richiamarlo, ma ogni volta che ci pensava, gli piombava addosso altro lavoro da fare e per questo aveva sempre rimandato. Maledetto. Suo padre non vedeva l’ora di scaricargli addosso scartoffie e responsabilità, cosicché ci fossero state delle grane, si sarebbe potuto deresponsabilizzare incolpando lui per la sua inadempienza. Non era la prima volta che si ritrovava in discussioni alimentate dai colleghi di suo padre e cui aveva dovuto far fronte lui. Purtroppo però suo padre giocava sempre la carta del senso di colpa e di successione, quindi aveva dovuto ingoiare molti rospi, fare buon viso a cattivo gioco e indossare una costante faccia di bronzo. L’avrebbe mandato volentieri a fanculo, ma il pensiero che tale fardello sarebbe passato a suo fratello, lo faceva sempre desistere da ogni tentativo di fuga. Non scorreva buon sangue tra lui e Caleb, ma era comunque suo fratello minore e gli voleva bene. Prese il cellulare e digitò un messaggio veloce e conciso: “domani sono in città, organizziamo il calendario”. E lo inviò ad Aidan. Era il massimo dell’eloquenza che si sarebbe potuto permettere, dopo averlo ignorato per mesi. Dopo poco il cellulare si illuminò in risposta: “va bene, solito posto?”. Jacob replicò affermativamente e aggiunse l’orario per l’appuntamento. Andò a dormire e sognò la ragazza.

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