CAPITOLO 6
Stefania si era abituata… ai SEAL! Le sembrava davvero di vivere in un universo parallelo… In realtà i ragazzi si divertivano a stare tra di loro, più che con Stefania; ma lei era così felice. Ogni tanto le chiedevano ridendo la sua opinione su qualsiasi cosa, in un linguaggio inventato misto tra l’inglese, il coreano e l’italiano. Era contenta che si trovassero a loro agio con lei, ed era vero. Sapevano quanto aveva lottato e rischiato per tenere in vita Otary e, come il signor Mun, la trovavano dolce e confortevole. Sapeva un sacco di cose che loro non conoscevano. A volte le portavano dei regalini, cose abbastanza costose che la mettevano in imbarazzo; ma li accettava con gioia, secondo il suo ultimo protocollo. Tun aveva ottenuto il titolo di suo tutor, e faceva praticamente gli onori di casa, distribuendo cibo e accatastando regalini, e quasi dirigendo le conversazioni, mentre tutti cercavano di sovrastarlo. La più dolce di tutti fu Muriel, che passò a trovarla prima di tornare a Seul; la abbracciò semplicemente, con le lacrime agli occhi. Profumava di mandorlo.
Quando le portò gli occhiali, l’oculista le disse che avrebbe potuto operarsi agli occhi durante la degenza in ospedale, essendo un’operazione relativamente semplice e di routine. Guarire dalla miopia! Stefania era miope fin da bambina.
― Dottore, non me la sento di chiedere altri soldi al signor Mun, e io non ho la possibilità di pagare un’operazione come questa.
― Il signor Mun ha già detto che se ne occuperà lui, ― intervenne Giampaolo.
― Oh… va bene, allora… allora per me va bene… Magari!… sarebbe un sogno, tornare a vedere bene…
Quando il medico se ne fu andato, Stefania chiese a Giampaolo:
― Come fai a essere sempre informato su quello che fa il signor Mun? Vi sentite fra di voi, per caso?
― Il signor Mun mi chiama tutte le sere, per essere aggiornato sulla tua situazione medica e sul tuo benessere. In ogni caso, ha dato disposizioni alla dirigenza dell’ospedale di fornirti cure di massimo livello, per qualsiasi tua patologia. Anche il tuo menù è preparato a parte da un cuoco che ha fatto venire dall’Italia.
― Dall’Italia? ― esclamò Stefania, restando a bocca aperta. ― Ah ecco perché… infatti, pensavo che erano proprio bravi, qui…
― Per le cure dentarie, invece, sta aspettando che tu arrivi a Seul, perché lì ha un dentista di fiducia; e poi le cure dentarie potrebbero richiedere anche molto tempo.
― Molto tempo… infatti… io tra meno di un mese devo tornare in Italia. Che comincio a fare le cure dentarie in Corea? Dovrei comunque interromperle.
― Il signor Mun si è informato… non so se te lo posso dire… ma si è informato sul fatto che tu, in Italia, sei una casalinga che vive sola. Sostanzialmente non hai impegni incombenti, familiari o di lavoro. Quindi, credo che dia per scontato che ti tratterrai di più di un mese.
Stefania reclinò la testa sui cuscini e fissò il soffitto. Si sentiva lusingata e grata, ma era anche confusa da tutte quelle novità, tutte insieme… Che cosa le riservava il futuro? Non voleva attaccarsi a quella vita dispendiosa, perché sapeva che, in qualsiasi momento il signor Mun avesse cambiato idea, avrebbe dovuto velocemente ritornare ad abitudini molto modeste. Si sentiva come Cenerentola in attesa della mezzanotte.
E finalmente un giorno, nella tarda serata, Otary attraversò la porta della stanza di Stefania. La sua era a pochi metri di distanza. Aveva aspettato che non ci fosse nessuno, perché non era sicuro di poter controllare le proprie emozioni; anzi, era sicuro del contrario. Avrebbe potuto andare in quella stanza anche prima, ma non aveva avuto il coraggio. Si sentiva tremendamente in colpa. I genitori lo avevano rimproverato e colpevolizzato tutti i giorni. La madre gli aveva detto che si era inginocchiata per chiedere perdono a suo nome, senza però riportargli la risposta di Stefania. Ma non sarebbe stato un uomo, se avesse rimandato all’infinito.
Tuttavia Stefania non era sola, Tun le stava facendo compagnia. Quei ragazzi erano dolcissimi con lei, soprattutto Tun. Stefania si sentiva così confortata; le era successo così poche volte nella vita. Quando Otary entrò, si fece silenzio.
― Otary! ― esclamò Stefania con affetto, benché in realtà lo conoscesse appena. Era così felice di vederlo sano e salvo. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Otary si inginocchiò, piegandosi fino a terra, e con la voce bassissima le chiese perdono in inglese.
― Alzati, per favore. Alzati, Otary, non c’è bisogno che mi chiedi perdono. Otary…
Stefania fece un gesto a Tun, per indicargli di farlo alzare. Tun si chinò su Otary. Gli disse in coreano che Stefania non lo riteneva responsabile di niente, e che lo aveva già detto a sua madre. Finalmente Otary si alzò. Era rosso in viso e aveva gli occhi lucidi. Stringeva le labbra.
― Otary, è stato solo un incidente. Non è colpa di nessuno. Non hai fatto niente di sbagliato. L’asfalto era bagnato e la moto è scivolata. Non ho pensato neanche per un secondo che quella situazione fosse colpa tua. Quando stavamo nell’acqua, e pensavo che forse saremmo morti, non davo la colpa a te.
Otary aveva un nodo alla gola. Parlò a voce bassa e roca.
― Ho messo in pericolo la sua vita. Ci ho pensato tutti i giorni… E anche dopo: se non fossi svenuto, sarebbe andata prima lei, con l’elicottero.
― Ma non ti avrei lasciato in acqua da solo, ― rise Stefania. ― So nuotare benissimo; non ti avrei lasciato da solo a lottare contro le onde in tempesta. Hai ventinove anni, hai tutta la vita davanti. Non ti avrei permesso di sacrificarti per me.
Tun la guardò. Nessun uomo sarebbe salito prima di lei, non lo sapeva?
― Sono responsabile di tutto quello che è successo. Lei è stata brava a gettarsi dove non c’erano gli scogli. Io invece sono stato incapace: ho battuto la testa, e sono svenuto. Sono… davvero inadeguato, e questo l’ha costretta a faticare il doppio… Io… il medico mi ha detto della sua schiena… Si è sempre girata di schiena… per proteggermi.
Otary si interruppe, chiudendo e stringendo gli occhi, che già teneva bassi; riempì i polmoni con dei piccoli singulti.
― Ti voglio abbracciare, vieni qua, ― gli disse Stefania d’imperio, noncurante del fatto che il giovane coreano si sarebbe sentito decisamente a disagio. Otary restò fermo. ― Ti voglio abbracciare! ― esclamò Stefania.
Otary si avvicinò al letto e dovette semisdraiarsi, perché Stefania doveva restare appoggiata. In realtà, anche solo quel contatto le fece vedere le stelle; ma abbracciò decisamente Otary. Lo costrinse ad abbandonarsi. Il ragazzo affondò il viso in quella spalla grassoccia e cominciò a singhiozzare. Stefania gli accarezzava i capelli, mormorando in italiano dolci parole di conforto e di comprensione. Anche se Otary non capiva cosa stesse dicendo, veniva cullato da quel mormorio dolce e musicale. Piano piano smise di piangere. Piano piano tutte le ombre sparirono; gli sembrò davvero che non fosse successo niente di irreparabile e che fossero stati entrambi vittime degli eventi, che tutto il pericolo fosse ormai passato e che le ferite sarebbero guarite. Sì, sarebbero stati felici, perché il pericolo era ormai superato. Era andata bene. Non era stata colpa di nessuno.
Dopo qualche minuto Otary si alzò e si asciugò le lacrime. Sospirò profondamente. Stefania gli sorrise; sembrava una dolce zia che gli avrebbe regalato dei dolciumi. Così anche Otary sorrise e disse scherzosamente a Tun: ― Neanche mia madre mi ha mai parlato così dolcemente ―. Tun aveva trattenuto il fiato, commosso, guardando quella scena inaspettata di intima dolcezza. E ora sorrideva all’amico, con quel suo splendido sorriso e gli occhi brillanti; e risero insieme, perché tutto il ghiaccio si era sciolto.
Otary venne dimesso dall’ospedale, ma tornò il giorno dopo a fare visita a Stefania. Le portò un pacchetto. Stefania rise e disse semplicemente: ― È un regalo per me? ― Aprì il pacchetto e rimase senza fiato. Conteneva un bracciale d’oro di Bulgari!
― Otary… non posso accettarlo. Grazie, è bellissimo, ma… Ti rendi conto?
